No all’eutanasia e alla cultura della morte. Sì all’aiuto a chi soffre

Foto di StockSnap da Pixabay

Il Parlamento ha votato la legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento, pressata da una campagna mediatica di suggestione e disinformazione, alimentata da “casi” drammatici ma strumentalizzati. Quello che segue è un sintetico confronto fra i luoghi comuni e la realtà dei fatti.

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Nutrizione e idratazione

Slogan – Chi si alimenta artificialmente vive in una sofferenza così intollerabile da giustificare che a essa si ponga termine.
Realtà – Nutrizione e idratazione non possono qualificarsi trattamenti sanitari, anche se avvengono in modo artificiale. Tale legge trasformerà quella che è un’alimentazione per altra via in un’arma letale: la sua interruzione provocherà la morte per fame e per sete. Quale umanità c’è in questo? Senza considerare i non pochi che si sono ripresi da tale condizione.

Dat = eutanasia

Slogan – La nuova legge attuerà in Italia le convenzioni internazionali sulla dignità del morire 
Realtà – Nella legge attuale sono scomparsi il riconoscimento del diritto inviolabile alla vita e i divieti di eutanasia, sia attiva che passiva, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio. Essa parla di disposizioni e non di dichiarazioni anticipate di trattamento: la disposizione è un ordine, che orienta alla vincolatività, in spregio alla Convenzione di Oviedo del 1997, per la quale «i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”. “Tenere in considerazione” è qualcosa di diverso dall’obbligo di “rispettare la volontà espressa dal paziente” sull’interruzione del trattamento sanitario, previsto dalle nuove norme.

Libertà di rifiutare le cure

Slogan – Devono cessare le costrizioni a trattamenti sanitari per i quali non si è dato il consenso. Non può accadere, come è stato per il dj Fabo, che per rifiutare la cura si debba andare all’estero.
Realtà – L’ordinamento permette già a chiunque di rifiutare trattamenti sanitari di qualsiasi tipo e disciplina in modo chiaro il consenso a qualsiasi terapia: nulla impediva in origine al dj di manifestare questo rifiuto. La  legge – come ha detto la relatrice on. Lenzi (intervista a “la Repubblica” del 28 febbraio) – potrebbe non risolvere casi come quello del dj – un vero e proprio aiuto al suicidio –, con un trattamento che ha provocato in via diretta la morte. Così come è stata approvata per giungere a questo, è onesto usare la parola adatta: eutanasia. La “cultura della morte” promossa da questa proposta farà sentire l’ammalato sempre più fonte di fastidio per gli altri, invece che persona bisognosa di aiuto.

Accanimento terapeutico

Slogan – La proposta di legge pone fine alle cure sproporzionate, che torturano il paziente. 
Realtà – Oggi negli ospedali, anche a causa dei tagli nel bilancio della Salute, vi è il rischio non già di cure inutili, bensì dell’abbandono del paziente, soprattutto quando è avanti negli anni o è colpito da gravi patologie, anche mentali. La legge si applicherà a persone incapaci di esprimersi e di fare scelte consapevoli in momenti della vita e in contesti diversi, e il medico diventerà un esecutore di morte.

Incapaci e minori

Slogan – La proposta di legge evita le sofferenze inutili soprattutto a chi non è in grado di determinarsi. 
Realtà – Minori e incapaci saranno le prime vittime sicure della nuova legge. Rispetto a una d.a.t. resa in precedenza, l’eventuale revoca può essere fatta da una persona capace, ma non da un incapace. Verso i minori, talora perfino neonati, si realizzerà una eutanasia di non consenziente: in questi casi colui che decide non è il paziente, e questo dilata gli arbitrii e le interpretazioni errate di una volontà comunque non matura. In Belgio e in Olanda norme simili hanno moltiplicato le soppressioni di bambini, arrivando a presumere un disagio psichico, con “comitati etici” chiamati a stabilire il livello di qualità della vita degna di essere vissuta, e quindi a essere padroni della vita e della morte.

Alternative alla morte

Slogan – Chi è un malato inguaribile non ha alternative se non la garanzia di un fine vita “dignitoso” col ricorso all’eutanasia.
Realtà – È possibile controllare sia il dolore sia gli altri sintomi legati alla malattia di base con il ricorso alle cure palliative. Il vero problema è che oggi in Italia i malati inguaribili che riescono a godere delle cure palliative sono ancora troppo pochi. Neanche il 30% di chi è affetto da patologie tumorali riesce ad avere accesso alle cure palliative, mentre sono molti di meno coloro che soffrono per altre malattie. L’obiettivo di una legge e di un’azione di governo deve essere la presa in carico, non l’abbandono, del malato, e la sua partecipazione alla pianificazione delle cure.

La professione del medico

Slogan – La legge fa uscire il medico dall’incertezza e dal disagio.
Realtà – Se legge stravolge la professione del medico, per il quale ammette espressamente di imporre condotte illecite: altrimenti non avrebbe bisogno di precisare che  il medico che esegue una d.a.t. è esente da responsabilità penale e civile. Che cosa accade se il medico ritiene in coscienza che il paziente che ha firmato una d.a.t. sia curabile con successo? Non è permessa l’obiezione di coscienza, a differenza di quanto accade per l’aborto. Il medico viene caricato di decisioni comunque a rischio di denuncia, compromettendo il suo rapporto col paziente. La preoccupazione del medico, pure in fase di emergenza, sarà non più di curare al meglio, bensì di cercare a propria tutela eventuali d.a.t., la cui violazione potrebbe costargli cara.


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Nelle pagine precedenti abbiamo esposto le principali riserve a una legge inemendabile. Essa rende disponibile il diritto alla vita, orienta la medicina non al bene del paziente, mortifica e deprime in modo grave la professionalità, la competenza e l’etica del medico.
Quel che è più grave: questa legge aumenterà la lontananza e il distacco verso persone affette da gravi disabilità, che vogliono affrontare la sfida della vita, ma hanno bisogno di vicinanza e di sostegno, insieme con le loro famiglie, e non di sentirsi un peso. “Staccare la spina” è comodo e finanziariamente conveniente: ma è una “soluzione” disumana, che uccide la speranza, insieme con la vita di esseri umani, il cui diritto non si affievolisce a causa della malattia. L’obiettivo da porsi è eliminare la sofferenza del paziente, non eliminare il paziente. L’esperienza di altre Nazioni dimostra che la moltiplicazione dell’accesso alle cure palliative fa diminuire la richiesta di eutanasia.

Se desideri approfondire il tema ti invitiamo a visitare il sito www.centrostudilivatino.it.
Troverai anche l’appello dei giuristi contro la legge che, se giurista, ti chiediamo di sottoscrivere.

Il Centro studi Livatino, presieduto dal prof. Mauro Ronco, è composto da magistrati, avvocati e docenti di materie giuridiche. Svolge un lavoro di studio e di approfondimento sui profili giuridici collegati ai temi della vita, della famiglia e della libertà religiosa. Oltre che nella cura del sito, è impegnato in workshop periodici e convegni pubblici. Attraverso i propri iscritti, partecipa a conferenze e seminari e collabora a varie testate giornalistiche sugli argomenti prima ricordati.
Per informazioni e corrispondenza: info@centrostudilivatino.it


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