Se non venissero più a comprare il nostro corpo noi non saremmo qui

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Incontriamo Elena ogni settimana al suo posto. Alta, bionda, bella: potrebbe essere una modella come se ne vedono tante sui giornali e in televisione. O una ragazza come ne vediamo nelle nostre città, che va a scuola, pratica sport, ha tanti amici e tanti ragazzi che le girano intorno.

Eppure ogni settimana ci accorgiamo che la sua tristezza intrisa di rassegnazione si fa più intensa. Elena lavora sulla strada già da quattro anni. Il suo ragazzo- protettore la sorveglia da vicino, passando spesso con l’auto per verificare se “non perde tempo”. Infatti, con lei non possiamo fermarci a lungo.

Non c’è domenica, non c’è mai festa per Elena. Con qualsiasi tempo, pioggia e gelo in inverno, caldo e sole cocente in estate, da quattro anni ogni giorno per Elena è sempre uguale al precedente. Si parte da Milano con il treno al mattino e si torna alla sera alle otto: subito una doccia per lavare via le mille mani che ti hanno toccato fuori e dentro, poi la cena e quindi a letto stanca morta. Se ha guadagnato tanto lui è contento e di buon umore, se ha guadagnato poco allora cominciano le scenate e a volte le botte. Ma Elena accetta tutto questo con rassegnazione, perché “questo è il mio destino e se voglio un giorno tornare dalla mia famiglia e nel mio Paese non posso lasciarlo”.

A volte Elena ricorda insieme a noi, con malinconia, di aver giocato in una squadra di pallavolo di serie A. Quelli erano i tempi delle belle speranze degli innamoramenti, delle dolci illusioni.

Ma poi la vita è andata in un altro modo; come per la Silvia di leopardiana memoria, le belle illusioni hanno lasciato spazio alla dura realtà, al disincanto freddo di una vita sulla strada spesa a soddisfare i desideri di sconosciuti che si presentano ad ogni ora con richieste di prestazioni sempre più strane, con il rischio, sempre in agguato, di essere derubate, picchiate, violentate e qualche volta uccise dallo squilibrato di turno.

“Se gli Italiani non venissero più a comprare il nostro corpo – dice spesso Elena – noi non saremmo qui”. Ha ragione Elena.

Allora con lei cerchiamo di tenere acceso il fuoco della speranza, la speranza di un futuro migliore, perché la vita è in debito con lei. Essere segno di speranza diventa con lei il nostro compito principale. Far capire che questa sua vita può essere cambiata, che solo lei con la sua volontà può mettere la parola fine e voltare per sempre pagina, anche se questo comporta dei sacrifici e dei rischi. È la nostra priorità.

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