La famiglia risorsa per la società

Foto di serrano1004 da Pixabay

La famiglia come istituzione naturale non è soltanto acquisizione cristiana, o meglio non è semplicemente acquisizione cristiana. È largamente diffusa la concezione positiva che Aristotele aveva della famiglia: direttamente contro il comunismo di Platone, indirettamente contro il convenzionalismo politico dei Sofisti e l’anarchismo dei Cinici. È inconcepibile per lo Stagirita, la società civile, prescindendo dalla famiglia. Essa infatti non può esistere come unità astratta, indifferenziata, ma soltanto come unità di elementi diversi tra essi e differenziati, coordinati, però, dal principio della reciproca compensazione; e di questa specificazione è parte la famiglia.

Leggiamo, ad esempio, nella Politica:
Uno stato non consiste solo d’una massa d uomini, bensì di uomini
specificatamente diversi, perché non si costituisce uno stato di elementi uguali. Altro è un’alleanza militare, altro uno stato: l’una è utile per la sua quantità, pur se c’è identità di specie (perché lo scopo naturale dell’alleanza è di prestare aiuto) come un peso fa inclinare di più la bilancia […]. Gli elementi, dunque, da cui deve risultare l’unità, sono specificatamente diversi […]. Anche tra persone libere ed uguali non è possibile avere il comando tutti nello stesso tempo, ma o per un anno o per un altro periodo di tempo […]. Lo stato per sua natura non deve avere quell’unità di cui parlano alcuni e quel che si vanta come il più grande bene degli stati, in realtà li distrugge: e invero è il bene di ciascuna cosa che conserva ciascuna cosa. La famiglia è più autosufficiente dell’individuo, lo stato più della famiglia e uno stato vuol essere veramente tale quando la comunità dei suoi componenti arriva ad essere ormai autosufficiente: se quindi è preferibile una maggiore autosufficienza sarà preferibile pure un’unità meno stretta a una più stretta. Non pensano correttamente quanti sostengono che tra la società familiare e
quella civile esista soltanto una differenza numerica. Il fine della prima è far esistere gli individui semplicemente; il fine della seconda è, invece, «condurre i cittadini a una vita felice e virtuosa»

Perfetta, ancora per il «maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia», è la società familiare composta di liberi e di schiavi; e l’economia domestica comprende:
– rapporti tra il padrone e lo schiavo;
– rapporti tra marito e moglie;
– rapporti fra padre e figli.
Da ciò derivano rispettivamente:
– l’autorità padronale (despotik»);
– l’autorità coniugale (gamik»);
– l’autorità paterna (patrik»).
Dissoltasi la polis, dopo Aristotele, anche l’istituto familiare perde il suo valore. Epicuro solleva dubbi contro il matrimonio e la vita di famiglia, mentre, come è noto, esalta l’amicizia; e, fra gli Stoici, Zenone afferma che «le donne dovrebbero essere di dominio  comune tra i sapienti, ognuno usando quella che gli capita»,
riprendendo, così, un comunismo di matrice platonica che in pieno rinascimento Tommaso Campanella riproporrà nella sua Città del Sole. A detta del pensatore domenicano soltanto per rivelazione divina la famiglia è da intendersi come monogamica, perché secondo natura sarebbe piuttosto da sostenere un comunismo sessuale, come nell’età romana Lucrezio e Orazio sembravano sostenere.
La fede cristiana, elevando il matrimonio alla dignità di sacramento, muta la società familiare: questa assume prevalentemente, anziché un carattere giuridico, un carattere etico-religioso. Quanto di sociale e di religioso vi sia nel matrimonio e nella famiglia, sant’Agostino mostra in particolare nel De bono coniugali e nel De civitate Dei, XIX, 1729, sostenendo che la pace e la serenità domestica devono
essere costantemente riferite alla pace della città come ogni parte si riferisce al tutto di cui è parte. Non diversamente pensa san Tommaso, ad esempio in Summa Theologiae, I-II, q. 9030.
Più avanti, e siamo al pensiero di Kant, lo stato domestico «è un rapporto di comunità tra esseri liberi che, per la reciproca influenza (della persona dell’uno sulla persona dell’altro), formano, secondo il principio delle libertà esterne, una società, un insieme di membri (di persone viventi in comunità), che si chiama famiglia. Il modo di acquisto di questo stato, e ciò che succede nel medesimo, non si
hanno né per un fatto arbitrario, né per un semplice contratto, ma soltanto per una legge». Sarebbe una legge esterna cioè a stabilire la famiglia. Si assiste così ad un progressivo allontanamento della famiglia dallo stato di natura e dalla rivelazione cristiana, risultando – la famiglia – sempre più un fatto privato, casomai da dover disciplinare secondo leggi positive.

Se la famiglia per la Chiesa è, come stiamo sviluppando, luogo per la conoscenza della dignità della persona, luogo per la crescita della stessa, per la realizzazione in pienezza dell’essere uomo, prima via per la trasmissione della vita e della fede, è pur vero che nella cultura dominante di oggi si è affermato un processo di privatizzazione della famiglia, considerata soprattutto come luogo di gratificazione affettiva, sentimentale e sessuale degli adulti. Viene pubblicizzato come ideale di vita il benessere individuale, gettando discredito sui legami stabili del matrimonio e della genitorialità, promuovendo l’esercizio puramente ludico della sessualità. Non si tiene conto  dell’importanza del rapporto stabile di coppia e del bene prioritario che sono i bambini. Si percepisce la famiglia non come una piccola comunità, soggetto di diritti e di doveri, ma come una somma di individui che abitano temporaneamente sotto lo stesso tetto per convergenza di interessi; non come una risorsa per la società da valorizzare, ma come un insieme di bisogni e desideri individuali in cerca di soddisfazione.

In questo contesto assume proporzioni sempre più preoccupanti la triplice crisi del matrimonio, della natalità e dell’educazione. L’insufficienza dell’educazione è messa in risalto dalla larga diffusione tra i giovani di atteggiamenti negativi e devianze sociali. Molti di essi, anche se economicamente benestanti, crescono poveri di ideali e di speranze, spiritualmente vuoti, interessati solo al tifo sportivo, alle canzoni di successo, ai vestiti firmati, ai viaggi pubblicizzati, alle emozioni del sesso. Spesso, per uscire dalla noia e dall’insicurezza, si mettono in gruppo e diventano trasgressivi: bullismo, vandalismo, droga, rapine, stupri, delitti.

I figli che crescono con un solo genitore hanno doppia probabilità di delinquere rispetto a quelli che vivono insieme con ambedue i genitori. Un quarto dei figli di genitori separati presenta problemi duraturi di equilibrio psichico, di rendimento scolastico e di adattamento sociale in misura doppia rispetto ai figli di genitori uniti, perché i bambini hanno un vitale bisogno di essere amati da genitori che si vogliono bene innanzitutto tra loro.
Alla crisi del matrimonio, della natalità e dell’educazione corrisponde la crisi della società europea, o se vogliamo, delle società occidentali, che appaiono piuttosto stanche e decadenti. L’opinione pubblica è sensibile soprattutto al mercato e ai diritti individuali. Mancano ideali, speranze, progetti condivisi. Mancano la gioia di vivere e la fiducia verso il futuro. Con il progressivo invecchiamento della popolazione si prospettano anche gravi problemi economici: diminuiranno le forze produttive e aumenteranno le spese per le pensioni, la sanità e l’assistenza, dato che nel 2050 per ogni 100 lavoratori ci saranno 75 pensionati e ogni lavoratore dovrà provvedere a circa 2/3 del sostentamento di un pensionato.

Per lo sviluppo sono necessari l’equilibrio demografico e la formazione del cosiddetto capitale umano, cioè i nuovi cittadini e la loro sana educazione. Perciò la famiglia fondata sul matrimonio è la prima risorsa sociale, è un soggetto di interesse pubblico non equiparabile ad altre forme di convivenza di carattere privato.
Lo sviluppo della società non dipende soprattutto dalla produzione del reddito, ma  dalla qualità delle relazioni.
Come già Aristotele insegnava, i beni possono essere strumentali in quanto voluti in funzione di qualcos’altro oppure possono essere gratuiti in quanto voluti per se stessi come un fine. Del primo tipo sono le cose utili, i servizi, la tecnologia, la ricchezza; del secondo tipo sono la contemplazione della natura, la poesia, la musica, l’arte, la festa, l’amicizia, la preghiera. Sia i beni strumentali sia i beni gratuiti sono necessari per la vita e la felicità dell’uomo e vanno perseguiti in modo ordinato secondo la gerarchia dei valori e al momento opportuno. Le persone, sebbene da esse si possano ottenere molti benefici, non devono mai essere ridotte a
puro strumento. Solo l’amore gratuito è all’altezza della loro dignità. È lecito e anche necessario cercare negli altri il proprio utile, ma sarebbe cieco egoismo e grave disordine morale ridurre a questo il rapporto con loro. Gli altri sono un bene in se stessi e devo cercare il loro bene con la stessa serietà con cui cerco il mio; devo farmi carico, secondo le mie possibilità, della loro crescita umana, affrontando anche il sacrificio e portando il peso dei loro limiti e peccati, come ha fatto Gesù nei confronti di tutti gli uomini.
Come il mercato è l’istituzione tipica dello scambio di beni strumentali, così la famiglia è l’istituzione paradigmatica della gratuità e dell’amore. In una famiglia autentica ognuno considera gli altri non solo come un bene utile per la propria vita, ma come un bene in se stessi, un bene insostituibile, senza prezzo. Se c’è un’attenzione preferenziale è per i più deboli: bambini, malati, disabili, anziani. La famiglia, nella misura in cui è unita e aperta, alimenta in tutti i suoi membri e specialmente nei figli le cosiddette virtù sociali: il rispetto per la dignità di ogni persona, la fiducia in se stessi, negli altri e nelle istituzioni, la responsabilità per il bene proprio e degli altri, la sincerità, la fedeltà, il perdono, la condivisione, la laboriosità, la collaborazione, la progettualità, la sobrietà, la propensione al risparmio, la generosità verso i poveri, l’impegno fino al sacrificio e altre virtù preziose per la coesione e lo sviluppo della società.

Le virtù sociali incidono positivamente anche nell’economia. Oggi le imprese diventano sempre più immateriali e relazionali; più che il capitale fisico, richiedono le risorse umane: conoscenza, idee nuove, iniziativa, gusto del lavoro, capacità di progettare e lavorare insieme, impegno per il bene comune, affidabilità. Il mercato,
istituzione dello scambio utilitario, ha bisogno di energie morali, di fiducia, gratuità e solidarietà, che vengono generate specialmente dalla famiglia istituzione del dono. È questo l’insegnamento di Benedetto XVI nell’ultima Enciclica Caritas in veritate: «Anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono possono e devono trovare posto dentro la normale attività economica».
L’ipertrofia dell’utilitarismo, che porta a cercare il massimo profitto ad ogni costo, finisce per danneggiare il bene comune della società e pregiudicare la stessa felicità individuale, che in realtà dipende più dalla qualità delle relazioni che dall’aumento del reddito.
La crisi economica favorisce le difficoltà relazionali nelle famiglie. E, a loro volta sommandosi ai problemi occupazionali, «i conflitti di coppia, quelli generazionali, quelli tra tempi della famiglia e per il lavoro, creano una complessa situazione di disagio che influenza lo stesso vivere sociale». Lo ha sottolineato Papa Benedetto XVI nel discorso rivolto, il 15 ottobre 2011, alla Fondazione “Centesimus
annus – Pro Pontifice” alla quale chiede di impegnarsi per “una nuova sintesi armonica tra famiglia e lavoro”, a cui la Dottrina sociale della Chiesa può dare il suo contributo. Infatti, nella visione cristiana, economia e famiglia si salvano insieme.

Ricordando i vent’anni dell’Enciclica Centesimus annus, il Papa elenca in questa prospettiva i “quattro compiti” che Giovanni Paolo II aveva indicato per le famiglie cristiane:

a. la formazione di una comunità di persone;
b. il servizio alla vita;
c. la partecipazione sociale;
d. la partecipazione ecclesiale.
«Sono tutte funzioni – spiega – alla cui base c’è l’amore, ed è a questo che educa e forma la famiglia». «L’amore – afferma il Papa citando il suo venerato predecessore – tra l’uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata ed allargata, l’amore tra i membri della stessa famiglia è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, che conduce la famiglia a una comunione sempre più profonda ed intensa, fondamento e anima della comunità coniugale e familiare». «Allo stesso modo – continua – l’amore è alla base del servizio alla vita, fondato sulla cooperazione che la famiglia dona alla continuità della creazione, alla procreazione dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio». Ed è, prosegue il Pontefice, «primariamente nella famiglia che si apprende come il giusto atteggiamento da vivere nell’ambito della società, anche nel mondo del lavoro, dell’economia, dell’impresa, deve essere guidato dalla Caritas, nella logica della gratuità, della solidarietà e della responsabilità gli uni per gli altri». Infatti, «le relazioni tra i membri della comunità familiare – osserva il Papa citando ancora il beato Giovanni Paolo II – sono ispirate e guidate dalla legge della gratuità che, rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda». Per Benedetto XVI, «in questa prospettiva la famiglia, da mero oggetto, diventa soggetto attivo e capace di ricordare il ‘volto umano’ che deve avere il mondo dell’economia». E, concludendo, rivolto a economisti e imprenditori che partecipavano ai lavori della Fondazione, «se questo vale per la società in genere, assume rilievo ancora maggiore nella comunità ecclesiale» nella quale “la famiglia ha un posto di rilievo: non è semplicemente destinataria dell’azione pastorale, ma ne è protagonista, chiamata a prendere parte all’evangelizzazione in modo proprio e originale, mettendo al servizio della Chiesa stessa e della società il proprio essere e il proprio agire”.

Vincenzo Massimo Majuri  da Quaderno n.10 di Scienza e Vita

Fa che io sia meno indegno possibile della Santità della mia Sposa

Il mio si’ a Dio? Ora pulisco vetri – testimonianza di Silvia