Convenzioni e dichiarazioni contro la tratta e lo sfruttamento sessuale

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La diffusione della prostituzione transnazionale richiese la convocazione di numerose convenzioni internazionali contro lo sfruttamento sessuale già a partire dal 1904. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Dichiarazione sui diritti del fanciullo del 1959 e il Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 rimarcano con forza il divieto della schiavitù e della tratta, divieto già espresso nella prima Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926, ratificata quasi subito dall’Italia.

La tratta degli esseri umani oggi coinvolge prevalentemente quei soggetti considerati vulnerabili quali donne e minori impiegati, oltre che nel mercato del sesso, nell’accattonaggio, nello spaccio di sostanze stupefacenti e nel commercio di organi. I maschi non sono completamente estranei alle reti di sfruttamento e i loro corpi vengono, prevalentemente, impiegati come forza lavoro (a basso costo) nel settore agricolo.

La tratta è oramai quasi una patologia dei processi migratori, che tuttavia non va confusa con l’immigrazione clandestina, anche se è indubbio che sono fenomeni contigui e con molti punti di contatto.

Nel 2000 si è tenuta la Convenzione Onu di Palermo che ha visto l’elaborazione di tre Protocolli addizionali che contengono la prima definizione giuridica a livello internazionale dell’espressione tratta di persone e costituiscono il primo strumento internazionale che include tutti gli aspetti della tratta degli esseri umani che ispireranno i testi del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea. I tre protocolli mirano a prevenire e contrastare la criminalità organizzata transnazionale: il primo protocollo mira alla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in modo particolare donne e bambini; il secondo vuole contrastare il traffico dei migranti via terra, mare e aria. Il terzo intende contrastare la fabbricazione e il traffico illecito di armi da fuoco, loro parti e munizioni.

È significativo ricordare che il primo protocollo, denominato anche protocollo UN TIP, fissa le linee guida sulle quali si innestano tutti gli interventi successivi di contrasto. Nel preambolo si legge:

“Una efficace lotta alla tratta delle persone, in particolare donne e bambini, richiede un approccio internazionale globale nei Paesi di origine, di transito e destinazione che includa misure atte a prevenire tale tratta, punire i trafficanti e tutelare le vittime, in particolare proteggendo i loro diritti fondamentali riconosciuti internazionalmente”.

Il protocollo di Palermo è entrato in vigore il 25 dicembre 2003 ed è stato ratificato in Italia con la legge 146/2006.

Nel maggio dell’anno precedente (2005) veniva varata la Convenzione del Consiglio d’Europa (Convenzione di Varsavia) sulla lotta contro la tratta degli esseri umani che prevedeva la realizzazione di un efficace sistema di contrasto alla tratta attraverso la messa in atto di meccanismi di protezione alle vittime secondo un approccio fondato sui diritti umani e sul principio di non discriminazione.

I trafficanti diventano figure di riferimento nevralgiche in quanto capaci di garantire l’ingresso negli stati europei. Tali politiche restrittive hanno contribuito a sviluppare un vero e proprio mercato della migrazione. Questo commercio di persone e le modalità di asservimento che lo regolano costituiscono un grave problema di ordine criminale ma soprattutto violano i diritti umani.

Lo Stato italiano si era già dotato nel 1998 di un importante strumento che mirava alla tutela delle vittime: l’art. 18 del Testo Unico Immigrazione adottato con D. Lgs. 286/98. L’art. 18 prevede: “la possibilità di rilascio di uno speciale permesso di soggiorno per protezione sociale allo straniero sottoposto a violenza o a grave sfruttamento, quando vi sia pericolo per la sua incolumità per effetto del tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione criminale o delle dichiarazioni rese in un procedimento penale.”

La possibilità che la vittima ha di poter denunciare o non denunciare il suo carnefice ha condotto negli ultimi anni al rilascio di permessi di soggiorno per motivi sociali.

L’art.18 concede la possibilità di poter intraprendere due percorsi distinti: il percorso sociale e quello giudiziario con cui lo Stato si impegna ad adottare misure volte al recupero fisico, psicologico e sociale fornendo alle vittime alloggi adeguati, consulenza, informazioni sui diritti, sull’assistenza medica, psicologica e materiale oltre che adeguate opportunità di impiego.

In generale tutte le vittime di tratta sono considerate soggetti vulnerabili, ma senza dubbio, tale espressione è prevalentemente adottata per designare i minori. Oltre che alla minore età sussistono altri fattori che gli Stati prendono in considerazione per valutare la maggiore o minore vulnerabilità di una vittima; si individuano tra questi il sesso, una presunta gravidanza oltre che un particolare handicap. L’interesse superiore del minore è chiaramente considerato primario; ciò si traduce in una serie di misure che intendono promuoverne il recupero fisico e psicologico, garantendone l’integrazione all’interno del sistema educativo caratteristico dello Stato membro. Il d.p.c.m. n. 234/16 chiarisce le procedure che devono essere adottate per determinare l’età dei minori vittime di tratta e introduce alcune fondamentali garanzie.

A differenza della schiavitù storica, che si basava quasi esclusivamente su esigenze di lavoro servile, la schiavitù moderna nasce e si sviluppa su una domanda e una offerta praticamente inesauribili: questa merce umana rappresenta una risorsa di cui non mancherà mai disponibilità e al tempo stesso la sua forza e il potere difficilmente diminuiranno nel tempo, anzi sussistono indicatori che lasciano ritenere il contrario.

La scelta rischiosa di partire e perseguire il benessere economico delle società occidentali è oggi troppo radicata nei paesi di provenienza delle vittime: l’Italia è il regno dove tutto è possibile e la possibilità di una vita agiata, propagandata dai numerosi canali web, alletta giovani donne che svolgono già un qualche tipo di attività o che vivono nella miseria.

Dalla tesi di laurea di Pecoraro Federica “Essere ‘omomo’, essere ‘edede’. Giovani ragazze nigeriane a Torino tra desiderio di successo e tutela delle minori.”

Serve quindi una tripla prevenzione:
– informazione sui rischi dell’emigrazione
– sviluppo delle opportunità formative e lavorative nei paesi di origine
– educazione e formazione ai valori per prevenire adesioni o collusioni con il sistema della tratta.

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