Dio e il suo Boss

16-giugno-1988

Per tutti è The Boss: una rockstar che, a dispetto dei suoi quasi sessant’anni, sforna ancora canzoni capaci di commuovere i fan di ogni età. I suoi concerti – come quello che terrà a Milano il 25 giugno, unica tappa italiana del suo tour – sono degli eventi. Eppure pochi sanno che la musica di Springsteen ha un’anima religiosa: madre di origini italiane, padre di origini irlandesi, il Boss ha respirato il cattolicesimo fin da piccolo. E se in gioventù aveva preso le distanze dalla fede che gli era stata tramandata in famiglia, con la maturità – grazie anche all’incontro con la scrittrice cattolica Flannery O’Connor – ha dato sempre più spazio nei suoi testi a tematiche di forte impatto spirituale. Con l’album The rising (2002) la religiosità del cantante viene alla luce in maniera esplicita. E continua poi a esprimersi nei lavori successivi: da Devils and dust (2005), a We shall overcome: The Seeger Sessions (2006) fino al recentissimo Magic.

Nei testi delle canzoni giovanili di Bruce Springsteen – uno dei più formidabili cantori americani, capace di attraversare 30 anni di cultura popolare, restituendone un impasto di mito e realtà, sogno e crudezza – un elemento domina su tutti: la notte e con essa l’oscurità, il buio. In un brano del 1980, Stolen car, un uomo, dopo il naufragio della sua vita matrimoniale, viaggia da solo in macchina con la paura di sparire nella «notte nera come la pece». Il protagonista della traccia che dà titolo all’album del 1978, Darkness on the edge of town, nasconde un segreto, qualcosa che lo può trascinare a fondo e desidera solo rifugiarsi nell’«oscurità ai confini della città». Le tenebre inghiottono la casa di Independence day e si stendono come un sudario sul conflitto tra un padre e un figlio così come avvolgono la casa del padre nel brano My father’s house.
Ma se facciamo un salto in avanti agli anni della maturità del cantante – che sarà in Italia il 25 giugno per esibirsi a Milano – la situazione appare capovolta. Non è più il buio a dominare, ma la luce. Ombre e oscurità, prima ossessivamente presenti, sono ora rischiarate. All’incapacità di vedere subentra una sorta di “semantica” della luce. Alle immagini di chiusura, così insistite nei primi album, succedono altre che suggeriscono apertura. La prigione è «aperta», le sbarre sono solo «vecchie ombre» (Living proof), la strada «corre verso il paradiso» (Better days), le scelte invocano la trasparenza (If I should fall behind). Cosa è accaduto? Cosa ha trasformato un territorio oscuro in uno di luce?
«E tu erediti le fiamme / e tu erediti i peccati». Chi parla è il protagonista del brano Adam raised a Cain (letteralmente «Adamo ha allevato un Caino»), scritta da Springsteen 28 anni fa: è il figlio, qualcuno che percepisce se stesso come un Caino, un traditore. «Papà ha lavorato tutta la vita / per nient’altro che dolore / Ora cammina in queste stanze vuote / cercando qualcuno su cui gettare la colpa / Tu nasci in questa vita / pagando per i peccati di qualcun altro». Il rapporto padre-figlio si risolve in una catena: a essere trasmessa dall’uno all’altro è la colpa, e con essa il peccato. Le fiamme a cui allude Springsteen sono le fiamme della perdizione. Questo racconto della impossibilità di ogni redenzione è il cuore poetico della prima produzione di Springsteen. In Streets of fire questa visione dolente straripa dalla casa paterna: a essere di fuoco (ancora le fiamme della perdizione) sono le strade lungo le quali si dannano i «vagabondi» cantati da Springsteen. L’oscurità che circonda le esistenze di questi personaggi è figura dell’incapacità di «vedere», una condizione nella quale uomini e donne sono «gettati» dal peccato.
In My father’s house, brano nel quale è adombrata la parabola del figliol prodigo, il protagonista sogna di essere tornato bambino e di correre alla casa del padre. Rovi gli strappano i vestiti, il diavolo lo insegue, voci spettrali si alzano dagli alberi, ma il bambino riesce a tuffarsi tra le braccia del padre. L’uomo, svegliatosi, decide di ripercorrere lo stesso tragitto. Ma la casa del padre è vuota. A impedire la riconciliazione è «quell’autostrada nella quale i nostri peccati giacciono inespiati». È ancora una volta il peccato – il peccato non redimibile – a chiudere nell’oscurità i personaggi di Springsteen.
Il tragitto descritto dai personaggi di Springsteen, in 30 anni di carriera, è denso di contraddizioni, fatto di slanci in avanti e repentine cadute. «Un passo avanti e due indietro» ammette l’uomo di One step up. Ma già dopo il successo roboante di Born in the Usa (1984) molte delle atmosfere cambiano radicalmente. Ci sono ancora personaggi in fuga, ma la destinazione è ora una casa. Ci sono uomini e donne che hanno solo «briciole di fede», ma anche chi – come il protagonista di Living proof – trova nella paternità «la prova vivente» della pietà di Dio. La casa a volte è il teatro delle «piccole sporche guerre degli amanti». Ma più spesso è il luogo nel quale si manifesta la grazia di Dio.
Esemplare è la storia di Billy Horton del brano Cautious man. Un uomo costretto a combattere contro se stesso perché sa che «in un cuore inquieto giacciono i semi del tradimento». Un uomo che ha tatuato su una mano la parola «amore», sull’altra la parola «paura» e non sa in quale delle due «tiene il suo destino». Un giorno Billy affonda «in un sogno terribile». Sua moglie si è dissolta nel nulla, «mille miglia lontano da casa». Ma a differenza di quanto accadeva nel passato, il risveglio non avviene nella solitudine: sua moglie è accanto a lui e sulla casa si poggia la «bellezza della luce del Signore». La Grazia, la dimensione fino ad allora sconosciuta ai personaggi di Springsteen, si manifesta ora nella luce che inonda la loro esistenza. E la luce – nella forma di una «luna infuocata» – appare anche nella già citata Living proof. L’immagine di un bambino appena nato nelle braccia di sua madre è tutta «la bellezza possibile» che il protagonista riesce a concepire, come «le parole di una preghiera che non ho mai saputo pronunciare». L’amore per una donna e la paternità accompagnano l’uscita dell’uomo dal deserto: «Sei passata attraversa la mia disperazione e la mia rabbia / per mostrarmi che la mia prigione era solo una gabbia aperta / non c’erano chiavi né guardie / solo un uomo spaventato e delle vecchie ombre al posto delle sbarre».
L’album nel quale trova compimento il ribaltamento accennato e l’approccio diviene decisamente religioso è The rising (2002). Il dolore, la perdita, la morte, l’abbandono: nell’album c’è tutta la tragedia dell’11 settembre, ma ogni tragedia si compie ora non più in una terra disabitata ma davanti a Dio. In The rising (il verbo to rise significa ascendere, sollevarsi ma soprattutto resuscitare), un pompiere corre verso l’altro, nelle mai nominate Twin Towers. L’uomo risponde alla «croce della sua chiamata». Ma negli attimi che precedono la fine, nella sospensione tra la vita e la morte, il pompiere scorge immagini di vita («Ti vedo Mary / nel giardino dei cento sospiri / le immagini sacre dei nostri bambini / danzano in un cielo inondato di luce»), si protende verso «un sogno di vita», fino a trovarsi faccia a faccia con «la luce incandescente del Signore».
L’orrore, la catastrofe non vengono obliterati. The rising è invaso dal senso incombente della tragedia. Le parole chiave sono fuoco, polvere, sangue. Il cielo torna in maniera ossessiva: è «striato di sangue», «vuoto», «di nera cenere», di «dolore e angoscia». Tutti gli elementi sembrano partecipare al manifestarsi del male. Ma in un ideale contrappunto alle immagini di morte e violenza si contrappongono le parole amore, resurrezione, fede, forza. Springsteen mette i suoi personaggi di fronte alla frontiera estrema: quella tra la vita e la morte. Però l’attraversamento non esaurisce la realtà, la «apre» all’inaspettato. Dopo la morte si staglia una dimensione ulteriore: un cielo di «pienezza e di benedizioni».
La tangibilità della resurrezione si manifesta con una figura: il fuoco. Tutto nell’album sembra bruciare e irradiare luce. Brucia la casa di Lonesome day, il fuoco divampa in Into the fire e in The rising, ardono le candele in Mary’s place. Siamo dinanzi a qualcosa di diverso da quello che abbiamo incontrato in Adam raised a cain. Qui il fuoco è distruzione ma anche purificazione, morte ma anche rinascita. È proprio del fuoco il movimento che porta verso l’alto e in The rising tutto è ascensione. Il fuoco è lo Spirito che Springsteen nomina quando canta di un «vento infuocato». Riecheggia la parola biblica: lo Spirito santo è il vento (Gv 3,8) che avvampa il fuoco, Spirito e fuoco sono una cosa sola (Gl 3, 1-3; At 2,2-3). Il già citato pompiere di The rising è circondato dall’oscurità, l’unica cosa che sente è la catena che lo schiaccia al suolo mentre sale verso l’alto. A spingerlo è la «croce della sua chiamata». La croce è figura duplice: è qualcosa di pesante che schiaccia e inchioda al suolo, ma anche simbolo di ascensione, fino a diventare con san Paolo «spes unica».
Nell’album successivo, Devils and dust (2005) – una dolorosa condanna della guerra in Iraq – una figura torna prepotentemente, quella delle «ossa» che ha qui una manifesta matrice biblica: il libro di Ezechiele – e il suo campo di ossa asciutte (37, 4) – che Springsteen cita esplicitamente nel brano Black cowboys. Il soldato protagonista di Devils and dust con il fucile tra le mani e la paura che gli soffia dentro «demoni e polvere», vede in sogno «un campo di ossa e fango» tra l’odore dei cadaveri che si alza e il sangue che si asciuga sulle pietre. L’uomo sente di avere «Dio dalla mia parte», ma si chiede cosa accada «quando quello che fai per sopravvivere/ uccide ciò che ami?».
In Matamoros banks, una delle tante storie di frontiera di Springsteen, la corrente di un fiume trasporta il corpo senza vita di un clandestino. Un verso raccorda il massimo dell’orrore con il massimo della bellezza: «Le tartarughe hanno mangiato la pelle dei tuoi occhi / così ora essi sono aperti verso le stelle». La tragedia «apre» un paesaggio biblico, con la «pallida luna che scopre la terra fino alle sue ossa». In Black cowboys la valle delle ossa inaridite di Ezechiele è inondata dalla pioggia, segno di rinascita e salvezza. Attesa e rinascita si concretizzano in una serie di immagini come «la dolce salvezza», «la luce che brilla», «la benedizione sulla riva del fiume», come in Maria’s bed.
L’immagine delle ossa è presente anche nel brano I’ll work for your love, contenuto in Magic, l’ultimo lavoro in studio del musicista (2007). Springsteen canta di una donna che vive un suo calvario privato. Le sue costole emergono dalla schiena «come le stazioni della via Crucis», la luce disegna «un’aureola» attorno alla sua testa, e «gocce di sangue cadono a terra» (come in Luca 22,44). Fino alle parole pronunciate dal protagonista, dinanzi alle ferite della malattia e del dolore: «Sono qui cercando il mio pezzo di Croce».
Luca Miele

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