Anche la Comunità di Don Benzi contro la legge sull’omofobia

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All’attenzione dei parlamentari componenti la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati

Gentili onorevoli, vi ringrazio di avere dato la possibilità di portare un contributo ulteriore all’esame delle 5 proposte di legge in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.Preciso innanzitutto che quello che il mio intervento non esprime un punto di vista personale ma quello della comunità cui appartengo da quasi 30 anni, l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, e che qui rappresento in quanto Animatore generale del servizio ‘Famiglia e vita’ dell’associazione.La nostra Comunità vive nei cinque Continenti a fianco a migliaia di persone emarginate,svantaggiate, vittime di tratta, diversamente abili, portatori di dipendenze ecc. In più di 50 anni di vita ha fatto nascere più di 500 realtà di condivisione tra case famiglia, mense per i poveri, centri di accoglienza, comunità terapeutiche, Capanne di Betlemme per i senzatetto, famiglie aperte e casedi preghiera. Ogni giorno oltre 41 mila persone siedono a tavola con la Comunità in tutto ilmondo. Operiamo anche attraverso progetti di emergenza umanitaria e di cooperazione allosviluppo, e siamo presenti nelle zone di conflitto con un proprio corpo nonviolento di pace,”Operazione Colomba”. Nelle nostre case famiglia abbiamo sviluppato negli anni una variegata capacità di apertura alle differenze. Apertura che non è mai una “grande ammucchiata”, ma una continua conquista e un ammaestramento reciproco. In base al percorso di condivisione che abbiamo fatto in questi anni come associazione riteniamo che queste proposte di legge non migliorino la condizione dei nostri fratelli omosessuali e transessuali mentre introducono nuovi reati nell’ordinamento penale dai margini molto incerti e quindi con ampia discrezionalità di applicazione, attaccando alcuni presupposti fondamentali della ns. società, come la libertà di espressione o di educazione.Riteniamo che lo strumento penale non sia la via per evitare la diffusione dell’odio e delle discriminazioni, bensì che debbano essere attuate serie politiche di prevenzione e sensibilizzazione.
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Riguardo in particolare alla valutazione da parte delle conseguenze per omosessuali e transessuali riporto il contributo di un fratello di comunità che da anni accoglie in casa persone che vivono queste condizioni:“Per la mia esperienza di casa famiglia della Comunità Papà Giovanni XXIII (quarantacinque anni assieme a mia moglie e i figli) posso dire che alla stragrande maggioranza delle persone che vivono la condizione omosessuale e, allargando lo spettro delle situazioni che si differenziano dalla eterosessualità compresi nella sigla LGBTQI… hanno manifestato altri e più sofferti problemi…il carico di domande alle quali non sempre bastano risposte “scorciatoie”, accomodanti. Le persone con le quali abbiamo condiviso sotto lo stesso tetto ci hanno partecipato storie che molto spesso presentavano ferite relazionali, e non lamentavano omofobia, magari disagio come chi è troppo grasso, o troppo basso o troppo scuro di pelle, o troppo timido…Come avviene per tutti però hanno apprezzato rispetto e dignità, terapeutici per una buona integrazione e accettazione di sé…e quando, poi, si è arrivati a scoprire di essere amati e preziosi, è cresciuta l’autostima e la pace. Col tempo si smontavano anche rigidità ideologiche che inibiscono relazioni di fiducia e di amicizia, anche mantenendo alcune divergenze di vedute. Non pochi tendevano alla solitudine o al rifugiarsi in gruppi di simili alla ricerca di un sostegno, anche necessario, ma che col tempo rendeva sempre più difficile una ampia integrazione sociale.La sigla LGBTQI…, ormai entrata in uso, vorrebbe racchiudere e rappresentare situazioni molto diversificate fra loro, ma proprio la sua grande eterogeneità denuncia la impossibilità di essere voce unica di tante persone con storie e idee diverse. Non è vero che le persone omosessuali e “dintorni” chiedono la stessa cosa e hanno le stesse opinioni e sensibilità. Io mi trovo ad essere punto di riferimento di persone comprese nella varietà della sigla LGBT…si parla dei problemi e si coltivano relazioni dove ci si possa raccontare senza essere giudicati. Abbiamo da gestire i nostri pregi e i nostri difetti come per tutti, ma credo si possa dire che non ci si sente rappresentati da questa proposta di legge. Certo è che, come tutti, le persone omosessuali e “dintorni” hanno bisogno di fare il loro viaggio interiore alla scoperta di sé e del proprio ruolo sociale, non di leggi speciali per categorie protette.Non ci sono solo i “felici” personaggi televisivi (Gay deriva da gaio, felice). Anche quello è uno stereotipo. C’è un “sottobosco”, una variegata umanità che ci deve interpellare. C’è un “sottobosco” di sofferenza che niente ha a che fare con la omofobia. Di queste cose la proposta non fa menzione. Chi difende chi dà voce ai tanti drammi e solitudini del “sottobosco” di tanti “ultimi” dimenticati?
Io sono membro della comunità Papa Giovanni XXIII e posso testimoniare come, nella più naturale normalità non poche persone omosessuali sono nelle nostre case, sia come membri effettivi della comunità, sia come accolti per varie ragioni (malattie, tossicodipendenza, carcere o altro) e anche con incarichi significativi. Ci possono essere anche diversità di opinioni, come avviene con chiunque, ma niente a che vedere con atteggiamenti discriminatori. La riflessione sulle responsabilità educative (in ogni contesto umano ognuno è un soggetto educante) di ognuno continua e richiede il contributo di tutti: nella condivisione di vita ci si ammaestra reciprocamente.” Come conferma questo intervento, nella nostra esperienza di condivisione con gli ultimi abbiamo sperimentato che i reali percorsi di inclusione e integrazione passano spesso attraverso l’incontro di due diversità, in uno scambio arricchente di pensieri ed esperienze ed abbiamo constatato che l’efficacia dell’inclusione sociale non si basa tanto sulla “difesa” dei soggetti, quanto piuttosto su un lavoro di consapevolezza e di accettazione delle potenzialità peculiari.

Questi percorsi di integrazione, conoscenza e accettazione tra l’altro sono già positivamente in atto nella nostra società italiana, come testimoniato dall’ISTAT che nel suo Report “La popolazione Omosessuale nella Società Italiana” del 2011, citato anche nel preambolo di una delle proposte,attesta che secondo i cittadini italiani le persone omosessuali e transessuali sono discriminate meno che in passato. “La stragrande maggioranza degli intervistati, infatti, ritiene che sia poco oper niente giustificabile che un lavoratore sia trattato meno bene dei colleghi (96%), che undatore di lavoro non assuma un dipendente con le qualifiche richieste (92,3%), oppure cheun proprietario non dia in affitto una casa a qualcuno (92%) solo “perché omosessuale”.”Questi dati evidenziano che già nel 2011 era presente e diffusa una coscienza degli italiani alla non discriminazione, anche a motivo dell’orientamento sessuale.

Negli ultimi otto anni con lo sviluppo degli strumenti di comunicazione, social e internet, questo gap si è ulteriormente colmato.Le proposte di legge attualmente all’esame della Commissione (nn. 107, 569, 868, 2171, 2255) vorrebbero introdurre nel nostro ordinamento, anche se con modalità differenti, ipotesi di reato volte a sanzionare le condotte di omofobia e transfobia o motivate da altre discriminazioni connesse al genere o all’identità sessuale della persona. Le cinque previsioni hanno tutte in comune di aggiungere l’omofobia alle ipotesi di reato di “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica religiosa”, previste dalla Legge Mancino-Reale, l. n. 205 del 1993,di cui all’art. 604 bis c.p. e della relativa aggravante, di cui all’art. 604 ter c.p. Si diversificano riguardo alle ipotesi di reato di propaganda e istigazione a delinquere, taluna previsione estende anche alle condotte mosse da motivi fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere; altra fa riferimento invece a motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia;altra ancora condanna le condotte mosse da motivi fondati sull’identità sessuale della vittima. Tutti gli articolati abbiamo detto che mirano ad aggiungere l’omofobia alle ipotesi di reato già esistente di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica religiosa, ma bisogna tener conto del fatto che, diversamente dalle discriminazioni per motivi di razza, etnia, religione universalmente riconosciuti e certi, la questione riguardante i contenuti delle varie espressioni quali identità di genere o orientamento sessuale è evidentemente complessa. Trattasi di concetti che non sono definiti e definibili in modo stabile e certo. Le proposte (a parte una e in maniera parziale ed ogni caso sindacabile) non definiscono neppure i concetti di identità sessuale o di identità di genere, arrivando ad affermare nel dossier allegato alla proposta n. 565 a firma dell’On. Zan, che “si tratta di concetti che ricorrono spesso nella nostra legislazione senza essere definiti”. Dunque le disposizioni di cui si discute non hanno né possono avere una definizione certa che permetta di individuare gli elementi delle condotte punibili nell’ambito delle ipotesi di reato, e ciò determina un’evidente violazione del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie penale. L’indeterminatezza delle disposizioni, dovute in ogni caso all’intrinseca difficoltà di inquadramento certo di concetti quali l’identità di genere e orientamento sessuale, rendono quindi preferibile il ricorso a misure di carattere preventivo, dato che lo strumento penale deve costituire sempre l’extrema ratio, come impone la nostra Costituzione. Peraltro, l’indeterminatezza della fattispecie punibile porterebbe certamente a interpretazioni molto diverse fra loro, causando di fatto una situazione di grave disparità di trattamento nell’applicazione della norma assolutamente ingiustificabile e contraria ai principi fondanti del nostro ordinamento già richiamati. Il rispetto del principio di determinatezza del diritto penale è stato elevato a principio supremo dell’ordinamento giuridico dalla Corte Costituzionale. Sul punto si rileva che in una proposta si arriva, riguardo le condotte punibili, a proporre di sostituire la parola “propagandare” con “diffondere in qualsiasi modo” e il termine “istigare” con“incitare”. La vaghezza e l’ampiezza della gamma di condotte a cui ci si potrebbe riferire rendono tale proposta in evidente contrasto con il principio di determinatezza e offensività della norma penale. Il principio di offensività, altro principio fondamentale del nostro ordinamento, non viene altresì garantito nelle proposte. Se non vi è un pericolo concreto per il bene tutelato, l’intervento punitivo non è giustificato; e se il reato ancorato al verificarsi di un evento si comprende che sarà difficilmente accertabile in modo oggettivo dal giudice.
Si palesa, inoltre, la violazione della libertà di riunione (art. 17 Cost.), libertà di associazione (art.18 Cost.), della libertà di espressione (art. 21 Cost.), della libertà di religione (19-20 Cost) dovute all’appartenenza dei reati in questione tra i “reati di opinione”. Questi ultimi devono avere specifiche condizioni in modo da poter essere verificate in modo rigoroso, altrimenti parliamo di un reato basato sul presunto movente d’odio. Evidente che le varie proposte non sono idonee ad assicurare il corretto bilanciamento tra i principi costituzionali in gioco, ovvero la libertà di espressione, di riunione, di associazione e religione ed il principio di eguaglianza (art. 3 Cost), soddisfacendo allo stesso tempo il principio di determinatezza della fattispecie penale.Inoltre l’affermato vuoto normativo, che troviamo in tutte le proposte, non è in realtà esistente. Il nostro sistema penale prevede e disciplina reati che puniscono fattispecie connesse all’omofobia: i delitti contro la vita e l’incolumità personale (art. 575 e ss c.p.), la diffamazione (art. 595 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.), la minaccia (art. 612 c.p.), gli atti persecutori (art. 612 bis c.p.) etc.Conseguentemente, come detto, non essendoci nel nostro ordinamento alcun vuoto normativo,l’approvazione dei progetti di legge presentati comporterebbe di fatto una discriminazione per altre categorie di persone, nei cui confronti si realizzerebbe una grave disparità di trattamento e tutela.L’approvazione quindi dei progetti di leggi di cui si discute porterebbe ad una situazione di vantaggio per alcune persone rispetto ad altre assolutamente immotivata ed ingiustificata,essendo già presenti norme che possono essere richiamate e che possono garantire una tutela ampia e completa per tutte le vittime di violenza e discriminazione. Infine in merito alla giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, da più parti annoverata tra le ragioni che determinano la necessità di normare in materia, si fa presente che se pur vero che le due Corti si sono espresse in passato sul riconoscimento del diritto delle persone dello stesso sesso di vivere liberamente la propria condizione di coppia, ricordiamo che il legislatore nazionale è intervenuto sul diritto delle coppie composte da persone dello stesso sesso con la Legge n. 76 del2016, “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. Ringraziando per l’attenzione dedicata, porgiamo distinti saluti

Andrea Mazzi
Animatore generale Servizio ‘Famiglia e vita’ associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

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