Dalla normalità alla patologia: La psicopatologia delle dipendenze

Un corretto approccio alla psicopatologia delle dipendenze richiede innanzitutto una precisazione del concetto stesso di Dipendenza.
A questo termine si attribuisce, generalmente, un connotato essenzialmente negativo, degradante e problematico e in tale accezione Dipendenza è identificata con l’antitesi della Libertà, uno dei valori assoluti su cui la nostra cultura fonda il benessere dell’individuo. Scevro da prospettive etiche, il concetto di dipendenza definisce un rapporto di subordinazione o necessità, in cui un’entità non può sussistere o avere significato senza un’altra. Un soggetto “dipende” quando deriva la soddisfazione di un’esigenza (cibo, significato, benessere…) da qualcosa o qualcun altro.

Ogni essere vivente, soggetto alle leggi della natura, è in relazione con l’ambiente e per la sua stessa sopravvivenza (e per quella della sua specie) è obbligato ad una serie di bisogni (alimentazione, respirazione, riproduzione ecc.) che lo pongono in un rapporto di dipendenza da altre realtà esterne (cibo, aria, altri essere viventi). In tal senso, la dipendenza è implicita nell’essere in relazione, ed è condizione intrinseca alla vita.
L’evoluzione ha portato la nostra specie al successo evolutivo, grazie alla capacità umana di adattarsi all’ambiente, cioè di trovare alternative e diversificare le risposte alle proprie necessità.
Un adattamento di successo non implica un calo della “Dipendenza”, né questo avviene nel corso del processo evolutivo: lo sviluppo di nuove possibilità e funzioni, nel corso dello sviluppo filogenetico dagli organismi protocellulari all’uomo, ha comportato l’emergenza di nuove necessità. Le relazioni si articolano a livelli sempre più complessi, passando dal piano puramente biologico a quello relazionale, sociale, psicologico, spirituale, aumentando con la complessità i bisogni conseguenti e quindi la dipendenza complessiva. La Dipendenza non è quindi di per sé un disvalore (ha anzi ha un significato importante sul piano evolutivo) ma lo è la sua ridotta dispersione, cioè la riduzione delle possibilità alternative di trovare soddisfazione per il proprio equilibrio e benessere. Adattarsi meglio non significa, quindi, eliminare i bisogni (le dipendenze) ma diversificarne le modalità di soddisfazione. In altre parole, un soggetto può avere molte dipendenze (i bisogni), ma è libero solo se nessuna è indispensabile al mantenimento dell’equilibrio omeostatico. Se invece i bisogni sono fortissimi e insostituibili, anche se pochi, la Dipendenza può diventare patologica. Con questo connotato negativo, la Dipendenza (poco dispersa) rende la persona non libera.

Nel significato negativo, in psicopatologia, la Dipendenza è in ambito scientifico meglio indicata con il termine anglofono addiction, che deriva dal latino addictus (cioè “persona ridotta in schiavitù per debiti) e rimanda ad una dimensione angosciante di perdita totale di alternative e libertà.
Nella Addiction, il bisogno di soddisfare pochi e fortissimi bisogni rende schiava la persona e la costringe compulsivamente, cioè con una forza cui non si può resistere, a cercarne la soddisfazione, ripetendo un comportamento anche se notoriamente dannoso. La sostanza (o  comportamento) oggetto di Addiction occupa prepotentemente i pensieri di una persona, e dilaga nel pensiero assoggettando (come un addictus, schiavo) e progressivamente escludendo ogni altro interesse ed emozione. Tale condizione configura una malattia grave, ad andamento cronico, spesso recidivante.
L’Addiction implica sempre una dipendenza psicologica (non invece necessariamente fisica) ma non è solo un fatto mentale, perchè implica un cambiamento biologico, rappresentato da una alterazione dei sistemi cerebrali deputati alla gratificazione. Tali sistemi sono circuiti neuronali situati nelle aree più profonde (ed antiche) del nostro cervello, e sono alla base di alcuni istinti primari fondamentali per la sopravvivenza della specie, come le cure dei figli e l’apprendimento di comportamenti proadattivi.

La natura ha previsto un sistema di gratificazione e ricompensa che ci “premia” per i comportamenti più utili alla sopravvivenza della specie (riconoscere e mangiare cibo buono, riprodursi, accudire i figli), rinforzandoli e favorendone il ricordo e la ripetizione.
Le sostanze (e i comportamenti) che generano una situazione di Addiction agiscono determinando una sensazione di piacere intenso (per azione diretta sui centri del piacere, o alleviando il dolore, l’ansia o altri stati emotivi negativi), che accende artificialmente i circuiti della gratificazione5. Il cervello interpreta tale stimolo chimico (o comportamentale), che innesca il circuito della ricompensa, come se fosse in presenza di stimoli naturali altamente gratificanti e utili all’adattamento e sopravvivenza. Lo stimolo, così interpretato dal sistema emotivo, è associato ad un significato che va oltre la semplice esperienza di “piacere” e imprime una profonda traccia nel sistema emotivo e cognitivo.

Oltre al piacere, nell’Addiction intervengono altri meccanismi neurobiologici: all’effetto piacevole si affianca, infatti, uno stato mentale attivato, instabile, prono alla ricerca del piacere, motivante, che spinge il soggetto a valorizzare gli effetti della sostanza, a orientare il pensiero e favorire i ricordi e associazioni favorevoli l’esperienza, rinforzando la ripetizione della stessa. Nella dipendenza da sostanze, inoltre, con l’uso ripetuto della stessa dose si verifica una progressiva perdita di diversi effetti, anche i piacevoli (la cosiddetta Tolleranza) per meccanismi di adattamento metabolico, neuronale e comportamentale. Il soggetto cercherà quindi di ritrovare il piacere iniziale, aumentando dosi e frequenza dell’abuso. In caso di indisponibilità della sostanza, può inoltre comparire un insieme di sintomi spiacevoli, Astinenza (diversa a seconda delle sostanze usate) che accentua ulteriormente il legame e il bisogno di riutilizzare la sostanza.

Oltre ai fenomeni di tolleranza e astinenza, intervengono altri meccanismi: i circuiti cerebrali sono predisposti per mantenere i sistemi in equilibrio. Dopo stimoli piacevoli artificialmente intensi e ripetitivi sono attivati dei circuiti di compenso che producono sostanze che causano disforia, apatia, tensione sgradevole (dinorfina, sostanza P, noradrenalina). Questi circuiti costituiscono un sistema cerebrale anti- gratificazione (anti-reward) e spingono ulteriormente i soggetti addicted, per il  disagio che provano, all’abuso. La necessità di trovare sollievo al disagio, riprovare le perdute sensazioni piacevoli ed evitare l’astinenza inducono il soggetto ad aumentare la dose e la frequenza dell’abuso, peggiorando la distorsione neuronale, comportamentale ed emotiva.

L’addiction determina comportamenti sempre più automatici e incoercibile, quasi come riflessi condizionati: l’esperienza diviene centrale nel pensiero e nell’esistenza dell’addicted e ogni altro piacere è messa in ombra. Si determina così la coercizione e la compulsione a reiterare l’uso della sostanza, con la difficoltà a rinunciarvi, anche nella consapevolezza del danno. Da una esperienza saltuaria a scopo ricreativo, per l’effetto gratificante, si passa così ad un uso obbligato, automatico, incontrollabile, monopolizzante ogni aspetto dell’esistenza, che ha perso il suo connotato piacevole e si reitera per cercare di evitare uno stato spiacevole di apatia e disforia e il dolore dell’astinenza.

L’addiction è un fenomeno complesso, nella cui genesi entrano in gioco molti fattori, legati alla sostanza, alla vulnerabilità biologica, alle caratteristiche di  personalità, e all’ambiente. Sicuramente multifattoriale, ad oggi non è stato identificato alcun tratto psicopatologico, biologico, familiare o sociale così specifico da poter essere interpretato come fattore causale dell’addiction.

Molti fattori studiati sono risultati invece essere predisponenti, classificati in base de: 1) la predisposizione individuale (fattori genetici, stili di attaccamento madre- bambino, tratti di personalità, traumi psichici ed emotivi precoci, disturbi psichiatrici), 2)  l’esposizione alle droghe (teorie fisiologiche e del rinforzo) e 3) il contesto socio-relazionale (teorie relazionali e sociogenetiche).
Per quanto riguarda i fattori genetici, molti studi riportano alti tassi di ereditarietà (dal 30 al 70%) per le dipendenze, sia per la stessa sostanza che per tipi diversi. Numerosi geni sono stati associati all’addiction, sebbene poco più che una dozzina ha mostrato avere una stretta correlazione. Alcuni fattori genetici sono specifici per alcune sostanze, come ad es. le varianti genetiche che influenzano il metabolismo dell’alcool. Altri sono correlati al tono dell’umore, alla vulnerabilità all’ansia e ai disturbi di personalità, spesso preesistenti nelle persone che cercano sollievo o stimoli dall’uso di alcool o droghe. Alcune configurazioni genetiche si è visto essere  implicate in diverse forme di addiction, forse influenzando i circuiti cerebrali della ricompensa o del sistema di attivazione (Behavioral Approach System) compromesso ad es. nei disturbi cognitivi e nell’ADHD.

Alcune configurazioni genetiche potrebbero inoltre favorire la dipendenza in presenza di specifici eventi ambientali: ad es., la bassa attività, geneticamente controllata, di alcuni enzimi (MAO-A) che influenzano la risposta allo stress, aumenta il rischio di alcolismo in soggetti adulti se questi hanno subito abusi infantili. Più recentemente, anche cambiamenti epigenetici sono stati ritenuti fortemente associati allo sviluppo di addiction. Nonostante le molte evidenze del ruolo dei geni nell’addiction e le diverse ipotesi esplicative, é comunque evidente che i geni da soli non bastano a causare l’addiction: se i geni caricano la pistola, è l’ambiente che preme il grilletto.
Tra i fattori individuali predisponenti vanno ricordati una storia di abuso, maltrattamenti o abbandono in età infantile, problemi di separazione e dipendenza nelle famiglie, l’isolamento e deprivazione sociale, scarse capacità cognitive e difficoltà scolastiche, disturbi psichiatrici (disturbi depressivi e comportamenti autolesivi, disturbi ansiosi, disturbi dell’impulsività e del controllo come l’ADHD). Tali fattori, causa di sofferenza psicologica e disagio sociale, potrebbero predisporre l’abuso di sostanze, determinato dal tentativo di trovare sollievo dalle sofferenze. La tossicodipendenza sarebbe quindi la conseguenza dell’auto-cura della sofferenza psicologica: secondo tale ipotesi, sostenuta da Khantzian, già negli anni ’70, il tipo di droga sarebbe preferito sulla base dell’interazione tra proprietà farmacologiche e gli stati affettivi da curare. A favore di tale ipotesi, va segnalato che l’età di esordio (in genere adolescenza e prima età adulta), dei comportamenti di abuso e della dipendenza, coincide con l’età di esordio dei principali disturbi psichiatrici.

Controversa invece è la possibilità di individuare una modello di personalità premorbosa che possa essere individuato come un fattore predittivo per l’Addiction. Alan Liang proponeva un modello di personalità a rischio di dipendenza (Addiction Personality) caratterizzato da un atteggiamento passivo e dipendente, un Io mal strutturato e con un falso Sé, incapacità di tollerare ansia e frustrazioni, sentimenti di incapacità e disistima, incostanza e suggestionabilità, con identificazione sessuale confusa, in soggetti manipolatori e incapaci di autentici rapporti interpersonali, intolleranti dell’autorità, alle regole ed alle frustrazioni ( con disturbo di personalità di cluster B). Il valore predittivo e l’esistenza di tale modello di personalità è tutt’ora oggetto di discussione, e non si può escludere che tale sindrome sia a sua volta determinata da altri fattori (familiari, biologici e psichiatrici) che favoriscono anche l’Addiction, risultando quindi una manifestazione associata più che un fattore causale della dipendenza. Altri fattori individuali predisponenti l’Addiction possono essere la disponibilità della sostanza, la povertà, l’abuso di alcol e droga come parte della cultura del gruppo dei pari, l’instabilità sociale, problemi di separazione, altri familiari e/o i genitori con problemi di dipendenza, l’isolamento sociale, disturbi psichiatrici.

Fattori protettivi socioambientali sono l’avere una buona situazione familiare, una rete di amici e supporto sociale, una buona disponibilità economica, essere interessati alla propria salute, essere ottimisti, con buone capacità di resilienza e resistenza alla pressione sociale.
Tra i principali fattori predisponenti importante è la presenza di disturbi psichiatrici. La relazione tra abuso/dipendenza e disturbi psichiatrici è però complessa. In estrema sintesi, si può ipotizzare che la dipendenza sia la conseguenza di un pregresso disturbo psichiatrico (Addiction come complicazione e autoterapia), o al contrario che i sintomi psichiatrici siano la conseguenza dell’abuso e della dipendenza (disturbi psichiatrici indotti da sostanze). Un’ulteriore possibilità è che i due fenomeni abbiano cause del tutto indipendenti e percorsi paralleli.

A cura di Giovanni Carollo, Psichiatra psicoterapeuta, Direttore Comunità terapeutica “Ca’ delle ore”.

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