L’adultera “adolescente” e la fidanzata scaricata da un futuro prete

Caro padre Aldo, quattordici anni fa avevo un ragazzo che mi lasciò dopo un anno e mezzo per «passare più tempo con Gesù, con il prete della mia parrocchia, con i miei amici». Un anno dopo seppi che era entrato in seminario, e ora è prete. Soffersi tantissimo perché per me fu uno strappo disumano. Ma al di là di questo, il mio ex ragazzo aveva letteralmente paura della sua attrazione verso di me. Mi sentirei di dire che aveva qualche problema con la sfera delle relazioni con l’altro sesso. Secondo me l’entrata in seminario gli ha fornito un alibi per non confrontarsi con il proprio problema. Questa consapevolezza è ciò che mi fa soffrire oggi, quattordici anni dopo. Di certo sarà un buon prete, specialmente nel senso “aggregazionale” del termine, ma non avrà fatto pace con se stesso fino al giorno in cui non verrà messo di fronte a una ri-scelta, e non sceglierà in maniera matura.

Oh, poi, chi sono io per definire ciò che è maturo e ciò che non lo è? E che cosa ne so del percorso che ha fatto? La mia presunzione di immaginare che le cose non siano cambiate nasce dall’unico scambio di messaggi tra noi, che risale al periodo della sua ordinazione. Al mio annuncio che mi sono ammalata di cancro, la sua reazione è stata: «Tempo fa mi ha detto T. A. che eri stata gravemente malata, ma non sapevo che avessi un tumore. Certamente continuerò a pregare per te, come ho fatto in questo tempo, perché il Signore non ti faccia mancare la sua compagnia attraverso i tuoi amici e perché la tua vita sia lieta, ora anche nella malattia. Non so immaginare se sei a casa tua o ricoverata, se la malattia è molto avanzata oppure no. Non so immaginare neppure che cammino ha preso la tua vita. Spero davvero che tu sia felice e in questo ti assicuro la mia vicinanza attraverso la preghiera. Nella sincerità del bene che ti ho sempre voluto riconosco che in molti istanti mi sono accontentato di molto meno rispetto all’infinita promessa di cui siamo fatti oggetto, momenti di possesso di cui ho provato dispiacere. Di questo sento il bisogno di chiedere perdono per consegnarmi tutto a Cristo ora che gli dirò il mio sì».

Mi sembra una reazione un po’ verbosa e tutt’altro che concreta, se non nel riferimento al “possesso” che davvero non so a cosa si possa riferire: ai dieci baci che ci scambiammo in quell’anno e mezzo? E come farei ad essere felice di fronte a chi scappa da sé (e da me)? Scusami, padre Aldo. So che a questo non c’è risposta. Ma resterò ferita, oramai per sempre, perché so che questo uomo è solo un mezzo uomo, e per di più coperto dall’alibi del prete.

Lettera firmata

Caro padre, la ringrazio per tutto quello che lei è per la mia vita. È infatti da alcuni anni che i miei amici mi parlano di lei, da quando nella mia vita è iniziato un periodo brutto e allo stesso tempo il più bello che io abbia mai vissuto, ma loro ne sono all’oscuro. Io ora vorrei farle una domanda, ben sapendo quale scandalo provocherà.

Io sono un’adultera. Ho incontrato l’amore della mia vita troppo tardi. Ora qualunque passo io faccia, in una direzione o nell’altra qualcuno soffrirà molto. Non voglio fare questa scelta e la mia domanda è: decido per essere felice con l’uomo che amo o rimango infelice con un uomo che non amo, ma che ho sposato, oppure devo rinunciare a tutti e due? So, che i miei problemi sono minuscoli di fronte a quelli gravi del mondo, ma ora non posso fare altro che implorare l’unica persona a cui posso dirlo, lei. La mia piccola vita è stata investita dalla grandezza di Gesù attraverso la sua esperienza, padre, e la mia coscienza ora mi dice una cosa, mentre il cuore ne chiede una diversa. La prego padre, mi aiuti.

Lettera firmata

Misteri del cuore umano! Quante grida di umanità ferita arrivano al mio cuore tutti i giorni. Non solo quelle delle mie bambine violate o gli sguardi silenziosi e molte volte disperati dei miei malati che, ridotti fisicamente all’impotenza totale, supplicano: «Padre, aiutami, non ce la faccio più!», ma anche di tante persone da tutto il mondo. Non esiste dramma, per quanto “adolescenziale”, che non meriti la massima attenzione, perché è sempre un grido umano che germoglia da una ferita.
Può suscitare perplessità o ilarità, per esempio, che un adulto perda la testa per una ragazza; la ferita che apre è tuttavia sempre una ferita umana e merita rispetto. Rispetto nel senso etimologico della parola che significa guardare quel che accade, con la coda dell’occhio fissa al Mistero.

Le due lettere descrivono fatti che possono capitare a chiunque. Per questo san Paolo afferma «qui stat videat ne cadat». È un invito a non barare con la propria umanità, a non dare per scontati i nostri sentimenti, il nostro impegno con la vita. Che una donna o un uomo possano innamorarsi essendo sposati non mi sorprende. L’innamoramento accade e molte volte è una positività per scuoterci dal borghesismo che viviamo, dal quale è sparita qualunque forma di drammaticità.

Il mio amore per sempre
Una vita matrimoniale della quale si è perso il senso, la bellezza del sacramento, è inevitabile che sbocchi in una posizione adolescenziale come quella della signora: «Decido di essere felice con l’uomo che amo o rimango infelice con un uomo che non amo, ma che ho sposato?». Mi ricorda il gioco del “m’ama, non m’ama”. Cara signora, quello che lei chiama «l’amore che mi rende felice» è semplicemente un sentimento adolescenziale che si scioglie in poco tempo come neve al sole.
Quando guardo alla mia esperienza, alla ragione per la quale sto in Paraguay, non mi è mai nemmeno passata per la testa questa alternativa. E le confesso che ero impazzito per quella persona fino ad arrivare a un esaurimento le cui conseguenze mi segnano ancora. Ma mai e poi mai avrei rinunciato alla mia vocazione, al sacramento, per seguire un sentimento che mi avrebbe legato con una catena. Nel tempo sarebbe svanito nel nulla. Se in realtà io le volevo bene – ancora adesso gliene voglio – dovevo prendere sul serio la mia vocazione, il destino che il Mistero mi aveva assegnato.

Furono anni bellissimi e durissimi. Una guerra tra sentimento e ragione, perché la ragione percepisce immediatamente il valore di un fatto mentre il sentimento ha bisogno di un lavoro continuo per essere riportato a vivere in equilibrio con la ragione. Un lungo cammino di grazia in cui la sofferenza per passare dal possesso alla libertà si fa sentire fin nelle ossa. Solo quando il sentimento respira con l’aria fresca della ragione possiamo parlare di amore autentico, gratuito e per sempre.

Molte volte ho pensato di diventare pazzo, ma la serietà verso la mia umanità, sostenuta dalla Grazia e da una compagnia, non solo mi ha impedito di buttare nella spazzatura la perla della mia vocazione, ma mi ha anche permesso di sperimentare la bellezza di un amore verginale per una persona che il destino ha messo nella mia vita perché io diventassi – come affermò don Giussani – sempre più un uomo libero. Non che la lotta sia finita: porto in me questo lavoro che don Giussani, nel Senso religioso, chiama «moralità nella conoscenza». Una moralità che esige un’ascesi continua per imparare «l’amore alla verità dell’oggetto più di quanto si sia attaccati alle opinioni che già ci siamo fatti su di esso». O la verifica della fede arriva a questi dettagli o diventeremo, con il passare del tempo, dei vecchi amareggiati.
La stessa posizione è necessaria all’amica che non riesce a riconoscere la grazia del fatto che il suo ex fidanzato sia ora sacerdote e che dopo quattordici anni continua a essere arrabbiata fino non riuscire a cogliere la bellezza e la tenerezza che lui le testimonia nella lettera scritta alla vigilia del suo sì definitivo a Cristo.

Il rifiuto porta all’amarezza
Non riconoscere l’opera del Mistero che agisce equivale ad autodistruggersi. Ne vale la pena? La nostra libertà riconosce la voce del Mistero che chiama, oppure la respinge; e il rifiuto porta alla rabbia, all’amarezza, alla perdita del senso della vita. E pensare che sarebbe semplice ubbidire alla realtà, arrendersi alla realtà. Spero che la cara amica possa riconoscere la grazia e la drammaticità del fatto che Dio ha chiamato il suo ex fidanzato a un’appartenenza totale a Cristo.

Chi ubbidisce al Signore che si fa presente nella realtà è sempre un uomo compiuto. Altrimenti vive amareggiato o frustrato. È una guerra contro la propria visione della realtà, ma nel tempo si sperimenta una letizia nell’evidenza che non solo non si è perso nulla, non si è perso quell’uomo, ma anzi adesso veramente lo si possiede come ogni cuore desidera possedere l’oggetto amato. Parole di un vecchio combattente che continua a lottare per la verità della sua vita e che da oggi ha due amiche in più per cui pregare e offrire.

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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