Annalena Tonelli, morta martire per i poveri

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Seguendo le orme di Charles de Foucauld, Annalena Tonelli ha iniziato il suo lavoro a 23 anni (1969) come volontaria a favore dei più poveri tra i poveri in un ospedale di Borama, uno sperduto villaggio del Somaliland (che ha ottenuto l’indipendenza dalla Repubblica somala nel 1991). Aveva 63 anni quando fu ucciso dai fondamentalisti islamici dopo aver sofferto per un’ora. Lo ricordiamo con una lunga testimonianza.

* * *
Mi chiamo Annalena Tonelli. Sono nata in Italia, a Forlì, il 2 Aprile 1943. Lavoro in Sanità da trent’anni, ma non sono medico. Sono laureata in legge in Italia. Sono abilitata all’insegnamento della lingua inglese nelle scuole superiori in Kenya. Ho certificati e diplomi di controllo della tubercolosi in Kenya, di Medicina Tropicale e Comunitaria in Inghilterra, di Leprologia in Spagna. Lasciai l’Italia nel gennaio del 1969. Da allora vivo al servizio dei Somali. Sono trent’anni di condivisione. Ho infatti sempre vissuto con loro a parte piccole interruzioni in altri Paesi per cause di forza maggiore. Scelsi di essere per gli altri (i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati) che ero una bambina e così sono stata e confido di continuare a essere fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo.

Null’altro mi interessava così fortemente: LUI e i poveri in LUI. Per LUI feci una scelta di povertà radicale… anche se povera come un vero povero… i poveri di cui è piena ogni mia giornata… io non potrò essere mai. Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Non sono sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per DIO. Era un’esigenza dell’essere quella di non avere una famiglia mia. E così è stato per grazia di DIO. Ho amici che aiutano me e la mia gente da più di trent’anni. Tutto ho potuto fare grazie a loro, soprattutto gli amici del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo di Forlì. Naturalmente ci sono anche altri amici in diverse parti del mondo. Non potrebbe essere diversamente. I bisogni sono grandi. Ringrazio Dio che me li ha donati e continua a donarmeli.

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Siamo una cosa sola su due brecce diverse nell’apparenza ma uguali nella sostanza: lottiamo perché i poveri possano essere sollevati dalla polvere e liberati, lottiamo perché gli uomini TUTTI possano essere una cosa sola. Lasciai l’Italia dopo sei anni di servizio ai poveri di uno dei bassifondi della mia città natale, ai bambini del locale brefotrofio, alle bambine con handicap mentale e vittime di grossi traumi di una casa famiglia, ai poveri del terzo mondo grazie alle attività del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo che io avevo contribuito a far nascere. Credevo di non poter donarmi completamente rimanendo nel mio Paese… i confini della mia azione mi sembravano così stretti, asfittici… Compresi presto che si può servire e amare dovunque, ma ormai ero in Africa e sentii che era solo DIO che mi ci aveva portata e lì rimasi nella gioia e nella gratitudine.

Partii decisa a “gridare il Vangelo con la vita” sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza. Trentatre anni dopo grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a gridarlo così fino alla fine. Questa la mia motivazione di fondo assieme ad una passione invincibile da… sempre per l’uomo ferito e diminuito senza averlo meritato, al di là della razza, della cultura e della fede. Tento di vivere con un rispetto estremo per i “loro” che il Signore mi ha dato. Ho assunto fin dove è possibile un loro stile di vita. Vivo una vita molto sobria nell’abitazione, nel cibo, nei mezzi di trasporto, negli abiti. Ho rinunciato spontaneamente alle abitudini occidentali. Ho ricercato il dialogo con tutti. Ho dato CARE, amore, fedeltà e passione. Il Signore mi perdoni se dico delle parole troppo grandi.

Sono praticamente sempre vissuta con i Somali, prima con quelli del nord-est del Kenya, dopo con quelli della Somalia. Vivo in un mondo rigidamente mussulmano. […] Ho vissuto gli ultimi cinque anni a Borama, nell’estremo nord-ovest del paese, sul confine con l’Etiopia e Djibouti. Là non c’è nessun cristiano con cui io possa condividere. Due volte all’anno, intorno a Natale e intorno a Pasqua, il vescovo di Djibouti viene a dire la Messa per me e con me.

[…] Vivo calata profondamente in mezzo ai poveri, ai malati, a quelli che nessuno ama. Mi occupo principalmente di controllo e cura della tubercolosi. In Kenya andai come insegnante perché era l’unico lavoro che, all’inizio di una esperienza così nuova e forte, potevo svolgere decentemente senza arrecare danni a nessuno. Furono tempi di intensa preparazione delle lezioni di quasi tutte le materie (per carenza di insegnanti), di studio della lingua locale, della cultura e delle tradizioni, di coinvolgimento intenso nell’insegnamento, nella profonda convinzione che la cultura è forza di liberazione e di crescita. Gli studenti, molti della mia stessa età o appena poco più giovani di me, loro che avevano affrontato il preside quando si era saputo che una donna insegnante sarebbe arrivata assicurandolo che mi avrebbero impedito l’accesso alla classe, furono profondamente coinvolti e motivati.

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[…] Erano i tempi di una terribile carestia… vidi tanta gente morire di fame… Nel corso della mia esistenza, sono stata testimone di un’altra carestia, dieci mesi di fame, a Merca, nel sud della Somalia… e posso dire che si tratta di esperienze così traumatizzanti da mettere in pericolo la fede. […]

Ma il mio primo amore furono i tubercolosi, la gente più abbandonata, più respinta, più rifiutata in quel mondo. La tubercolosi imperversa da secoli in mezzo ai Somali. Si pensa che praticamente tutta la popolazione sia infettata. Provvidenzialmente solo una percentuale delle persone infettate sviluppa la malattia nel corso della sua esistenza. Ero a Wajir, un villaggio desolato nel cuore del deserto del nord-est del Kenya […]. I malati di tubercolosi erano in un reparto da disperati. Quello che più spaccava il cuore era il loro abbandono, la loro sofferenza senza nessun tipo di conforto. Non sapevo nulla di medicina. Cominciai a portare loro l’acqua piovana che raccoglievo dai tetti della bella casa che il governo mi aveva dato come insegnante alla scuola secondaria. Andavo con le taniche piene, svuotavo i loro recipienti con l’acqua salatissima dei pozzi di Wajir, e li riempivo di quell’acqua dolce. […] Tutto mi era contro allora. […] Dopo qualche anno, nella T.B. Manyatta (villaggio) ogni malato consapevole di essere alla fine voleva solo me accanto per morire sentendosi amato.

[…] Nel 1976 mi fu chiesto di diventare responsabile di un progetto dell’OMS per la cura della tubercolosi in mezzo ai nomadi, un progetto pilota in tutta l’Africa. […] La tubercolosi è un flagello nel mondo somalo […] la tubercolosi è parte della gente, della sua storia, della sua lotta per l’esistenza. La tubercolosi è stigma e maledizione […]. A Borama continua la lotta quotidiana per la liberazione dall’ignoranza, dallo stigma, dalla schiavitù ai pregiudizi.

[…] La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che DIO c’è e che LUI è un DIO d’amore. Nulla ci turbi e sempre avanti con DIO. Forse non è facile, anzi può essere un’impresa titanica credere così. In molti sensi è un tale buio la fede, questa fede che è prima di tutto dono e grazia e benedizione… Perché io e non tu? Perché io e non lei, non lui, non loro? Eppure la vita ha senso solo se si ama. Nulla ha senso al di fuori dell’amore. La mia vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli, ho rischiato la morte tante e poi tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, e dunque nella mia carne, la cattiveria dell’uomo, la sua perversità, la sua crudeltà, la sua iniquità. E ne sono uscita con una convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare. […]

[…] Nulla mi importa veramente al di fuori di DIO, al di fuori di Gesù Cristo… i piccoli sì, i sofferenti, io impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita, più sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. E questo amore è tenerezza, comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia. Questo non è un merito. È un’esigenza della mia natura. Ma è certo che in loro io vedo LUI, l’agnello di Dio che patisce nella sua carne i peccati del mondo, che se li carica sulle spalle, che soffre ma con tanto amore …nessuno è al di fuori dell’amore di DIO.

[…] Ma se questo mio “mettermi in pubblico” potesse servire a qualcuno che non crede, a qualcuno che non vive dentro di sé questa straordinaria realtà che DIO ama ogni uomo, dal più degno di amore agli occhi degli uomini al più reietto e disprezzato, all’uomo cattivo, criminale… allora mi metterei in ginocchio e benedirei perché cose grandi ha fatto in me colui che è potente.

[…] Certo la sua voce è spesso piccola e silenziosa… ma poi LUI è nella celletta della nostra anima e non dovrebbe essere così difficile scendere laggiù ed abitare con LUI. Parole? NO. Verità. Realtà. Certo, per la maggioranza di noi uomini sarà ed è necessario fare silenzio, quiete, spegnere il telefonino, buttare il televisore dalla finestra, decidere una volta per tutte di liberarsi dalla schiavitù di ciò che appare e che è importante agli occhi del mondo ma che non conta assolutamente agli occhi di DIO, perché si tratta di non-valori. Ai piedi di DIO noi ritroviamo ogni verità perduta, tutto ciò che era precipitato nel buio diventa luce, tutto ciò che era tempesta si acquieta, tutto ciò che sembrava un valore, ma che valore non è, appare nella sua veste vera e noi ci risvegliamo alla bellezza di una vita onesta, sincera, buona, fatta di cose e non di apparenze, intessuta di bene, aperta agli altri, in tensione onnipresente fortissima affinché gli uomini siano una cosa sola.

[…] La mia vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’amore è inutile, che la mia religione non ha tanti e poi tanti comandamenti ma ne ha uno solo.

[…] Desidero aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di DIO, i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. LUI ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre… I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel campo del servizio. Inventiamo… e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita.

Sig.na Annalena Tonelli
Membro del Comitato
“Lotta contro la fame nel mondo”

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