Combattere i regimi con candele e preghiere

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Le preghiere contro l’arroganza dell’imperatore e la furia dei barbari: viaggio tra storia e attualità nell’esposizione al Museo diocesano Ambrogio e Agostino, quell’incontro alle radici dell’Europa E il vescovo disse: «A Roma seguano pure le loro usanze; a Milano invece si fa così» A Lipsia la più antica chiesa della città è quella di San Nicola (consacrata nel 1125). Nel 1989 un crescente numero di cittadini si radunava nella Nikolaikirche ogni lunedì per intonare preghiere e canti per la pace. Le autorità cercarono di impedire questi incontri frequentati da una crescente folla, facendo entrare nell’interno della chiesa i funzionari della Stasi (la polizia politica) facendo circondare la chiesa e bloccare le vie d’accesso alla stessa dai militari, chiudendo le uscite dell’autostrada per impedire l’arrivo dei tanti che volevano unirsi alla preghiera della pace dei lunedì della Nicolaikirche. Fu tutto inutile.

La calma, la concentrazione, l’intensità della preghiera e dei canti del popolo evitarono la violenza. E quando la sera del 9 ottobre 1989 duemila persone uscirono dalla chiesa pregando e cantando, con le candele tra le mani, videro che, al di là della cerchia dei soldati, altre migliaia di persone, con le candele accese, attendevano di unirsi a loro. I militari si ritirarono, e molti di loro si unirono alla preghiera ed ai canti. Iniziò così la rivoluzione pacifica e la marcia che portò alla caduta del muro di Berlino ed alla riunificazione della Germania. «Avevamo programmato tutto, eravamo preparati a tutto» dirà anni dopo un gerarca del regime caduto «ma non eravamo preparati alle candele e alle preghiere».
Come non vedere l’analogia con le vicende della settimana santa del 385 e del 386 a Milano quando il vescovo Ambrogio, per non consegnare le basiliche richieste dal potere imperiale, si chiuse nella basilica (l’Ecclesia Major) circondato e protetto dalla presenza e dall’affetto del suo popolo, del popolo milanese, a pregare e cantare, mentre tutt’intorno alla basilica si schieravano le guardie imperiali.
E fu proprio in quelle limpide nottate di primavera, trascorse nella basilica, in mezzo al suo popolo, che Ambrogio, per unire ulteriormente e rianimare i fedeli, compose quegli inni sacri che gli hanno dato un posto significativo anche nella storia della musica. Anche quella lotta si chiuse in modo incruento ed il potere imperiale, di fronte all’unione tra la forza incrollabile del vescovo e la fede del suo popolo, si ritirò in buon ordine e molti soldati si unirono ai fedeli e al vescovo nella preghiera e nel canto degli inni. Come nella Nikolaikirche di Lipsia, milleseicentotré anni dopo.

E’ una delle tante suggestioni che mi ha donato la reiterata visita alla affascinantissima mostra «387 d.C. Ambrogio e Agostino, le sorgenti dell’Europa» in corso al Museo Diocesano. Una mostra da vedere per i suggestivi e rari reperti provenienti da mezzo mondo, che, con una impostazione didascalica chiara e comprensibile, vengono inquadrati nel ricco, tormentato, vivissimo quarto secolo dopo Cristo, un secolo di grandi mutazioni, in parte verso l’ignoto. Proprio come sono i nostri tempi. Ma soprattutto una mostra da pensare. Per ritrovare, con il suo ausilio, la profondità delle radici di Milano e l’orgoglio di queste radici. Milano terra d’incontro. Il grande incontro tra Ambrogio e Agostino, l’ex funzionario romano nato in Germania (Treviri) ed eletto vescovo per volere del popolo e dello stesso potere imperiale che voleva Milano, città importantissima e sede dell’imperatore, ben presidiata da uno dei migliori funzionari dell’impero, ed il giovane retore africano, uno degli incontri più densi di significato e di conseguenze della storia, non avviene a Milano per caso. «Et veni Mediolanum ad Ambrosium episcopum», venni appositamente a Milano per ascoltare il vescovo Ambrogio, scriverà Agostino, ritornato nella sua Africa, segnato indelebilmente da Milano e da Ambrogio.

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E quando nell’anno della morte (430 d.C.) Agostino, vescovo d’Ippona, visse l’ultima estate della sua vita nella sua città stretta d’assedio dai Vandali, fu nel ricordo degli assedi della chiesa di Milano e degli inni di Ambrogio che Agostino, insieme al suo popolo minacciato dalla grande violenza e ferocia dei Vandali, ripeté quei canti nella chiesa d’Ippona.
Una mostra che sollecita continue suggestive analogie tra l’ieri e l’oggi e che ci aiuta anche a riflettere sull’autonomia culturale milanese, che si manifesta anche nella liturgia e negli inni sacri. «A Roma seguano le loro usanze; a Milano si fa così» dirà Ambrogio. Ed è forse anche per questo che il grande vescovo è ancora così presente tra noi. Ambrogio tratterà il giovane Agostino con un certo distacco, ma anche con una profonda attenzione.

Agostino inventerà un neologismo per descrivere il modo con cui fu accolto: «episcopaliter». E quell’incontro milanese lo segnerà per sempre. «Agostino, africano per nascita, romano per cultura, milanese per rinascita cristiana, con la sua conversione e il suo battesimo, con la sua sosta in Brianza e nel Varesotto, ha ipotecato la provvidenza che ne ha disposto la tomba in terra lombarda, in quella monumentale arca scolpita dai Maestri Campionesi sotto le arcate della Basilica di San Pietro in Ciel d’ Oro di Pavia, dove il re Liutprando collocò il suo corpo dopo averlo riscattato a peso d’oro» (Carlo Cremona).
Dobbiamo ringraziare la metropolitana milanese del 1961 e 1962 che, con i suoi scavi, fece riemergere, nel sottosuolo antistante il Duomo, i resti di quel bel battistero, voluto da Ambrogio, dove, nel 387 d.C., il vescovo di Milano battezzò Agostino, a ricordarci, anche quel grande incontro e unirci una nuova volta nei canti e nella preghiera per la pace e per una più civile convivenza. Come a Milano nel 385, a Ippona nel 430 e a Lipsia nel 1989 dell’era cristiana.
Corriere della Sera

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