Chi puo’ difendere oggi la famiglia?

I processi di cambiamento intervenuti nell’ultimo quarto di secolo esigono, da parte di quanti credono ancora nell’istituto familiare, una serie di interventi a favore della famiglia, in parte correttivi dei guasti del passato, in parte orientati a far fronte alle nuove sfide che gli esiti ultimi della modernizzazione, e in particolare il fenomeno della globalizzazione, pongono alla famiglia. Si profilano pertanto i
ruoli, diversi ma complementari, di tre importanti attori: la famiglia, l’associazionismo e le istituzioni.

La famiglia come soggetto sociale

Il primo attore è la famiglia stessa. Dalla sua consapevolezza, dalla sua capacità di servizio, dalla qualità della vita di relazione che sarà capace di instaurare al suo interno dipenderanno la salvaguardia e la promozione dei più alti valori di cui la famiglia è portatrice o la sostituzione di essa con precari, instabili e fluttuanti
rapporti, secondo gli stili di vita cari alla cultura individualistica e radicale.
La posizione cattolica conferisce alla persona e alla famiglia una soggettività (natura) propria, ossia una realtà che precede e va oltre lo Stato: la famiglia, come la persona, non deve la sua “soggettività” allo Stato e non trova in esso la propria definizione. Un aspetto dell’insegnamento sul matrimonio e sulla famiglia è legato all’affermazione della centralità che la famiglia viene ad assumere nel contesto del sistema sociale. Ogni forma di organizzazione sociale che miri a garantire il bene delle persone non può prescindere dal riconoscimento dei diritti primari e inalienabili della famiglia. La famiglia è la prima e fondamentale forma di socialità e a
partire da essa devono essere in qualche modo pensate e strutturate tutte le altre dimensioni della vita sociale.
Le famiglie, in quanto generate dalla solidarietà e generatrici di solidarietà, sono chiamate a esprimere il loro compito sociale «anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella
coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” e assumersila responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le primevittime di quei mali che si sono limitate ad osservare con indifferenza».
Da una parte sembrano ormai maturi i tempi perché la nostra società, troppoa lungo condizionata da preclusioni ideologiche, riconosca la soggettività dellafamiglia; dall’altra sembrano esistere le condizioni affinché le famiglie assumanoil ruolo che compete loro nella vita pubblica, rafforzando notevolmente la propriasoggettività sociale nelle forme che la democrazia e l’organizzazione dello Stato
rendono possibili.
Purtroppo però la soggettività familiare non è minimamente presa in considerazione dal ceto politico e dagli apparati statuali, per via delle difficoltà che il sistema politico-amministrativo accusa nel declinare in termini familiari le istanze sociali.

L’associazionismo familiare

Il secondo attore è l’associazionismo familiare. La mobilitazione delle famiglie è la prima condizione per riportare al centro dell’attenzione sociale e del dibattito culturale e politico la necessità di affrontare la “questione famiglia”. Le famiglie infatti «devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia», diventando così protagoniste della “politica familiare”. Spinte dal senso del bene comune e allo scopo di promuovere e sostenere adeguati interventi sociali e politici, è necessario che le famiglie diano vita ad apposite organizzazioni familiari, per altro previste dall’ordinamento giuridico italiano e riconosciute a diversi livelli istituzionali.
L’associazionismo familiare è una realtà emergente e sempre più rilevante nella nostra società; attraverso la sua azione si “produce famiglia”, generando una solidarietà specifica. Questo è l’esito più significativo delle associazioni familiari, in quanto restituiscono alle comunità domestiche la consapevolezza del proprio essere famiglia, attraverso una condivisione ed una socializzazione dei problemi
che sono prassi nel comportamento abituale delle associazioni.
Le associazioni familiari, costituite da famiglie che si mettono insieme, svolgono una funzione sociale e sono espressione dell’esigenza di autonomia organizzativa della società civile. In altri termini il benessere prodotto dalle famiglie associate – che non può essere creato dallo Stato o dal mercato perché è creato dalle relazioni familiari – è rilevante per la comunità ed ha un peso per la qualità della vita.
È essenziale, perché si sviluppi un reale movimento di associazionismo familiare, che anche le famiglie cristiane siano formate a queste nuove opportunità.
Esiste purtroppo – consolidata da una tradizione ormai decennale – una cesura fra i cristiani che si occupano del sociale e del politico e i cristiani delle parrocchie con le loro famiglie, tutti impegnati in azioni di catechesi, di liturgia di carità di tipo assistenziale. È la cesura tipica del secolo scorso fra “sociale” e “privato”, con la famiglia imprigionata nel privato.
Questa separazione oggi ha ben poco significato.
Con la nascita delle nuove forme di lavoro e il tramonto della grande impresa come forma più diffusa di lavoro dipendente, il futuro delle forze sociali tradizionali – si pensi al sindacato, per esempio – si gioca tanto sul posto di lavoro quanto sul territorio. Sempre più vediamo e sentiamo i sindacati, innanzitutto quelli di ispirazione cattolica, “fare pubblicità” per i servizi che offrono alle famiglie e non solo ai lavoratori, com’era una volta.
Il sociale va verso il privato, costretto dalle nuove realtà.
Ma soprattutto è la famiglia ad essere spinta dalle nuove sfide ad uscire dal privato cui la modernità l’ha relegata, perché la crisi dello stato sociale tende a scaricare su di essa i compiti che esso nel passato si era assunto in esclusiva. Si pensi, per esempio, ai compiti di assistenza all’infanzia, all’anziano, al lungo-degente; oppure al compito di garantire un percorso scolare di educazione adeguato ai giovani. Si pensi alla necessità per le famiglie di costituire fondi di risparmio per la formazione universitaria dei propri figli, o anche al ruolo attivo che ormai la famiglia ha nella scelta e definizione dei programmi educativi di scuola e dopo-scuola dei propri figli, a livello primario e secondario.
La famiglia cui lo Stato e la società affidano questi nuovi compiti è però una famiglia indebolita ed isolata che, sola com’è, non riesce a far fronte né ai vecchi né ai nuovi impegni. Di qui la necessità che le famiglie si associno, non solo per difendere i propri diritti, ma anche per darsi reciprocamente servizi e aiuti, in una solidarietà reciproca fra i vari nuclei familiari e fra le diverse fasce di età, che ricalca lo schema delle vecchie “famiglie patriarcali” su nuove basi. Ciò che unisce queste associazioni di famiglie non sono infatti vincoli di sangue, ma condivisione di comuni valori, di comuni interessi e di bisogni complementari. In una parola, ciò che unisce questi gruppi e associazioni di famiglie solidali sono rapporti di mutualità, di sussidiarietà orizzontale. Quei rapporti che, come sa chiunque studia sociologia del mondo del lavoro, sono alla base dell’idea stessa di cooperativa che proprio il pensiero sociale di ispirazione cattolica ha elaborato alla fine dell’Ottocento.
Anche se la novità oggi è che sono le famiglie ad associarsi e cooperare, non tanto per offrire servizi e creare lavoro all’esterno di se stesse, ma innanzitutto per rispondere ai propri bisogni interni.
In questo modo l’associazionismo familiare diventa un autentico soggetto politico e la società e le istituzioni, a partire dai municipi, devono prenderne atto, dando ad esso piena cittadinanza e sostenendolo nella sua azione con tutte le risorse possibili.

Le istituzioni

Il terzo attore è rappresentato dai pubblici poteri, in quanto produttore di leggi e di scelte politiche che direttamente o indirettamente impattano la famiglia.
Se consideriamo che accanto al problema demografico vi è quello di un sempre più grave disagio sociale, ne consegue l’ineludibile necessità di un rinnovato interesse per la famiglia, che la ponga al centro dell’organizzazione sociale e civile al fine di promuovere il superamento dell’individualismo tipico dei nostri tempi e favorire una nuova stagione di crescita comunitaria.
Molti degli squilibri della società nascono infatti dalla crisi della famiglia che deve governare i cambiamenti e controllare i processi che possono produrre difficoltà e situazioni a rischio; serve quindi un’efficace azione di promozione, tutela e sostegno, sia a livello legislativo che a livello amministrativo.
La famiglia oggi non è ancora interlocutore del pubblico a pieno titolo; quando non è combattuta, è considerata un mero fatto privato.
A livello istituzionale troppo spesso la “politica con la famiglia” è fatto sporadico perché non pone la famiglia come soggetto referente per la definizione delle politiche sociali.
A poco servono tanti interventi sociali indirizzati a specifici temi o a patologie già esplose (devianze, tossicodipendenze, disagio sociale, mini-criminalità) se non viene considerato il “soggetto famiglia” nella sua globalità in modo da connettere i vari bisogni e le dimensioni della vita quotidiana, sia nelle analisi, sia nelle risposte, per valorizzare e rafforzare il vincolo familiare.
Occorre quindi invertire la tendenza che finalizza la politica dei servizi sociali alla tutela dei diritti soggettivi, ma che trascura l’aspetto della famiglia come sistema relazionale, e imboccare la strada di una politica sociale che combatta l’individualismo, produca solidarietà e si indirizzi verso la rimozione delle cause e dei fattori che generano debolezza della famiglia per le difficoltà che incontra nel costituirsi, nell’organizzarsi, nel crescere.
Tale obiettivo, finalizzato alla valorizzazione del ruolo sociale ed economico delle famiglie, richiede la creazione di servizi in rete, caratterizzati da maggiore flessibilità ed aderenza alle situazioni reali attraverso sinergia di interventi, di risorse, di competenze pubbliche e private. In altre parole è indispensabile il riconoscimento del carattere sociale e non meramente privato delle relazioni familiari. È cioè necessario che l’intervento normativo
definisca come socialmente rilevante quello che viene prodotto all’interno della famiglia e tra le famiglie.
La famiglia e le reti di famiglie producono “beni” positivi per tutta la società non solo in termini di responsabilità e solidarietà e di costruzione di una democrazia partecipata, ma anche in termini economici. Lo Stato deve riconoscere questo contributo, in quanto il benessere che viene prodotto dalla famiglia e dalle famiglie associate è importante per la comunità e per i modelli di convivenza civile.
Si tratta di decidere se spingere ancora in direzione del riconoscimento dei veri o presunti diritti individuali o di farsi invece carico dei diritti sociali, a partire da quelli della famiglia. Dall’uno o dall’altro orientamento dipenderà l’avvio di atti legislativi, di interventi di politica sociale, di promozione della cultura che assumano come punto di riferimento i singoli individui o piuttosto il “soggetto-famiglia”.
Una autentica politica familiare è quella che considera la famiglia come il prisma attraverso cui guardare la complessità sociale, impedendo allo Stato di attuare politiche contraddittorie o contrastanti, caratterizzate da uno strabismo per cui con una mano si dà e con l’altra si toglie.

Luisa Santolini

Da Quaderni di Scienza e Vita n.10

Nella buona ma anche nella cattiva sorte

E se fosse suo figlio? (domande scomode…)