Chiesa: corpo o collegio?

Contro l’assolutizzazione del concetto di collegialità, difendiamo il Corpo di Cristo, cioè la Chiesa. Alcuni teologi e vescovi sottolineano in modo insistente e ossessivo il fondamento collegiale della Chiesa e ne assolutizzano il concetto.

Il concetto di “collegio”, però, non è adeguato a descrivere la caratteristica peculiare della Chiesa Cattolica voluta e costruita da Nostro Signore Gesù Cristo.

Per collegio, infatti, si intende un insieme di persone unite da una medesima professione: tale parola sottolinea il legame, l’aspetto unitivo, essa si riferisce,dunque, ad un aspetto comune e paritario senza entrare nel merito delle differenze che esistono fra le persone che condividono la stessa professione (cioè che professano una stessa idea o esercitano uno stesso lavoro o perseguono uno stesso fine).

La Chiesa Cattolica non è un semplice “collegio” ma un CORPO. Scrive l’Apostolo Paolo:- E’ Lui ( Cristo ) che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere i fratelli idonei a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo ( cioè la Chiesa ), finché arriviamo tutti all’ unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio (.) Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trascinare nell’errore- ( Efesini 4,11-14 ).-

E’ vero che nella Chiesa tutti “abbiamo lo Spirito Santo “. Ma non nello stesso modo. C’è chi lo ha per credere ed eventualmente per indagare le profondità della fede e chi lo ha per insegnare.

“”(.) Se la Chiesa è un corpo, non tutti i suoi membri hanno le stesse funzioni. C’è chi guida e chi è guidato.Corpo dice organicità, cioè struttura, differenziazione e vita. Tutto deve essere attivo in un corpo, ma in modo differenziato “”
( Don Piero Cantoni, L’infallibilità del magistero del Papa, in Processi alla Chiesa a cura di Franco Cardini, Piemme, Casale Monferrato 1994, p.142 e p.133).

Come ogni organismo ha bisogno di un capo, quale centro di integrazione e di unità fra tutte le parti, così gli apostoli hanno bisogno di un capo. Gesù conferisce il primato a Pietro che è il Vescovo dei vescovi: gli apostoli devono insegnare in comunione con Pietro e sotto la sua autorità.

Gesù cambia il nome di Simone in Pietro, che significa roccia ( cfr Gv 1,42, Mt10,2; Mc 3,16; Lc 6,14 ): il nuovo nome di Pietro ricorre nel Nuovo testamento più di 150 volte. Quando Dio cambia nome ad un uomo lo incarica di una missione speciale: si pensi al nuovo nome che Abramo riceve ( Gn 17,5 ).

Infatti, Gesù promette a Pietro il primato – E io ti dico: tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli-( Mt 16,18-19 ). Il primato di Pietro non vuol dire impeccabilità personale, ma compito di confermare gli altri apostoli e i fedeli tutti nella verità: – Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli- ( Lc 22,31-32 ): quando Pietro parla a nome di tutta la Chiesa per insegnare, allora è Cristo che parla attraverso lui.

Gesù per tre volte dice a Simone di pascere le sue pecore ( Gv 21,15-17 ): pascere un gregge vuol dire procurargli il cibo spirituale e tenerlo unito contro le minacce dall’interno e dall’esterno. Dopo la resurrezione e ascensione di Gesù, Pietro esercita il primato: provoca e dirige l’elezione di Mattia ( At 1,15-26 ), tiene un discorso a nome di tutti gli apostoli nel giorno di Pentecoste ( At 2,14-41 ), difende la causa del Vangelo contro le autorità giudaiche ( At 4,8; 5,29 ), pronuncia la sentenza contro Anania e Saffira ( At 5,1-11 ), decide l’ ammissione del pagano Cornelio al cristianesimo ( At 10,47; 15,7 ), dirige il concilio di Gerusalemme ( At 15, 7-12 ).

Pietro è la – roccia – sul quale Cristo fonda la sua Chiesa, ma come individuo egli è mortale come tutti. E’ evidente che Pietro deve avere successori, di modo che le – porte degli inferi – cioè le potenze del male, non prevalgano contro la Chiesa: lo stesso vale per il possesso delle chiavi del Regno ( potere di amministrare i beni spirituali ), per il potere di legare e sciogliere  ( cioè di dirigere la comunità ) e per il compito di pascere le pecore.

Il Concilio Vaticano II ( Costituzione Lumen Gentium ) insegna:”” Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli. Infati il romano Pontefice, in forza del suo ufficio, cioè vicario di Cristo e pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D’altra parte, l’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo il romano pontefice, E MAI SENZA QUESTO CAPO, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. (…) Mai può esserci Concilo ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro”” ( Lumen Gentium n.22 ).

( Bruto Maria Bruti )

Bruto Maria Bruti
LA NOSTRA SESSUALITÀ
Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano

pp. 168 – € 15,50
ISBN 978-88-7198-593-0

Questo libro è un sollievo. Il professor Bruti ci parla di cose belle, grandi, importanti. Ci parla di amore, di un progetto personale che si compie nell’unione con l’altro, del desiderio di potersi abbandonare nel completo godimento di un eterno abbraccio. È un sollievo, dicevo, leggere di noi stessi, della nostra sessualità e della persona che amiamo in questi termini. Dopo anni in cui gli «esperti» hanno tentato di convincerci che la gioia è «nient’altro che» un «orgasmo», che la persona amata è «nient’altro che» un «oggetto sessuale», che il sesso è «nient’altro che» un «meccanismo relativamente semplice che provvede alla reazione erotica quando gli stimoli fisici e psichici sono sufficienti», finalmente qualcuno ci dice che in realtà dell’altro ci sarebbe: il nostro desiderio di sentirci amati in modo unico, esclusivo, incondizionato, per sempre (dalla Presentazione di Roberto Marchesini).

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