Con la Ru486 l’aborto può durare un mese e mezzo

NOTA: Ovviamente siamo contrari ad ogni forma di aborto.
Quel che interessa di questo articolo è che la Ru486 oltre a mettere fine alla vita del nascituro, ha anche controindicazioni per la salute della donna stessa.


In un numero di è vita, commentando l’articolo intitolato «Ru486: efficacia e sicurezza di un farmaco (??) che non c’è», apparso sul bollettino n.4 del 2007 dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), avevamo sottolineato come l’informazione fornita sulle morti legate alla cosiddetta interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) farmacologica fossero incomplete. Ma anche gli eventi avversi riportati dall’articolo sono sottodimensionati. Comunicazioni pubbliche della Food and Drug Adiministration (l’ente statunitense di controllo dei farmaci) risalenti al maggio 2006 riferiscono di almeno 950 effetti avversi segnalati spontaneamente entro il 31.3.2006, con 9 casi di pericolo di vita, 116 trasfusioni, 88 infezioni, di cui 18 severe, 6 eventi trombotici, ed altri 232 casi di ospedalizzazione. È noto poi come i dati raccolti grazie alle segnalazioni spontanee siano statisticamente solo una piccola parte del numero dei casi effettivamente verificati. Si può quindi ragionevolmente ipotizzare che gli eventi avversi siano in realtà molti di più.

Se a questo si aggiungono l’allarmante dato francese, secondo il quale il 20% circa di donne non torna alla visita di controllo per verificare che la procedura abortiva sia stata completata, e quello fornito dai centri inglesi della Marie Stopes International, secondo cui ben il 50% delle donne che abortiscono presso le cliniche di questa organizzazione non torna alla visita finale, si può dedurre quanto sia difficile monitorare correttamente l’Ivg con il metodo chimico, e quanto siano approssimative le informazioni a disposizione dei servizi sanitari pubblici (che comunque spesso non li mettono a disposizione).

Eppure secondo gli stessi estensori del report Aifa «l’impiego di questa molecola (mifepristone) nell’aborto medico in associazione al misoprostol, il cui rischio teratogeno è noto, rende indispensabile una condotta clinica di follow-up attivo delle donne sottoposte a tale procedura e degli insuccessi legati al trattamento». Si riconosce dunque come un elemento fondamentale per la sicurezza della procedura un controllo medico e un monitoraggio accurato.

EFFICACIA

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L’efficacia è notoriamente uno dei criteri di valutazione più importanti nel confronto tra diverse tecniche mediche o farmaci. Ma il lettore non specializzato deve essere avvertito: pochi punti percentuali di differenza, che possono sembrare trascurabili, sono estremamente significativi per una corretta valutazione, perché le percentuali, nel caso dell’Ivg, si riferiscono a numeri assoluti molto alti. Il 3 o il 5%, se calcolato su un numero nell’ordine delle decine o addirittura centinaia di migliaia, è una cifra di tutto rispetto. Bisogna inoltre ricordare che l’efficacia dei metodi tradizionali per l’interruzione di gravidanza supera il 99%.

Nel bollettino Aifa, sono riportate come fallimento del metodo nel 3.5 per mille dei casi; si riferisce inoltre che due donne su mille sono ricoverate per complicanze. I dati sono stati tratti da un report della Planned Parenthood Federation of America, la più importante catena di cliniche private di aborto e contraccezione americana. Numeri, dunque, che fanno pensare a un tasso di efficacia molto alto.

Ma questi dati, e la modalità in cui sono stati riportati, non rendono conto della reale efficacia del metodo, né dell’ampio dibattito presente nella letteratura scientifica su questo punto.

Il dato di efficacia considerato per esempio dalla Fda è del 92%; l’efficacia viene definita come «l’interruzione della gravidanza con espulsione completa del concepito senza necessità di intervento chirurgico», e l’ aborto medico è giudicato fallito se c’è necessità di ricorrere a un intervento di revisione chirurgica al quindicesimo giorno dall’assunzione del mifepristone. Nella sperimentazione considerata dalla Fda per la commercializzazione del mifepristone negli Usa, il 5% delle donne che non si sono presentate alla visita finale sono escluse dal conteggio: non sono cioè state annoverate fra i fallimenti quelle donne che non hanno seguito il protocollo. Spesso vengono anche escluse dal conteggio le donne che iniziano la procedura di aborto medico e chiedono di terminarla per via chirurgica. È evidente che in questo modo l’efficacia sale, ma è corretto non considerare gli abbandoni e le deviazioni dal metodo come un fallimento? Eppure questa è una modalità ricorrente nel riportare i dati di efficacia del metodo, presente in molti lavori di letteratura scientifica; inoltre non viene esplicitamente dichiarata nel testo, e la si può dedurre solo da una lettura attenta delle singole sperimentazioni, prese una ad una.

L’efficacia, nei vari studi, è stata quasi sempre valutata con analisi «per protocol», e non «intention to treat» (vedi box).
Riportare solamente i dati delle rassegne, come fa l’articolo dell’Aifa che abbiamo citato, può essere fuorviante, perché non si verifica il modo in cui sono calcolati i dati presentati.

Quello che viene divulgato è il risultato finale delle sperimentazioni, cioè quanti aborti sono stati completati senza intervento chirurgico, insieme ad alcuni effetti collaterali, gravi e meno gravi, espressi genericamente in punti percentuale. Una lettura critica delle sperimentazioni ne rivela invece i punti deboli, ed anche le approssimazioni e le procedure che si allontanano dai protocolli dichiarati, rendendo poco significativi i risultati che si pretende di aver ottenuto.

COSA VUOL DIRE CONCLUDERE L’ABORTO

C’è una questione cruciale da chiarire, dalla quale dipende la possibilità di valutare effettivamente l’efficacia dell’aborto chimico: quando una procedura di aborto chimico si può definire riuscita? E quando si può parlare di «successo» dell’aborto con la pillola? La domanda non è banale, né scontata.

In genere si afferma che un aborto con la pillola ha successo quando la donna abortisce senza necessità di un intervento chirurgico.
Ma questa definizione, apparentemente ovvia, è troppo vaga.
Innanzitutto, l’aborto completo equivale non solo all’espulsione dell’embrione abortito, ma anche allo svuotamento dell’utero.
Non è detto che alla prima fase segua sempre la seconda.
Con la Ru486 si conosce grosso modo quanta probabilità si ha di espellere l’embrione in certi tempi, ma non si sa se e quando l’utero si svuoterà completamente. Sappiamo cioè che, secondo l’Fda, ad esempio, circa il 3% delle donne abortisce dopo la prima pillola; entro tre-quattro ore dalla seconda pillola circa il 60%, e entro 24 ore circa l’80%.

Ma non è detto che, contemporaneamente, l’utero si svuoti. Per questo sono importanti le cosiddette visite di «follow-up», cioè un controllo medico, un’analisi del sangue e magari un’ecografia, dopo alcune settimane: finché l’utero non è completamente libero l’aborto non può dirsi concluso, né «riuscito».

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Si possono considerare un «successo» aborti completati in due, tre, quattro settimane? È accettabile per una donna una procedura abortiva in cui nell’80% dei casi per l’espulsione si impiegano tre giorni, ma poi l’utero si svuota lentamente, impiegando anche settimane?

Tenendo in mente queste considerazioni, se andiamo a leggere le sperimentazioni pubblicate ci rendiamo conto meglio di quale sia l’effettiva consistenza del successo dell’aborto con la Ru486.
Per esempio, El-Refaey et al., nella sperimentazione pubblicata sul New England Journal of Medicine – molto citata in letteratura – definiscono riuscita una pratica abortiva quando l’espulsione del concepito avviene senza necessità di intervento chirurgico. In particolare il loro protocollo prevede che dopo quattro ore dalla somministrazione della prostaglandina la donna si sottoponga a una visita ginecologica. «Se il prodotto del concepimento è visibile, le donne possono tornare a casa dopo altre quattro ore di osservazione. L’esame con uno speculum viene effettuato solo se il materiale del concepimento deve essere rimosso con uno strumento chirurgico. L’espulsione completa del concepito non viene confermata dall’esame agli ultrasuoni».

Secondo questo studio l’embrione abortito è così chiaramente visibile, da non richiedere nemmeno l’ecografia o un’accurata visita medica, perché l’aborto completo si accerta semplicemente riconoscendo il «prodotto del concepimento».

Nel 2003 sono stati pubblicati i risultati di uno studio dell’Oms, per verificare la modalità più efficace di somministrazione della prostaglandina; il campione è di 2219 donne di 11 diversi paesi, e la procedura è randomizzata e «double blind», cioè cieca, e dunque è tra le poche sperimentazioni effettuate sulla Ru486 che risponde a criteri rigorosi.

Anche in questo caso bisogna controllare il «passaggio del prodotto del concepimento», il che conferma ancora una volta che l’embrione è chiaramente distinguibile nel flusso emorragico, e che le donne sono costrette a riconoscerlo. L’aborto è considerato riuscito se non c’è necessità di intervento chirurgico fino al ciclo mestruale successivo. La visita finale è dopo 43 giorni – sei settimane circa – evidentemente perché si presume che quello è il tempo entro il quale tutta la procedura – espulsione e svuotamento dell’utero – è ragionevolmente terminata.

Secondo uno tra gli studi più rigorosi presentati sulla Ru 486, dunque, si dice esplicitamente che completare l’aborto in un mese e mezzo va considerato come un successo. Chiaramente più si aspetta per la verifica finale, più si alzano i tassi di efficacia.
Esaminiamo i numeri di questa sperimentazione: su 2219 donne selezionate, di 29 si è persa ogni traccia e 17 hanno subito interventi chirurgici d’urgenza prima della fine del protocollo (14 richiesti dalle donne, 1 per emorragia, 1 per diarrea e 1 per vomito eccessivi), per un totale di 46 casi non portati a termine, corrispondenti al 2.1%. Considerandoli come fallimenti, le percentuali di successo sono 92.3%, 94.7% e 93.5% (a seconda della somministrazione orale o vaginale della prima e delle successive dosi di misoprostol).
Molti ricercatori che sostengono il metodo chimico hanno convenuto però sul fatto che i criteri di efficacia vadano ripensati, e ricalcolano le percentuali di efficacia già pubblicate, introducendo la durata temporale dell’aborto e considerando gli abbandoni del protocollo. Questa rilettura dei dati scientifici purtroppo non è sempre possibile, perché spesso gli stessi risultati sono presentati in maniera incompleta, e non si prendono in considerazione gli interventi aggiuntivi – come ad esempio quelli di rimozione manuale di materiale abortivo.

Per valutare il peso del riconteggio, basti pensare che l’efficacia della sperimentazione presa in esame dall’Fda, ad esempio, considerata mediamente per tre fasce di età gestazionale – fino a 49 giorni, da 50 a 56, e fino a 63 giorni – in media è di 85.4%. Correggendo per le perdite del follow-up, l’efficacia scende a 79.5%, oppure a 81.3%, a seconda dell’algoritmo considerato.

Le donne si sottopongono poi ad una visita di controllo dopo due settimane dalla prima somministrazione, ma torneranno ancora la settimana successiva se le perdite di sangue non si sono bloccate. È quindi previsto che l’aborto si completi in tre settimane, anche quando l’espulsione avviene entro il terzo giorno.Su un totale di 270 donne il 20% circa non si è presentato per il follow up: una percentuale enorme, soprattutto per una sperimentazione; è un dato in linea, però, con quello francese che abbiamo riportato, e inferiore a quello fornito dalla Marie Stopes inglese. L’efficacia, nonostante tutto, è bassa: 87% se la prostaglandina è assunta oralmente (come ad esempio prevede il protocollo americano) e 95% se per via vaginale. In questa sperimentazione ci si pone esplicitamente il problema del tempo che si impiega per abortire. Si specifica che per rendere più rapida l’espulsione bisogna raddoppiare la dose della prostaglandina, ma in questo modo aumentano anche gli effetti collaterali.
Le cose non migliorano neppure nelle sperimentazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

di Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella

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