Così l’amicizia di Gesù ci salva dal batterio della rassegnazione

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Nel clima di confusione che viviamo abbiamo bisogno di incontrare persone la cui vita è afferrata da Cristo per cui non c’è un dettaglio che non solo impedisca di riconoscere la Sua Presenza ma anche di amarla con profonda gratitudine. Quest’anno per Paolino e anche per me è stata e continua ad essere una grande possibilità, una grande risorsa per la nostra adesione al Mistero. Questa grande Presenza, come amava definirla il servo di Dio monsignor Luigi Giussani, non ce ne ha risparmiata una che sia una.

All’inizio non è stato facile riconoscere che quanto ci accadeva era una modalità con cui il Mistero si manifestava nella nostra vita, chiamandoci a guardarlo in faccia, così da vivere solo ed esclusivamente per lui. È stata una battaglia che solo consegnandoci totalmente ad una compagnia grande ci ha permesso e ci permette tutt’ora non solo di non perderci d’animo ma anche di camminare con dignità ed ironia perché certi, come dice san Paolo, che «niente ci potrà separare dall’amore di Cristo».

Camminando con gli occhi fissi su Gesù, abbiamo incontrato molti amici che ci hanno testimoniato come la realtà vissuta intensamente anche quando sembra negativa, permette di dire “Tu o Cristo mio”. La testimonianza che segue l’abbiamo chiamata “Cristo e il kiwi”. Può essere vista come uno dei capitoli del libro della Lindau Cristo e il lavandino, un titolo che nella sua semplicità raccoglie il cammino educativo dei miei ventitré anni di missione, in cui mi sono esclusivamente occupato di mostrare come Cristo avendo a che fare con tutto rende più bella, più umana la vita. E la vita è fatta di ogni piccolo dettaglio.

Mi ha sempre colpito quanto dice il Vangelo di Gesù con la sua relazione con la realtà: «bene omnia fecit», ha fatto bene ogni cosa. Cioè non c’è stata una virgola nella sua vita che non avesse a che vedere con il Padre. Fare bene le cose significa solo questo. Allora tutto diventa bello e la fatica è abbracciata come una risorsa che permette alla libertà di mettersi in movimento già allo spalancare gli occhi appena ci si sveglia.

Era il 27 di febbraio del 2010 quando un forte terremoto scosse il Cile e distrusse i nostri uffici nel paese andino della Patagonia cilena, dove avevo un vivaio. La stessa notte volai in Argentina e dopo alcuni giorni arrivai a Santiago. Il mio aeroplano fu il secondo che riuscì ad atterrare dopo il terremoto. A maggio dello stesso anno avvenne un altro terribile terremoto. Un batterio sconosciuto mise in pericolo le coltivazioni di kiwi, in modo particolare il kiwi giallo. Questo batterio colpiva le piante più giovani perché penetrava con molta facilità. Dopo alcuni attenti esami alle piante, in modo speciale a quelle italiane, abbiamo trovato alcune foglie affette da questo raro batterio. In pochi mesi abbiamo dovuto distruggere circa 600 mila piante. Il batterio si stava espandendo anche nelle coltivazioni che avevo in Francia, Spagna, Portogallo. Fu l’inizio di un’epidemia terribile di cui alcuni mesi prima non si conosceva neanche l’esistenza.

Una realtà completamente imprevedibile incominciò a cambiare la mia vita. La maggior parte delle coltivazioni di kiwi in Italia fu distrutta. Iniziò un calvario che ancora non è del tutto finito. Spesso ho dovuto affrontare le istituzioni delle varie province affette dal batterio, avendo a che fare con i governi di Francia, Spagna e Portogallo, che mi chiedevano spiegazioni e chiarimenti. Un giorno nella riunione di governo della mia provincia il consigliere che segue i temi che hanno a che vedere con l’agricoltura mi guarda e dice: «Gianpaolo (è il nome del mio amico), la vedo sorridente, per niente sconvolto e disperato; ma da dove tira fuori tutta questa forza?». Gli ho subito risposto: «Io non sono una pianta di kiwi».

Comunque questa è stata un’opportunità per parlare con lui della mia esperienza di fede con i miei amici cristiani. Gli ho raccontato di questa amicizia che in questi momenti difficili mi ha tenuto in piedi attraverso i loro volti che mi hanno aiutato a non precipitare di fronte alle dure circostanze che il Signore mi chiedeva di vivere. In mezzo a queste facce ben precise, voglio citare concretamente un amico in particolare, perché si è messo al mio fianco con tutta la sua disponibilità. È da una relazione così che ho iniziato a sperimentare che Qualcuno “misterioso” mi accompagnava e sempre mi accompagna ad affrontare la realtà.

La realtà è Cristo, questo fatto me lo devo ripetere tutti i giorni. Un altro amico mi confortava dicendomi che di fronte ad ogni problema c’è sempre una soluzione e che Dio non abbandona nessuno. Così si faceva sempre più chiaro in me che la realtà non è nelle nostre mani, ma bisogna saperla seguire per poter sperimentare che c’è un Altro che la fa. Da un anno a questa parte, assieme a mia moglie che è appassionata di omeopatia, e in più documentandoci sui libri della dottoressa americana Clark, abbiamo iniziato un lavoro per trovare una efficace soluzione al problema del batterio.

Un giorno ho incontrato alcuni imprenditori e commercianti russi che vendevano prodotti nanotecnologici. Ho raccontato a loro della conversione di un amico che avevo conosciuto poche ore prima. Si tratta di un attore italiano che aveva fatto la parte di Barabba nel film La Passione di Mel Gibson. Uno di loro aveva una sola fede e un’unica consistenza: il lavoro che faceva. Gli ho chiesto come si fosse convertito a quella fede. Lui mi ha risposto che sono stati i libri della dottoressa americana Clark. Lì ho capito che questo incontro non poteva essere assolutamente casuale. Era invece la realtà che si rivelava e che mi inviava dei segni amichevoli e provvidenziali.

Allora ho deciso di affrontare ancor più seriamente e con passione i miei problemi, di andare fino in fondo. C’era anche il fatto che, per me, lavorare con gente che produce batteri, mezzi comunisti e quasi sempre per fini militari, era un po’ complicato. Ma tutto quanto accadeva ci era di aiuto per trovare una soluzione al nostro problema. Abbiamo perciò reiniziato a commercializzare i prodotti e a venderli per difendere le piante di kiwi colpite dal batterio, in tutta Europa, fino in Cile compresa la Nuova Zelanda e con buoni risultati.

Tutta questa drammatica esperienza è stata l’opportunità per mettere al centro della vita il mio destino che mi fa e la realtà che mi provoca e che mi spinge ad affrontarla continuamente, esaminarla e soprattutto amarla. A volte mi domando: come faccio ad amare questa realtà nel momento in cui non mi è più favorevole? Mi sorprende questo fatto: che amo più la realtà ora che quando le cose andavano bene. Voglio dire infine che mi sento un privilegiato, perché mi è stata data la possibilità di vivere un’esperienza che mi ha svegliato da una fede ovvia, abituale e spesso senza ragioni. Ora la mia fede è piena di ragioni e ha a che fare con tutta la realtà».
Lettera firmata

Come faccio ad amare questa realtà nel momento in cui non mi è più favorevole? Ti ringrazio perché è una domanda che per anni mi sono portato dentro come un peso insopportabile. Quante volte mi sono chiesto, quando la vita mi sembrava una matrigna, il perché e dove potevo leggere che quanto mi accadeva era una cosa positiva. Fu una lunga lotta e lo è ancora perché niente è scontato. La battaglia continua anche se oggi tocco con mano momento per momento la positività di quanto mi accade, che normalmente è sempre una sorpresa. Alcuni giorni fa ho chiesto a una ragazza ammalata di cancro, con figli, come stava affrontando la malattia. E lei mi rispose: «Questa sofferenza è per me una grazia perché mi ha permesso di avvicinarmi a Gesù dopo tanti anni di lontananza».

Aldo Trento-  2013- Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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