
Robert Hugh Benson, il formidabile autore del romanzo fantareligioso “Il padrone del mondo” (ed. it. Jaca Book, NdR), libro citato numerose volte da Papa Francesco, nel quale Benson prevede il trionfo (puramente umano) dell’umanitarismo anti cristiano, moriva novant’anni fa (19 ctober 1914, NdR), da cappellano militare, sui campi di battaglia della prima guerra mondiale.
Non voglio qui ricordarlo per il suo celebre romanzo (che, pure, può essere riletto con estremo interesse), ma piuttosto per la storia della sua conversione, che ha portato lui, figlio dell’arcivescovo di Canterbury primate anglicano d’Inghilterra, a diventare cattolico.
Storia che lo stesso Benson ha narrato in una autobiografia (“Confessioni di un Convertito”, ed. it. Gribaudi 1995, NdR) disponibile anche in italiano. La religiosità respirata in ambiente familiare e scolastico era vissuta da Benson più come un inappuntabile modo di ben comportarsi in società che con reale passione interiore; rendere omaggio a Dio era un po’ come acclamare la regina Vittoria.
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Ciò nonostante, per una tradizione consapevolmente accettata, Benson diventa sacerdote. Proprio il suo ministero pastorale lo costringe ad andare a fondo dei contenuti dogmatici del credo professato. E si fa largo in lui la convinzione che la Chiesa anglicana non è in grado di offrirgli la certezza di una autorità indiscutibile.
Come è possibile, si chiede, che non ci sia un punto di sicurezza ultimo che sia in grado di dirmi se, ad esempio, la confessione sacramentale è necessaria, indifferente o addirittura dannosa?
Non può essere che la fede sia del tutto alla mercé della interpretazione dell’individuo, che può da essa trascegliere quello che aggrada alle sue convinzioni e al suo temperamento.
Quanto più il giovane sacerdote cerca di trovare delle solide certezze, tanto più, dai maggiorenti anglicani da lui interpellati, si sente ributtato nel relativismo.
Anche l’analisi strettamente storica sull’origine della sua confessione (confluita nel romanzo dal significativo titolo «Con quale autorità?» [Rizzoli, NdR]) lo allontana dalla sua Chiesa per avvicinarlo a Roma. La lettura, poi, degli scritti del cardinale Newman lo convince definitivamente al grande passo.
Nel 1903, a trentadue anni, viene accolto nella Chiesa cattolica e l’anno successivo diventa sacerdote, dedicandosi ad una intensa attività di scrittore e conferenziere.
Una vicenda significativa anche per il presente.
Non è infatti infrequente trovare oggi una svalutazione del principio di autorità, sintomo del rifiuto del metodo dell’Incarnazione, secondo il quale la comunicazione del divino non passa dai pareri del singolo, ma dall’oggettività di un corpo vivo e guidato autorevolmente.
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Scriveva Benson per spiegare la sua conversione:
«Iniziai a capire che “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”; che se ha scelto la sostanza creata di una Vergine per costituirsi come corpo naturale, allora può anche utilizzare la sostanza creata degli uomini per formare per sé quel corpo mistico attraverso cui Egli si rende presente a noi sempre. Ma allora il cattolicesimo è materialistico? Certo, e lo è come la Creazione e l’Incarnazione, né più né meno».
Pigi Colognesi – Avvenire