Cos’è la sedazione palliativa (usi e abusi)

La dizione “sedazione palliativa”, non è una forma nascosta di eutanasia ma è praticata nell’ambito delle cure palliative come strumento per alleviare il dolore proprio di un soggetto terminale.

Chi si oppone ad ogni forma e grado di eutanasia, afferma che prima di arrivare alla sedazione vanno rispettati almeno tre condizioni:

1. La correttezza della decisione di sedare (consenso informato e proporzionalità terapeutica)

2. La correttezza tecnica, in ordine all’adeguatezza dei farmaci e loro dosaggio in base a peso, età, malattia, condizione globale del paziente.

3. La correttezza relazionale, ovvero la condivisione della scelta con il paziente, se possibile, e con i suoi familiari.

Aggiungiamo che il dolore con opportune pratiche può essere controllato e ridotto notevolmente, motivare l’eutanasia con la necessità di alleviare sofferenze atroci ai malati è ormai una motivazione priva di fondamento.

Purtroppo anche le parole vengono talvolta usate per indirizzare l’opinione pubblica. Usare il termine sedazione terminale parrebbe indicare che sia lecito “addormentare” il paziente provocandone la morte. E quindi far passare come lecita l’eutanasia.
In realtà è lecito solo sedare il paziente e lasciare che la malattia terminale faccia il suo decorso, senza provocare direttamente la morte.
La pratica rispettosa della dignità umana e della natura stessa è proprio quella della sedazione palliativa che negli ultimi giorni di vita fa si che il paziente non soffra e venga risvegliato per pochi minuti al giorno per “salutare” i propri cari.

Paolo Botti

Cristo, unisci le tue membra disperse (Giovanni Paolo II)

Quando le nigeriane scapparono per andare da Giovanni Paolo II (2 aprile 2005)