E la crociata nacque postuma (Franco Cardini)

DIBATTITO: Ormai gli storici hanno chiarito la vera realtà delle spedizioni medievali in Oriente. Eppure i pregiudizi continuano.

Qualche mese fa Gad Lerner s’impegnò su La Repubblica in un reportage dedicato alle crociate. Il tema era d’attualità: il Giubileo, il nono centenario della prima crociata (quella conclusasi nel 1099), le “scuse della Chiesa” al genere umano – come i mass media definivano, frettolosamente il documento Memoria e riconciliazione – e infine l’eterno problema dei venti di guerra nel Vicino Oriente.
Lerner è un giornalista serio, un professionista colto e di gran razza. Si accorse presto che la storia delle crociate è una cosa complessa e – soprattutto – molto lontana da quel che la gente immagina. Si mise, con onestà intellettuale e con umiltà, a studiare e a interrogare gli esperti. È così ch’ebbe luogo anche il nostro incontro. Ne è nato un libro, Crociate in uscita alla Rizzoli, (pagine 120, lire 22.000), che raccoglie gli articoli di Lerner ed è corredato anche da una lunga conversazione fra lui e me: una specie d’intervista “reciproca” tra un giornalista ebreo quarantenne, laico e uno storico cattolico sessantenne. E l’incontro prosegue oggi alle 15, nella cornice del Meeting di Rimini, dove Lerner ed io parteciperemo a un dibattito sulle “Crociate: il millennio dell’odio”.
Non ci siamo trovati sempre d’accordo, né sull’idea di crociata né sulla storia delle crociate: ma credo che il nostro franco e cordiale scambio d’idee sia servito ad arricchire entrambi. Ci siamo sforzati in particolare tutti e due di eliminare e sfatare una serie di luoghi comuni: la crociata ha una sua storia lunga, che va ben al di là delle sette-otto spedizioni ricordate dai manuali. E abbiamo convenuto anche sulla necessità di contestualizzare le vicende all’interno d’una dinamica storica complessa, che non consente estrapolazioni pena l’incomprensione.
Il dato saliente, in quest’ordine di problemi, è in effetti costituito dalla drammatica forma di schizofrenia tra le conoscenze degli specialisti e i pregiudizi dei mass media. I primi sono da tempo giunti a conclusioni rivoluzionarie sull’intera storia delle crociate; i secondi continuano a indugiare su una storia episodica e aneddotica e su pseudo-problemi tinti di moralismo e desunti da una storiografia sette-ottocentesca ormai ritardataria. Il grave è che, nelle scuole medie, il ritardo e la mancanza di aggiornamento creano una specie di corto circuito e che le novità ormai metabolizzate all’interno della ricerca scientifica non riescono a venir digerite in termini di buona istruzione scolastica e di dignitosa divulgazione.
Qualche anno fa lo studioso franco-svizzero Paul Rousset aveva proposto, nel libro La croisade. Histoire d’une ideologie, una visione “di lungo periodo” della crociata. Se nel corso del Novecento non era mancato chi le aveva interpretate in senso geopolitico, come la fase medievale dell’eterno e insopprimibile scontro fra Oriente e Occidente, fra Asia ed Europa (una storia di lunghissimo periodo, che aveva preso l’avvio dalle guerre persiane del V secolo a.C. e l’ultima tappa della quale era stata la tensione tra mondo liberaldemocratico e mondo sovietico), o chi le aveva collegate alla sacralizzazione della guerra emersa nel corso dell’alto medioevo in area tanto bizantina quanto romano-germanica, il Rousset prolungava l’indagine fino ai nostri giorni studiando anche aspetti e motivi dell’uso della parola “crociata” nella propaganda politica e nell’uso della storia degli ultimi decenni.
Anche il monumentale lavoro di Alphonse Dupront, Le mythe de croisade (voll.4, Paris 1997) c’insegna che le crociate non furono qualcosa di esclusivamente medievale. Il diritto canonico inerente ad esse fu sistemazione tardiva, risalente alla metà del Duecento, quindi ben posteriore all’avvio del movimento che data dall’XI secolo e che ebbe precedenti immediati nella penisola iberica e nel Mediterraneo. E che la parola “crociata” ha un iter storiografico ancor più recente, che data sostanzialmente dall’inizio dell’età moderna.
La crociata è insomma una e al tempo stesso molteplice: conosce una legislazione coerente e rigorosa, ma si articola in una pluralità di casi fenomenologicamente parlando diversi fra loro e muta sia nei differenti obiettivi volta per volta propostile, sia nel tempo e nel contesto in cui viene bandita. È una realtà proteiforme, una sorta di balena bianca all’interno della cristianità: uno strumento giuridico-politico e un’idea-forza, una fonte inesauribile di metafore, un mito, un oggetto infinito di apologie, di condanne, di polemiche e di malintesi capace di proporsi in situazioni diverse e soggetta a impensati revivals.
Questo “rovesciamento di prospettive” non è affatto un’ennesima esercitazione “revisionistica” : nasce dall’esame attento e spassionato della realtà delle cose. Lo studio del movimento crociato nei suoi aspetti concreti riguarda a sua volta le ricerche interdisciplinari, il rapporto con le scienze umane; e si misura sulla dimensione della “scoperta dell’Altro”, che il rinnovato contatto con l’islam nello scorcio del II millennio invita a riproporre su basi nuove, ma non dimentiche della lezione della storia.
Di recente Christopher Tyerman, medievista dello Hertford College di Oxford, ha redatto un saggio rivoluzionario, L’invenzione delle crociate (Einaudi). Egli non dimostra certo che le crociate “non sono mai esistite”: si limita a far capire bene come, nel corso del primo secolo di quello che noi oggi usiamo definire il “movimento crociato”, esso non vi fu; né vi fu niente di quella che noi siamo soliti definire “idea di crociata”. La spedizione – in parte pellegrinaggio, in parte campagna militare – conclusasi nel 1099 con la conquista di Gerusalemme da parte di alcune migliaia di cavalieri, di armati e di pellegrini provenienti dall’Europa occidentale, condusse certo alla formazione d’una monarchia feudale nel territorio siropalestinese – il “regno franco di Gerusalemme” – e fu salutata fin dal suo nascere da un talora disorientato entusiasmo, ma non fondò alcuna consuetudine.
Fu per successivi passaggi, per ulteriori “successive approssimazioni”, che si arrivò a un diritto della crociata, a una sua disciplina canonistica e fiscale, a un suo allargarsi anche degli obiettivi: dalla conquista (o riconquista) dei Luoghi Santi a spedizione militare contro i musulmani, poi contro i “pagani” in genere, quindi contro i cristiani eretici, infine contro i nemici politici della Santa Sede. Per un paradosso abbastanza impressionante, la crociata assume forma giuridica e “massmediale” definitiva solo quando ormai le speranze di riconquistare Gerusalemme erano ormai state abbandonate e si espresse soprattutto – fra XV e XVIII secolo – contro i turchi ottomani. In tal modo si può dire che apologeti e propagandisti prima, storici poi, concorsero in un arco di tempo durato più di mezzo millennio alla costruzione di una “ideologia”.
Il Tyerman mostra come nell’Europa tardomedievale e protomoderna si costruisse una vera e propria “cultura della crociata”, che dal diritto passò alla letteratura, alla musica, alle arti, alla propaganda popolare, al sentire comune, alimentandosi di gesti, di riti, di tradizioni: sino alle polemiche illuministiche e al revival romantico che delle crociate fece il prototipo delle avventure colonialistiche, con tutto il loro bagaglio culturale che sarebbe andato a costituire l’esotismo; e a più recenti e più scopertamente strumentali revival politici, come quelli durante le due guerre mondiali o la guerra civile di Spagna del 1936-39.
Al di là delle polemiche illuministiche e degli entusiasmi romantici, siamo adesso in grado quindi di ricostruire il complesso intreccio di rapporti tra crociata e pellegrinaggio (con il quadro delle immunità e dei privilegi relativi), lo sviluppo della predicazione e dell’esazione delle “decime”, il peso della diplomazia pontificia e il ruolo della minaccia ottomana sull’Europa che della crociata impose una decisa ridefinizione, i successivi revival moderni e contemporanei. Qualcosa di molto diverso, e di molto lontano, rispetto al semplicismo di certe polemiche strumentali destinate al grande pubblico.

Franco Cardini – Avvenire, 24 Agosto 2000

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