
Pierantonio Costa, console italiano in Ruanda dal 1988 al 2003, ha salvato duemila vite nei giorni terribili del genocidio. Non era pronto per fare l’eroe: l’imprevedibile crudeltà della Storia ha messo davanti lui (come molte altre persone “ordinarie”) a situazioni straordinarie, alle quali ha risposto con coraggio. Ma, come racconta ne La lista del console (ed. Paoline, Milano 2004), attorno a lui il mattatoio-Ruanda non si è fermato. E per ogni persona sottratta alla morte, molte altre sono finite sotto i colpi dei machete.
Annalena Tonelli, volontaria laica in Somalia di cui Mondo e Missione ha ripetutamente parlato, con ogni probabilità è stata uccisa da estremisti islamici anche a causa della sua battaglia contro le mutilazioni genitali femminili. Una vita lontana dai riflettori e apparentemente votata all’insignificanza. Tanto che, morta lei, sembra quasi che la sua splendida esperienza umana e cristiana non abbia lasciato traccia.
Se stiamo alla logica del “mondo”, soltanto per Carlo Urbani – il medico italiano che ha scoperto la Sars, finendone vittima, contagiato dal paziente che stava curando – si può parlare di un sacrificio “utile”, dal momento che è grazie alla sua lungimiranza che il terribile morbo è stato scoperto per tempo e fortunatamente circoscritti i suoi effetti letali.
In realtà, sappiamo che, attraverso l’esempio tenace e nascosto di queste persone, lo Spirito ha parlato – seppur in forma misteriosa – a chi stava loro attorno.
La storia ufficiale parla di cambiamenti che avvengono a colpi di cannone o di bulldozer; la storia della salvezza è costellata di donne e uomini che hanno seminato, in silenzio. Aspettando i frutti per anni. La logica del lievito, che cambia dall’interno la pasta, ha i tempi di Dio; le ruspe, invece, inseguono risultati immediati. Ma non c’è dubbio su quali mutamenti durino nel tempo.
Ad accomunare le tre persone citate, pur fra loro molto diverse, è ciò che sorregge la loro testimonianza: la fede in Cristo. Una fede profonda, non devozionale, piena di passione per l’uomo. Una fede solida, che si nutre di Parola e non di chiacchiere: basterebbe leggere le toccanti lettere che Carlo Urbani mandava all’amica claustrale.
Forse per non cadere nella retorica o per un malinteso egualitarismo, fatto sta che nel mondo missionario serpeggia una certa refrattarietà al “personaggio”. Per evitare la trappola dell'”eroe”, si rischia così di lasciar cadere esempi come questi. E invece figure del genere si rivelano straordinariamente ricche. Per più ragioni.
In primo luogo, tutte dicono che credere significa spendere non una parentesi dell’esistenza, bensì la vita. Scelte di donazione estrema non si improvvisano, se prima non si sono coltivate decisioni forti, non si sono maturate scelte di vita (e non semplicemente “stili di vita”). Indicazioni di rotta preziose, specie in tempi di “turismo vocazionale”, in cui si assaggia molto senza scegliere nulla, per paura del definitivo.
La seconda considerazione è che per cambiare il mondo occorre partire dal cuore. Troppo facile prendersela (legittimamente) con le “strutture” se prima non si è osato di persona, non ci si è messi in gioco. Tanti, fra coloro che sono in frontiera, si battono per leggi più eque, politiche più attente ai poveri ecc. Ma lo fanno in virtù di una scelta di vita, prima che “di campo”.
Infine. Gli esempi di Annalena, Carlo e Pierantonio dicono che il gratuito possiede un’eloquenza universale, parla di suo. È una coincidenza che di Urbani si siano occupati anche due editori non cattolici? O che la laicissima Mondadori abbia appena pubblicato un volume, scritto da Mariapia Bonanate, con “storie di donne che cambiano il mondo”, guarda caso consacrate, missionarie, volontarie?