Aldo Trento: Non affannatevi per la vostra vocazione. I segni di Dio sono nel quotidiano

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Molti giovani mi scrivono mettendo a tema la vocazione. Nella maggioranza dei casi si sentono persi, perché non avendo chiaro ciò che il Signore voglia da loro, si chiedono a cosa serve quello che stanno facendo. È come se avessero la pretesa di avere già chiaro tutto il loro futuro, dimenticandosi quanto affermava Emmanuel Mounier e che don Giussani pubblicò nel volantone di Pasqua nel 1989: «È dalla terra, dalla solidità, che deriva necessariamente un parto pieno di gioia e il sentimento paziente di un’opera che cresce, di tappe che si susseguono, aspettate con calma, con sicurezza. Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne». La vocazione di un uomo è soltanto una e già san Pio X lo affermava: «Dio ha creato l’uomo per conoscerLo, amarLo e servirLo in questa vita, e per godere con Lui nel paradiso». Dio ci ha creati per Lui. Siamo chiamati tutti alla verginità, a vivere come recitiamo nella Messa: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te Dio Padre onore e gloria per i secoli dei secoli. Amen». La forma attraverso la quale siamo chiamati a vivere la verginità, cioè la vita consacrata o il matrimonio per la gloria di Cristo, non dipende da me, ma solo da Cristo che suggerisce alla mia libertà, dentro le circostanze della vita, quale sia la rotta che l’esistenza è chiamata a seguire.

Quando avevo sette anni, guardando il film dedicato alla vita di padre Damiano l’apostolo dei lebbrosi, il Mistero mi ha rivelato la forma pensata per me di come vivere per Lui, mentre altri hanno dovuto aspettare molto più tempo. Il problema è che la nostra libertà riconosca Cristo come l’unica ragione di vita. È necessario aspettare, come dice Mounier, con calma, lasciando aperta la ferita del cuore affinché la verità «io sono Tu che mi fai» non si cristallizzi in dottrina. Perché affannarsi tanto quando è molto più semplice obbedire alla realtà, vivendola intensamente con gli occhi aperti come quelli di Marcellino, il bimbo del famoso film, per scoprire i suggerimenti che il Mistero ci dà attraverso le circostanze nelle quali ci pone? Quello che segue sono la testimonianza di due ragazze che, terminata l’università, obbedendo alla realtà e al proprio cuore, si sono rese conto di come il Mistero ci apra la via nella vita. La prima sotto forma d’intervista, l’altra di una lettera.
Lucilla, 24 anni, è maestra elementare. Dopo tre mesi come volontaria nella Casita de Belén, è tornata in Italia. Quando decise di venire nel nostro paese non si immaginava che l’esperienza con 22 bambini e una Presenza eccezionale l’avrebbe cambiata per sempre, tanto che tornerà in Paraguay a fine di settembre, ma questa volta per rimanere.

Hai deciso di venire in Paraguay e qual è stata la tua esperienza?
A maggio mi sono laureata per diventare maestra elementare. Sono venuta qui perché avevo incontrato padre Aldo e da molto tempo desideravo fare un’esperienza all’estero per cominciare a lavorare. Sono stati tre mesi totalmente intensi e sono passati velocemente, quasi senza rendermene conto. Mi sembra ieri quando sono arrivata alla Casita.

Sappiamo che hai deciso di tornare per rimanere in Paraguay. Com’è successo?
Tutto è cominciato da una bambina della Casita de Belén, Liza, di cui mi sono presa cura e che aveva avuto una paralisi cerebrale. La cosa ironica è che io, quando ero in università avevo avuto la possibilità di decidere se essere maestra di bambini speciali o che hanno dei problemi e in quel momento avevo deciso di no, perché avevo molta paura. Anche quando ho incontrato Liza avevo paura e dubitavo di essere capace di stare con lei. Ma la realtà si impone e dal momento che inizialmente mi avevano chiesto di stare con lei, perché ognuno aveva il suo lavoro, decisi di prendermene cura e di seguirla ogni giorno, cambiandola, dandole da mangiare. Dicendo di sì, davanti a questa bambina, è nata in me un’apertura verso tutto quello che avevo di fronte, soprattutto, verso i bambini che avevo lì, indipendentemente dal problema della lingua che continuo ad avere ancora adesso.

Cos’è la cosa che più ti ha colpita in questa relazione?
L’educazione a vivere l’istante, come dice padre Aldo. Questo significa giocarmi tutta e in tutto ciò che ho di fronte, dall’alzarmi la mattina alle cinque fino ad arrivare alla sera stanca e distrutta, ma contenta.

In quale momento hai preso la decisione di rimanere in Paraguay e perché?
Tutto è successo quando padre Aldo mi chiese se mi sarebbe piaciuto rimanere. Sapevo già la risposta, perché come mi sento la sera, al termine della giornata, è impressionante. Amo moltissimo la mia famiglia, i miei amici, ho alle spalle una storia bellissima, quindi lasciare tutto mi faceva un po’ paura. Arrivavo la sera e facevo un bilancio, e tutto mi diceva che sarei dovuta rimanere qui. Ogni cosa che facevo mi diceva che dovevo stare qui. Questa decisione è stata per l’ennesima volta un sì a quello che ho incontrato, che è anche un amore verso la mia persona. Stare qui, conoscere meglio me stessa ed essere me stessa è stato molto importante. Mi ha permesso di conoscere un lato sconosciuto di me stessa che mi ha sorpresa.

E la tua famiglia come ha reagito davanti a questa decisione? Cosa ti hanno detto?
Raccontavo ai miei amici che la prima cosa che mi ha detto mio papà è che la decisione che sto prendendo è molto forte e che anche per loro è “dura”. Per quello che ho incontrato ringrazio i miei genitori, per l’educazione ricevuta e la vita felice costruita con loro: una storia fatta di una vita gustata. Per questo stesso motivo voglio rimanere qui, perché questa storia, costruita e gustata, questa educazione all’istante, l’ho incontrata anche qui e per questo motivo voglio rimanere. Tutto deriva dall’abbraccio di don Giussani ai miei genitori che lo hanno conosciuto in un momento in cui entrambi provenivano da una famiglia distrutta, disperata e lui (don Giussani) gli ha offerto questo abbraccio che è lo stesso che sto sperimentando io adesso.

Immagino che non è stato facile per te, visto che la vita è sempre complicata…
Certo, sono molto contenta qui, ma non è la «dolce vita». Le difficoltà esistono come in Italia, ma ciò che cambia è la mia posizione, il fatto che posso abbracciare le cose perché io mi sento abbracciata. Mi sento protagonista in questo posto, come quando mi hanno chiesto di diventare il braccio destro di Diana, che è come se fosse la mamma dei bambini. Io generalmente sono molto critica con me stessa, soprattutto quando mi elogiano o si congratulano con me per qualcosa, ma il fatto di essere anche io la “mamma” della Casita de Belén è una cosa grande. E io ho deciso di crescere e diventare protagonista. Mi sento libera e credo sempre di più che questi bimbi siano come la mia famiglia.

Carissimo padre Aldo, desidero condividere con te un tema essenziale nella mia vita e in quella di tanti amici della mia età: la questione della vocazione. Non posso non partire da quello che mi è successo due anni fa, che ha determinato la mia coscienza di oggi.

Finito il liceo inizia per me l’università in un altro paese, lontano dalla famiglia, sento già aria di cambiamenti. Mi ritrovo in corso con una mia amica e un ragazzo di Rimini: noi eravamo le tre matricole di Cl. Lui all’inizio non mi andava particolarmente a genio, era un tipo misterioso, intelligente, acuto, molto bello ma dannato, un po’ trasandato, non particolarmente interessato al movimento. Dopo un anno di studi insieme io mi accorgo che anche a me sta succedendo quello di cui tutti parlano, mi sto innamorando, così prendo coraggio e una sera glielo dico; lui però mi risponde con una frase che al momento non ho capito: «Tu sei la donna della mia vita ma non sei nei miei programmi». Da quel giorno cambia tutto, io che fino a quel momento ero sempre stata spalancata al mondo, libera e curiosa di tutto, inizio a essere travolta solo da questa storia che fin da subito ha preso una forma ambigua. Il nostro stare insieme non aveva un nome, non aveva uno scopo preciso, e io iniziavo a stare male, volevo che lui cambiasse i suoi maledetti programmi. Avevo sempre vissuto e seguito il movimento, in famiglia e a scuola, e tutto questo mi aveva sempre affascinato; ora iniziavo a vivere due vite parallele, una con lui e una con la realtà. Fin da subito gli amici mi hanno messa in guardia su quel modo di stare insieme, mi chiedevano se mi corrispondeva veramente e io ovviamente dicevo sempre di sì. Il tempo passa, ma nulla cambia, anzi a dir la verità io dentro sto impazzendo, lui non rispondeva al mio bisogno di essere voluta bene, non gli interessava quello che muoveva me e che mi faceva essere viva.

Dopo anni di “limbo” decidiamo di metterci insieme e ricordo di aver pensato: «Ora tutto cambierà, tutto sarà perfetto». Avevo desiderato quel momento da sempre e ora era successo, mi sembrava di volare. Ma non ero serena, dentro lo sentivo, c’era qualcosa che non mi convinceva. Con i miei amici il rapporto si era incattivito, non sopportavo che tutti mi dicessero che sbagliavamo, che così non andava bene; ma cosa volevano? Mi sentivo solo giudicata. Questa irrequietezza non mi dava pace così ho iniziato a chiedere alla Madonna di far luce, di chiarire a me cosa dovevo fare. Perché desideravo così tanto una cosa che mi faceva stare male?

Il 6 maggio 2009, a furia di chiedere, Dio mi ha risposto, posso dire con assoluta certezza che ha preso un’iniziativa sulla mia vita. Offrendomi un caffè questo ragazzo mi dice: «È da tre giorni che esco con un’altra, mi sono innamorato, lei è come te, ma è perfetta». Buio totale, colpo al cuore, ero senza fiato, senza parole. Dio aveva preso violentemente iniziativa su di me e mi stava chiedendo: «Tu ci credi che muoio sulla croce per te, perché amo te e per te risorgo?». Ero sconvolta, non riuscivo a dormire, a mangiare, ma più di tutto non riuscivo a capire perché Dio permetteva questo enorme dolore. Pian piano questa Presenza non mi ha più lasciata e facendomi sempre la stessa domanda: «Ci credi che per te muoio e risorgo? Come posso volere il tuo male?». Sto imparando ad amare quel ragazzo molto più di prima perché ora il mio amore è gratuito, sto imparando ad amare il Suo ostinato progetto su di me, perché quando gli dico di sì mi stupisco di quanto opera in me e intorno a me. Per me la vocazione è rispondere a quello che Dio mi pone di fronte tutti i giorni, è rispondere alla domanda: «Credi tu?». La vera preghiera è: «Signore, fammi felice a ogni costo». Credo che questa sia la vocazione. La forma che assumerà lascio a Dio di mostrarmela. Ciò che voglio per me è la posizione della Madonna: aperta e disponibile ad accogliere il volere di Gesù, vivendo intensamente la realtà.
Lettera firmata

Aldo Trento – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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