
Coraggioso, arguto, passionale, creativo. Giorgio Perlasca e’ un ³eroe normale² che per rispetto della dignita’ umana, non ha accettato che uomini, donne, vecchi e bambini venissero trucidati dalla barbarie nazista.
In questa opera di salvataggio Perlasca non fu solo. Insieme a Gera e Farkas, suoi diretti collaboratori all¹interno dell¹ambasciata, ³Jorge² Perlasca pote’ contare sull’appoggio di una vera e propria rete diplomatica a cui facevano capo la Croce Rossa e i rappresentanti delle ambasciate neutrali di Svezia, Portogallo, Svizzera e Santa Sede. Mons. Angelo Rotta Nunzio Apostolico a Budapest, in particolare ebbe un ruolo decisivo nell¹opera di assistenza agli ebrei. Giorgio ³Jorge² Perlasca resse la legazione di Spagna dal Primo dicembre del 1944 al 16 gennaio del 1945, quando l¹Armata Rossa entrò in quella parte di Bucarest ma già il 17 novembre del 1944, Perlasca partecipò a una riunione di diplomatici neutrali. Al termine di questa riunione Carl Ivan Daniellson ministro svedese, Harold Feheler, incaricato svizzero, mons; Angelo Riotta e Angel Sanz Briz incaricato spagnolo, firmarono un memorandum al Governo Reale Ungherese «affinché questo impedisse la ripresa delle deportazioni degli ebrei». Il memorandum denunciava la mostruosità delle deportazioni, chiedeva la sospensione dei provvedimenti contro gli ebrei ed il rispetto totale dei giudei protetti dalle ambasciate accreditate a Budapest.
Il 22 dicembre del 1944, su iniziativa del Nunzio Apostolico, i rappresentanti di tutte le ambasciate neutrali si incontrarono nell¹ambasciata del Portogallo per redigere una nota diplomatica comune in cui si chiedeva la Governo Reale Ungherese di «intervenire in favore degli ebrei perseguitati». Ed in particolare si chiedeva di «poter tenere i bambini fuori dal Ghetto in cui erano stati rinchiusi gli ebrei». Le ambasciate dei Paesi neutrali e la Croce Rossa si offrirono per provvedere all¹assistenza dei bambini. Racconta Perlasca che dopo la firma chiese un colloquio privato con mons. Rotta. «Gli ho raccontato tutta la verità – ha scritto Perlasca – All¹inizio non voleva crederci, ma poi si è divertito quando gli ho raccontato in che modo ero riuscito a prendermi gioco dei nazisti. Era felice di sentire che ero lombardo come lui».
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Così Mons. Angelo Rotta, fu uno dei pochi a sapere la vera identità del console ³Jorge ²Perlasca. Da allora le storie di Perlasca e mons. Rotta si incroceranno ancora perché entrambi sono stati riconosciuti dal Governo israeliano, ³Giusti tra le Nazioni², ed i loro nomi sono incisi nel muro dell¹onore del Museo Yad Vashem. L¹attività di assistenza agli ebrei di mons. Rotta ebbe inizio già prima che Perlasca arrivasse a Budapest. La Nunziatura Vaticana svolse un¹enorme attività in favore degli ebrei perseguitati dai tedeschi. In un primo tempo, quando le restrizioni razziali erano limitate, la Nunziatura rilasciava un lasciapassare ai cittadini ebrei in cui si attestava che lavoravano per conto del Vaticano con tale incarico. Di questi lasciapassare ne venivano rilasciati in media 500 al giorno. Quando il fronte della guerra si avvicinò definitivamente alla città di Budapest il controllo tedesco divenne asfissiante, e i lasciapassare non erano più garanzia di salvezza, allora la Nunziatura dovette provvedere a nascondere tutti gli ebrei che sarebbero andati incontro ad una morte certa. Il palazzo in cui risiedeva la Nunziatura nella zona alta della città a Budapest era stato bombardato ed era difficile avere abbastanza locali per nascondere ebrei che cercavano aiuto.
Si ricorse allora ai fondaci. Il Palazzo della Nunziatura c¹erano una serie di fitti ed intricati cunicoli da tempo in disuso e dimenticati, li avevano scavati i turchi come opere di fortificazione di Budapest. Quale nascondiglio migliore di quello? Quei cunicoli come catacombe presero ad animarsi, la Nunziatura provvedeva fin dove era possibile al rifornimento di viveri, provvedeva ad avvertirli quando si avvicinava qualche pattuglia della Gestapo. In questo modo migliaia di ebrei ebbero salva la vita.
L¹Arcivescovo Angelo Giuseppe Roncalli, allora Nunzio a Sofia, spedì a mons. Rotta migliaia di certificati d¹immigrazione che aveva ottenuto dagli inglesi, per permettere agli ebrei di fuggire in Palestina. Roncalli dichiarò che mons. Rotta era disposto a fare qualsiasi cosa per assistere gli ebrei. In ricordo di questi fatti Emilio Pincas Lapide, già console di Israele a Milano, ha scritto: «Il 15 marzo 1944 il Nunzio in Ungheria mons. Angelo Rotta in una nota diplomatica di protesta si rivolse al governo ungherese, comunicando il ³profondo dolore del Santo Padre… sul modo inumano con cui veniva trattata la questione ebraica… in crudele violazione del diritto divino ed umano…. Il 25 giugno 1944 il Papa stesso telegrafò al reggente Horthy, chiedendo di cessare subito le deportazioni e minacciando, in caso di rifiuto un Interdetto. Il 21 agosto a conclusione di una seduta, tenutasi presso la Nunziatura, i rappresentanti diplomatici della Santa Sede, della Svezia, del Portogallo, della Spagna e della Svizzera, si rivolsero con una nota in comune al governo di Budapest per richiedere la sospensione immediata di tutte le deportazioni segrete e camuffate. Grazie a questo intervento e a numerosi altri, innumerevoli ebrei furono salvati da morte sicura».
L’eroismo di Perlasca e la barbarie dell¹Armata Rossa
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Paolo Mieli è uno dei giornalisti italiani più noti, inviato de L¹Espresso e di Repubblica, poi direttore de La Stampa e del Corriere della Sera. Mieli è ebreo, la sua famiglia ha pagato un caro prezzo alla Shoah. Rispondendo ad un lettore nella rubrica ³Lettere al Corriere² (Corriere della Sera domenica 3 febbraio 2002) Mieli ha parlato della vicenda Perlasca ed ha scritto: «Qualche giorno fa ho visto anch¹io come milioni di italiani il film televisivo su Giorgio Perlasca. Come tutti i lettori che mi hanno scritto (Andrea Bonacina, Marco Desideri, Pina De Curtis, Gianni Mereghetti, e moltissimi altri) sono rimasto turbato. E sono andato a rileggere le memorie di questo commerciante italiano che, in Ungheria tra il 1944 ed il 1945, si travestì da diplomatico per salvare la vita a moltissimi ebrei.
Il libro si chiama «L¹impostore» e fu pubblicato dal Mulino nel 1997. Ha attirato subito la mia attenzione il fatto che il prefatore di quel testo Giovanni Lugaresi, abbia definito ³liberatori² i soldati dell¹Armata Rossa che nel gennaio del 1945 entrarono a Budapest.
La segnalazione l¹ho trovata nell¹appendice che Perlasca scrisse nell¹ottobre di quello stesso anno. Racconta, Perlasca, di come i russi si comportarono in modo inumano: quando furono nell¹edificio della legazione spagnola, dove lui e i suoi avevano trovato rifugio, si abbandonarono ad ogni genere d sevizia e razzia. Ricordava poi che nella casa Podmaniczky dove Perlasca aveva fatto nascondere uomini e donne di religione ebraica, queste ultime furono orribilmente violentate; che i soldati ubriachi, li percossero senza pietà; che il corpo di uno di quei probi, l¹avvocato Zòltan Farkas, fu trovato con la testa sfracellata; che molti di quei benemeriti furono successivamente avviati a campi di concentramento come prigionieri di guerra. Un incubo, insomma. Il ricordo del quale condizionò la vita di Perlasca nei decenni successivi. Il che forse spiega perchè poi decise di vivere appartato fino alla fine degli Anni Ottanta. Sono cose di cui all¹epoca si parlò poco. E ancor meno in seguito, allorchè l¹Ungheria conobbe una nuova spietata dittatura sotto le insegne politiche di quei liberatori: la falce e martello, la stella rossa».