Burqa, il mondo negato alle donne

Foto di zibik da Pixabay

una riflessione di Daniela Accurso sulla condizione di privazione di chi vive in un mondo senza visuale, dove suoni e contorni sono ovattati.
Mille volti di donne con lo stesso cuore ma private di identici diritti

Non avrei saputo neanche dove acquistarlo e non mi sarebbe passato per la mente cercare un indumento del genere. Mi è stato regalato da un caro amico giornalista, Franco Di Mare, inviato di guerra del TG1. Lo guardo e mi stupisco. Il burqa afgano è un drappo di seta, frutto di una maestria incredibile nel suo allestimento. Apprendo che si differenzia da quello pakistano per via della manifattura.

A Kabul le donne (che non hanno mai smesso di indossarlo) si abbigliano con un questo abito che ha un motivo plissè dal capo in poi. Mentre a Islamabad l’ assurdo “cilicio” è di seta grezza e pure liscia. Lo provo immediatamente e me ne sbarazzo subito. Non vedo nulla. Mi infastidisce. Poi, però, la mia curiosità mi spinge ad indossarlo di nuovo. Mi posiziono davanti lo specchio. Osservo la mia figura che mi sembra estranea e, in un primo momento, sorrido Ci penso un attimo e mi chiedo: che rido a fare? Non è un abito folk.

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E’ diverso, è qualcosa che macera l’animo, che lo divora. Allora il sorriso si smorza sul mio viso, ma tanto non si vede. Il mio amico mi spiega che se voglio veramente capire cos’è il burqa devo camminare per strada con questa cappa orrenda. Ci provo. Esco da casa un pomeriggio quando ancora c’è sole . E comincio a passeggiare in un luogo appartato, un sentiero di campagna, perché non voglio farmi vedere.

La prima sensazione è la luce che non filtra attraverso quelle grate di tessuto, rese troppo più fitte. Se penso che tra il mio viso e il mondo c’è un copricapo che scende fino ai piedi, senza lasciare un centimetro della pelle fuori da questa prigione di stoffa, mi vengono i brividi. Anche gli odori si attenuano, non si percepiscono, a meno che non siano forti ed intensi. Solo così, e solo perché invisibili, possono penetrare attraverso le trame del tessuto. La prima volta con il burqa è una densa sensazione di smarrimento. Vorrei avere tanti occhi, davanti, di lato, dietro, perché non mi sento sicura quando mi muovo.

Nello stesso tempo avverto che può esserci una vita “dentro”a questa cappa che mi avvolge in una dimensione di stupore e curiosità. I rumori e i suoni sono ovattati. Le figure ombre, senza contorni. La visuale praticamente non esiste. Può essere giorno e può essere notte nello stesso momento, tanto è fievole quel raggio di luce che arriva alle pupille. E dunque, dentro quella corazza non fa alcuna differenza se le lancette del tempo corrono per un verso o per un altro. I movimenti sono troppo impacciati. Anche la mente deve fare uno sforzo per essere più lucida e ricettiva. Nonsi puo’ cogliere uno sguardo, un gesto, e forse anche un sorriso. E’ come se non dovessi mai allentare la concentrazione, altrimenti mi perderei nella confusione delle cose, senza avvertirne la vera essenza.

Mi accorgo che il corpo emette suoni: all’improvviso li sento pulsare. Questa “ maschera” appiccicata alla pelle del viso impone di ascoltare il respiro che fa sollevare di pochissimo e per pochissimo tempo, la stoffa dalle narici. E in quel momento provo la gioia di sentirmi libera, ma solo per un istante. Comincio a tirare un respiro profondo, solo per poi emettere un sospiro altrettanto profondo ed allontanare quella strana sensazione di turbamento che a lungo andare diventa sofferenza. Anche il movimento del corpo è contenuto, quasi costretta ad avere pudore di gesticolare, di guardarmi attorno, per non sentirmi grottesca e ridicola. E invece è solo un problema di angolazione. Non posso muovermi liberamente perché non vedo nulla se non a due, tre centimetri da dove mi trovo.

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Devo camminare con il capo abbassato, altrimenti non so dove metto i piedi e mi fa male la testa perché reggo tutto il peso di quell’assurda mantella sulla fronte. Mi chiedo tante volte: ma è possibile non potere muoversi liberamente, guardare liberamente, parlare liberamente, respirare liberamente solo perchè sono una donna?

Ho bisogno di respirare, sfilo il burqa e mi sento le guance un fuoco. Adesso la mia percezione è netta: il mondo, purtroppo, non è per tutti uguale, ma ha una, dieci, cento facce, e talvolta il destino senza un perchè impone di guardarla con gli occhi diversi, ma il cuore è lo stesso.
di Daniela Accurso (giornalista)
http://www.blogtaormina.it/2013/03/08/l8-marzo-in-burqa-il-mondo-negato-alle-donne/150791

NOTA DI AMICI DI LAZZARO:
il burqa non è un obbligo religioso per le musulmane, ma un uso tribale antico. Privando la persona di identità e comunicatività, lede gravemente la dignità femminile. Il suo divieto dovrebbe quindi essere diffuso in tutti i paesi liberi, a condizione che la donna non sia punita penalmente e come già avviene in Francia venga punito chi impone il burqa a moglie, figlie, parenti. E’ fondamentale poi che oltre alla multa o sanzione accessoria vengano offerte occasioni di formazione linguistica e al lavoro, per dare una reale occasione di crescita e libertà alle donne.

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