Garantire il diritto a non abortire

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“Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia.” P.P. Pasolini

Un manifesto in questi giorni, in questo tempo pasquale durante il quale i cristiani celebrano la resurrezione e la vita, pubblicizza l’aborto farmacologico. Un’iniziativa promossa dall’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti con la quale hanno tappezzato le principali città d’Italia e anche Pistoia. Un’evidente provocazione presentata come una “scoperta scientifica meravigliosa” a favore della donna.
In questi tempi sempre più diffusamente si invoca la tutela dell’ambiente, degli animali, il rispetto di tutte le forme di vita, ed è cresciuta anche l’attenzione alla salute dell’umanità messi in pericolo dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del cibo per opera dell’uomo stesso.
Perché -dunque- sostanze chimiche che, come un veleno, hanno la capacità di uccidere un embrione possono essere reclamizzate come un farmaco sicuro e da assumere senza problemi? Non si tratta piuttosto di una falsificazione della realtà e di un messaggio fuorviante e menzognero soprattutto per le giovani donne?

Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’età prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore dell’Unità operativa perinatale del Policlinico Gemelli afferma che la pillola Ru486 “non è né sicura, né indolore, né semplice da usare.”

Allo stesso modo, i progressi medici scientifici legati alle nuove tecnologie mettono in evidenza il meraviglioso -questo sì che è meraviglioso- processo di sviluppo della vita umana e la relazione tra madre e figlio che inizia fin dal grembo materno. “Ancora una volta – sottolinea il professor Noia – non si vuole vedere il grande miracolo della relazione tra madre e figlio che si instaura fin dai primi istanti, dimostrato dalla scienza e testimoniato dalla sofferenza di tante donne dopo un aborto spontaneo a 7-8 settimane di gestazione. Ne ho seguite più di 400 e tutte mi hanno confidato un profondo dolore incompreso dagli altri; il dramma di una lacerazione che è indipendente dall’età gestazionale o dalle dimensioni del feto, legata alla perdita della presenza di un figlio.” Una mamma aiutata dal Movimento per la Vita racconta come la sua scelta iniziale di abortire fosse determinata dall’angoscia per una situazione familiare precaria e racconta: “i fatti della vita possono anche portarci alla disperazione ma bisogna cercare aiuto e non rimanere chiusi in una stanza come volevo fare io! Grazie a chi mi ha voluto bene, sono riuscita a fare la scelta che già dentro di me era scritta.” La scelta della vita.
Non serve avere una fede religiosa per capire ciò che la retta ragione e il buon senso possono vedere con evidenza: che giudicare l’aborto -a prescindere dalla metodica con la quale esso sia compiuto una conquista è una grande mistificazione della realtà.
L’aborto farmacologico consiste nella somministrazione di una pillola, la RU 486, che provoca la morte del nascituro e, con ulteriori farmaci, ne avviene l’espulsione: un processo che talvolta “può durare fino a due settimane, mentre il British Medical Journal riferisce che nel 56 % dei casi in età gestazionale elevata la donna subisce l’esperienza devastante di vedere l’embrione espulso con tutto il sacchetto gestazionale” (Noia). Un’esperienza del genere come non può non avere effetti negativi sulla salute della donna?
In conclusione, propagandare l’aborto come un progresso non può che essere frutto di un modo di pensare del tutto ideologizzato, “che l’aborto sia un diritto e una conquista – scrive il nostro vescovo– per questi è una verità incontrovertibile, non negoziabile, una tetragona sicurezza dogmatica” dalla cui posizione ci dissociamo proprio in nome della scienza e della ragione, nonché della fede, che percepisce la vita un grande dono di Dio. “Io credo – continua – che anche uno spirito laico autenticamente tale, pur non credente, dovrebbe essere abitato dal dubbio; dovrebbe porsi delle domande e giungere per lo meno a dire che l’aborto è comunque sempre un dramma che andrebbe evitato e che migliore sarebbe una società dove non ci fosse più.”

Consulta delle aggregazioni laicali di Pistoia

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