
E’ nata a Milano, la rete Rua, Resistenza all’utero in affitto. Al di là del nome piuttosto bellicoso, si tratta della «prima iniziativa laica in Italia contro il mercato della gravidanza»; un appuntamento a lungo preparato, che raccoglie esponenti femministe (meglio, movimento delle donne…) di primo piano: la sociologa Daniela Danna, la giornalista e saggista Marina Terragni, la costituzionalista Silvia Niccolai, e, unico uomo, il presidente di Equality Italia Aurelio Mancuso. L’obiettivo è elaborare proposte per mettere al bando la “gravidanza per altri” (Gpa, o utero in affitto, o maternità surrogata), giudicata come «mercificazione di chi nasce e riduzione della madre a cosa». Ma quali proposte potranno uscire dal confronto di questa sera? Daniela Danna pensa che la questione sia «innanzitutto culturale, perché non c’è chiarezza sul fatto che la Gpa è un istituto giuridico che permette che una donna che partorisce non venga considerata madre della sua prole, addirittura prima della nascita». Le donne – è il ragionamento di Danna – possono avere due tipi di gravidanze, laddove la Gpa è permessa: per sé o per altri. «Ma la gravidanza rimane la stessa, e non è umano voler impegnare una donna a separarsi dalla sua prole ancora prima di rimanere incin
ta». Conclusione: «Dal momento che la Gpa è una costruzione giuridica, io sono per il suo smantellamento negli Stati in cui esiste». Posizioni che non piacciono affatto a buona parte del mondo omosessuale maschile, perché, come si intuisce, la maternità conto terzi è l’unico modo per esaudire il desiderio di una coppia di uomini di avere figli. Ma i toni, dopo la recente sentenza di Trento che ha creato di fatto la prima famiglia in Italia formata da due padri e due figli (nati in Canada da utero in affitto), si sono accesi. Daniela Danna il 2 marzo ha postato sul suo sito (www.danieladanna.it) una lettera aperta ai «cari compagni gay», invitandoli a «non festeggiare la cancellazione della madre». La madre surrogata che ha consentito alla coppia gay di tornare in Italia con due gemelli è stata «cancellata» e trasformata in una semplice «operaia della gravidanza» con il consenso dello Stato. «Questo non lo possiamo, non lo dobbiamo festeggiare». Alla lettera aperta seguiva una quarantina di firme (tutte donne, tranne una). Alcuni «cari compagni gay» non hanno gradito. Il sito www.prideonline.it ha risposto con un articolo che ci conclude così: «Care femministe resistenti all’utero in affitto, e se la gestazione per altri fosse espressione di una libertà di autodeterminazione riproduttiva della donna?». Insomma, la Gpa sarebbe sempre una libera scelta, anche quando è lautamente pagata. Ma bisognerebbe chiedersi di che libera scelta si parla, quando a prestare l’utero sono donne alla fame, come capita nell’Asia meridionale. È intervenuto anche www.gay.it, altro sito della galassia omosessuale, che ha accusato Danna e le altre di voler creare conflitto tra coppie gay maschili e coppie lesbiche «per dividere il movimento Lgbti e mandarlo alla deriva». E poi, dopo una serie di argomentazioni sulla sussistenza di rapporti genitoriali tra un bambino e due uomini privi di legami biologici, sferra il colpo finale. Eccolo. In realtà, le «sedicenti femministe» di Rua sarebbero «profondamente cattoliche fondamentaliste» e vedrebbero «la donna come completa solo se diviene madre». Salti logici incredibili – perché l’oggetto del contendere non è il diventare madre oppure no, ma il diventare madre di un figlio che non è davvero un proprio figlio, perché acquistato da altri – che fanno dire come sia difficile confrontarsi su questi temi. Difficile, eppure essenziale.