Educare all’accoglienza della vita

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La parola accoglienza evidenzia il valore di ciò che è necessario accogliere: parlare di accoglienza significa, indirettamente, affermare che la vita è un valore. Tuttavia, se attingiamo all’esperienza o alla cronaca, ci rendiamo conto che non basta parlare di valore della vita e neppure semplicemente concordare sul valore della vita, bisogna educare ad accoglierla sempre. E, in modo concreto, educare significa agire sulla persona che accoglie, sulla sua libertà e responsabilità, sulla sua intelligenza e volontà… in una parola, sull’atteggiamento, sul “prima”. È necessaria una “pedagogia” che non solo porti a riconoscere i valori ma che incida sui comportamenti: «l’opera educativa, che aiuta l’uomo ad essere sempre più uomo, lo introduce sempre più profondamente nella verità, lo indirizza verso un crescente rispetto della vita, lo forma alle giuste relazioni tra le persone». Per sviluppare tale pedagogia, un aspetto si rivela particolarmente incisivo ed utile: considerare la vita non come un valore estrinseco ma intrinseco all’essere umano; come un qualcosa, cioè, che ogni persona porta in qualche modo dentro di sé. In questa prospettiva, l’elemento pedagogico da riscoprire, in varie fasi della vita, è lo speciale legame persona-fecondità. Nell’età adolescenziale e giovanile, si consolida l’acquisizione dell’identità sessuale e personale e si pongono le basi di importanti scelte future che riguardano anche la considerazione del valore della Vita: propria e altrui. Il processo educativo che porta alla comprensione del legame persona-fecondità è aiutato, in questa fase, dalla scoperta del corpo. Esso, in quanto sessuato, incarna in sé il processo che porta all’origine della Vita, tanto importante da essere considerato come l’elemento che definisce, quantomeno sul piano biologico, la sopraggiunta maturità sessuale. Tutto, nella fisiologia del cosiddetto apparato riproduttivo, porta i segni di quel disegno di fecondità che è strettamente incarnato nella persona. Si tratta di accogliere il legame sessualità-fecondità; e il punto di partenza è la conoscenza di sé e il rispetto del corpo e della sessualità come “luogo” nel quale il valore della Vita è intimamente legato al valore dell’amore; sono queste quelle «radici» dalle quali il rispetto per la vita germoglia.

«La banalizzazione della sessualità è tra i principali fattori che stanno all’origine del disprezzo della vita nascente: solo un amore vero sa custodire la vita», ci ricorda, infatti, l’Evangelium Vitae, sottolineando peraltro come non ci si possa «esimere dall’offrire soprattutto agli adolescenti e ai giovani l’autentica educazione alla sessualità e all’amore, un’educazione implicante la formazione alla castità, quale virtù che favorisce la maturità della persona e la rende capace di rispettare il significato “sponsale” del corpo». Il percorso educativo dell’accoglienza della vita si accompagna così al più ampio percorso della maturità umana, che parte dalla scoperta della propria dignità e coinvolge anche l’integrazione delle pulsioni sessuali e affettive, nell’orizzonte di una crescita nella castità, cioè nella capacità di amare. Nel matrimonio, il tema dell’accoglienza della vita si propone in maniera ancora più concreta, coinvolgendo le scelte quotidiane della coppia; i coniugi, ad esempio, sono sempre chiamati a chiedersi se sia il momento di aprirsi ad una nuova gravidanza, se sia responsabile rinunciare temporaneamente ad essa, se sia addirittura doveroso rinunciarvi definitivamente. L’atteggiamento di apertura ed accoglienza matura se il legame persona-fecondità viene rispettato e non manipolato. La coppia non è sempre biologicamente fertile: l’organismo femminile regola, attraverso i suoi ritmi, i ritmi di fertilità propri della coppia. Conoscere e rispettare questo disegno naturale significa ritrovare, nel legame matrimonio-fecondità, gli elementi per scoprire la vita non come elemento esterno ma piuttosto come potenzialità, realtà e valore che la coppia già porta dentro di sé. Conoscere, rispettare e accogliere la fertilità è la via per accogliere la vita cui essa è finalizzata: la coppia che impara a vivere la fertilità come dono saprà accogliere come dono il figlio. È per questo che «l’opera di educazione alla vita comporta la formazione dei coniugi alla procreazione responsabile» che chiede loro anche di «rispettare le leggi biologiche iscritte nella loro persona. Proprio tale rispetto rende legittimo, a servizio della responsabilità nel procreare, il ricorso ai metodi naturali di regolazione della fertilità: essi vengono sempre meglio precisati dal punto di vista scientifico e offrono possibilità concrete per scelte in armonia con i valori morali». Si tratta di quei valori che sono poi la stessa anima della vita e dell’amore coniugale: il rispetto reciproco e la condivisione, la crescita nel dominio di sé che consente di vivere il dono di sé; valori in se stessi educativi, in quanto permettono di agire – come dicevamo – sulla libertà e responsabilità della persona, sulla sua intelligenza e volontà; di nuovo – in una parola – sull’atteggiamento, sul “prima”. Talora, tuttavia, il disegno della fertilità rimane biologicamente senza risultato: come, dunque, educare ad accogliere la vita anche una coppia che sperimenti il dolore della sterilità fisica? L’avvento delle varie tipologie di fecondazione artificiale sembra, anzitutto, aver messo in dubbio che l’infertilità è un problema da diagnosticare e curare, dal punto di vista medico e come responsabilità della coppia. Ma, assieme a questo, è necessario ritornare sul legame persona-fecondità che, in questi casi, mostra ancor meglio il suo profondo significato, in una visione integrale della persona. La conoscenza dei metodi naturali, se da un lato può aiutare la coppia a studiare la fertilità e a scoprire il momento più fertile del ciclo, dall’altro si conferma quale pedagogia dell’amore che accoglie sempre e totalmente l’altro: nella sterilità fisica bisogna riscoprire il legame amore-fecondità. L’amore vero è sempre fecondo e si impara a donarlo non necessariamente ad un figlio preteso “a tutti i costi” ma talora anche ad un figlio accolto attraverso scelte diverse: adozione, affido, solidarietà… In questo amore – fecondo perché non pretende, ma accoglie la vita – «ogni persona, a cominciare dal figlio, è riconosciuta e rispettata per se stessa e ogni scelta è animata e guidata dal criterio del dono sincero di sé». Il criterio del dono di sé: è questo il punto cui si giunge riscoprendo il legame persona-fecondità; è questo il segno della maturità umana e dell’armonia relazionale e il contenuto dell’unica forza che può permettere di accogliere sempre la vita: l’amore.

di Paola Pellicanò (Medico, Responsabile settore diffusione e insegnamento metodo Billings, Centro Studi e Ricerche per la Regolazione Naturale della Fertilità (RFN), Università Cattolica del S.Cuore di Roma), da  “Quaderni di Scienza e Vita n.5”

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