Guerra senza fine: breve storia delle conquiste musulmane parte III

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La fine dell’inizio

Nel Giorno dell’Ortodossia, il 13 Marzo 1071, l’imperatore bizantino Romano IV condusse uno dei più grandi eserciti che Bisanzio avesse messo in campo nei secoli fuori da Costantinopoli. L’obbiettivo di Romano era porre termine ai continui attacchi turchi che stavano lentamente logorando le difese delle roccaforti dell’impero bizantino ed uno dei più antichi e ricchi centri della vita cristiana: l’Anatolia. Sebbene noi oggi conosciamo questa regione con il nome di Turchia, nell’ 11° secolo l’Anatolia era un territorio completamente cristiano.Il triste destino della campagna di Romano determinò le sorti dell’Anatolia.

Fin dall’antichità, la posizione dell’Anatolia, crocevia fra Europa ed Asia, aveva reso tale regione una delle zone più ricche e urbanizzate del mondo mediterraneo. Era una regione diversificata, che comprendeva molte grandi comunità greche, oltre che armene, ebraiche e di popolazioni della Frigia e della Cappadocia. In questo miscuglio di popoli – che includeva Tarso, la città di S. Paolo – il cristianesimo si diffuse rapidamente.

I nomi di molte città di questa regione, per non parlare delle loro storie, sono particolarmente familiari a coloro che hanno dimestichezza con il libro dell’Apocalisse: Efeso, Smirne, Pergamo,Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea. Sembra che l’invito alla penitenza contenuto nelle visioni di S.
Giovanni si rivelò efficace all’inizio del secondo secolo, perché queste ed altre chiese sperimentarono un intenso e vibrante cristianesimo e realizzarono fruttuosi sforzi missionari. In Anatolia il passaggio dal paganesimo al cristianesimo fu più mite che in qualsiasi altro luogo del mondo romano. Le ricche e profonde radici cristiane della regione la raccomandarono a Costantino come luogo per stabilire Costantinopoli e rifondare l’impero romano ad oriente. Nel 10° e 11° secolo, l’Anatolia era abitata da 8 a 10 milioni di persone, incluse molte decine di migliaia di rifugiati – la maggior parte cristiani, ma anche alcuni musulmani – dal Dar al-Islam.

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Per ironia della sorte, le popolazioni che conquistarono questa regione in nome dell’islam, i Turchi Seljuq, giunsero alla loro fede pacificamente, sebbene non avessero sperimentato l’elevata cultura millenaria che li separava dai popoli dell’Anatolia. La conversione delle nomadi e guerriere popolazioni turche nell’Asia centrale iniziò nell’ 8° e nel 9° secolo; iniziarono a migrare nel Medio Oriente nel 10° e 11° secolo. Furono queste popolazioni che annientarono il potere militare bizantino nel 1071 e in tal modo provocarono le crociate. Alla fine, guidate dagli Ottomani, le popolazioni turche completarono la conquista di Costantinopoli e crearono un impero e un califfato sulle rovine di Bisanzio che durò fino al 1924. I Seljuq e gli Ottomani portarono i vessilli dell’Islam all’interno della cristianità più di quanto avevano fatto altri precedentemente.

I Turchi, come i primi musulmani arabi, combinarono la devozione dei ferventi convertiti con la determinazione a muovere guerra per il Profeta e il profitto. Convertiti dai missionari Sunni, questi immigranti turchi furono sconvolti dal potere (e tentati dalla ricchezza) degli eterodossi Shia che dominavano su gran parte della vita politica del Medio Oriente all’epoca. Agli occhi dei membri delle tribù turche, fra le molte colpe della contemporanea società islamica c’era la sua relativamente grande tolleranza verso i cristiani e gli ebrei che vivevano fra i musulmani o venivano come pellegrini nei luoghi santi – oltre che una debole attuazione della jihad contro i Bizantini.

I Turchi cercarono di eliminare questa decadenza in tre modi:

1. Combattendo gli eterodossi Shia dentro il Dar al-Islam

2. Intensificando la persecuzione dei cristiani, specialmente dei pellegrini che venivano nei luoghi santi del Dar al-Islam

3. Lanciando una potente jihad contro Bisanzio

E’ una testimonianza della prodezza marziale dei Turchi – e dei costanti spargimenti di sangue ai quali sia i musulmani che i nemici cristiani di Bisanzio avevano assoggettato l’impero – il fatto che essi perseguirono e raggiunsero questi obbiettivi quasi simultaneamente.

Le discipline della vita nomade, con l’importanza attribuita all’equitazione e al tiro con l’arco, resero i Turchi imbattibili negli agguati e nella guerra. Gli attacchi dei Seljuq in Armenia, che cominciarono intorno al 1020, devastarono il paese e indussero alcuni principi e sacerdoti armeni a pensare che la fine del mondo fosse vicina. Tali attacchi erano particolarmente difficili da contrastare poiché erano costanti e mirati. Le guarnigioni turche spesso operavano indipendentemente. Anche i trattati che i Bizantini negoziavano con i principi turchi o il califfo non potevano frenare gli aggressori che si consideravano dei ghazis e che spesso avevano l’approvazione verbale dei loro superiori per realizzare i loro assalti.

Questi attacchi mirati rendevano schiavi ogni anno migliaia di prigionieri cristiani, danneggiavano il commercio e l’agricoltura lungo i confini e logoravano le difese armene e bizantine; ma il peggio doveva ancora venire.
Alp Arslan (“Il Leone Valoroso”), il principe turco che unificò i Seljuq nel
1063 e che infine avrebbe vinto la grande vittoria di Manzikert, attuò attacchi di una tale brutalità e ampiezza che i cronisti cristiani lo chiamavano il “bevitore di sangue” e lo consideravano come una delle forze dell’Anticristo.

S’impegnò molto per guadagnarsi questa reputazione. Matteo di Edessa, uno storico armeno, descrive il sacco di Ani, capitale dell’Armenia nel 1064, ad opera di Alp Arslan (che le cronache Seljuq descrivono come “una grande e prospera città con 500 chiese”):

L’esercito penetrò nella città, massacrò i suoi abitanti, la saccheggiò e l’incendiò lasciandola in rovine, facendo prigionieri tutti quelli che erano sfuggiti al massacro e ne prese possesso. Il numero dei morti era tale che i cadaveri bloccavano tutte le strade e non si poteva transitare senza passarci sopra. Il numero dei prigionieri era di almeno 30.000 anime. Io volevo entrare nella città per vedere con i miei occhi. Cercai di trovare una via senza dover camminare sopra i corpi. Ma era impossibile.

Gli Annali dei Turchi Siljuq, che descrivono tutta la serie di campagne che Arp Arslan condusse in Armenia quell’anno – inclusa la distruzione di numerose città e monasteri – corroborano la storia di Matteo. Con parole che non riflettono maggior dispiacere per i costi della jihad di quanto i cronisti delle crociate mostrarono nel descrivere la caduta di Gerusalemme, gli annali riportano:

Essi penetrarono nella città e uccisero così tanti abitanti da non potersi contare, cosicché molti musulmani non poterono entrare nella città a causa dei tanti morti. Fecero prigioniere tante persone quasi quante ne avevano ammazzate.

La bella notizia di queste conquiste percorse queste terre e i musulmani gioirono. Il racconto… fu letto ad alta voce a Baghdad nel Palazzo del Califfo e il califfo emanò un editto che elogiava e benediceva Arp Arslan.

Il sacco di Ani si rivelò la chiave d’ingresso per l’Anatolia. Negli anni successivi Arp Arslan e altri guerrieri Seljuq divennero più arditi nei loro assalti, saccheggiando importanti reliquie come quella di S. Basilio in Cappadocia ed espugnando nel 1070 Chonae, un sito famoso per la sua reliquia dell’arcangelo (che i Turchi prontamente trasformarono in una stalla).

E così, l’anno successivo, l’imperatore Romano condusse il suo esercito bizantino in battaglia. Ma non gli andò molto bene.

La battaglia di Manzikert fu una delle battaglie più decisive, sebbene sconosciuta, del Medioevo. Le forze di Arp Arslan annientarono l’esercito di Romano, prendendo l’imperatore stesso come prigioniero. Il panico che prese Bisanzio fu tanto quanto il giubilo nel Dar al-Islam, i cui eserciti avevano combattuto Bisanzio per secoli senza ottenere un tale successo. La sconfitta di Bisanzio fu resa più terribile dai tentativi dei rivali di Romano di conquistare il trono durante la sua cattività. La breve ma incisiva guerra civile che seguì – dopo il suo rilascio Romano cercò di riprendere il suo trono e di pagare il prezzo che aveva negoziato con Arp Arslan – assorbì ancora più truppe in battaglia a Costantinopoli. Come risultato, le difese bizantine ad oriente furono distrutte e l’impero si divise. I Turchi non ebbero problemi a finire il lavoro.

Le guerre che seguirono non furono una conquista tradizionale; i Turchi erano troppo pochi di numero per sottomettere completamente una regione di poco più piccola del Texas e contenente milioni di cristiani. Piuttosto, nel tempo, i continui agguati per tutta l’Anatolia consentirono loro di cacciare, ridurre in schiavitù o impoverire gli abitanti cristiani della regione. Nei successivi 300 anni la popolazione si ridusse di quasi la metà, contro una crescente migrazione musulmana verso la regione. Gran parte di questi territori fertili divennero terra di pastorizia per i nomadi Turchi, mentre molte città caddero in rovina. Così come la Spagna meridionale sarebbe stata devastata 500 anni dopo dall’espulsione della sua popolazione musulmana, l’Anatolia divenne una landa deserta sotto il governo dei suoi nuovi padroni stranieri e religiosamente intolleranti. Inoltre, la perdita dell’ Anatolia mutilò permanentemente Bisanzio. Le distrutte difese orientali della cristianità si rivelarono un facile obbiettivo da abbattere per i ghazis del Dar al-Islam nei secoli successivi Manzikert.

Una volta portato a termine il lavoro con la cristianità orientale, il passaggio verso ulteriori conquiste europee fu aperto.

I nostri nemici, i nostri maestri

E’ opinione comune sostenere che le crociate hanno lasciato il segno per secoli nell’immaginazione del mondo musulmano. Se i moderni islamisti e nazionalisti arabi hanno a volte additato le crociate come fonte delle opinioni anti-occidentali nel Medio Oriente, questo è semplicemente sbagliato. Bernard Lewis, uno dei più famosi studiosi occidentali dell’Islam, ha dimostrato che la cristianità occidentale rimase per secoli dopo le crociate un soggetto di relativo scarso interesse per i musulmani.
Nonostante le sofferte campagne dei crociati, l’ignoranza degli arabi, e poi dei Turchi, sugli aspetti più elementari della cultura e della geografia europea durante e dopo la battaglia poteva far arrossire un diplomato dei nostri giorni. Per secoli la cristianità occidentale rimase per i musulmani un’area di frontiera contro la quale essi continuarono a far guerra con successo fin quasi all’inizio dell’era moderna. Oltre questo, non costituiva un oggetto di grande interesse.

Dall’inizio la cristianità ha pagato un caro prezzo per non soccombere davanti alla jihad del Dar al-Islam. Le guerre che l’Islam mosse contro la cristianità – e i contrattacchi della cristianità – degenerarono in guerre sporche che spesso rafforzarono gli istinti peggiori in entrambe le fedi.
Per i cristiani queste lotte scoperchiarono un vaso di Pandora di mali: esse fornirono un rinnovato impeto all’antisemitismo popolare nel Medioevo e contribuirono a rafforzare la partecipazione cristiana al commercio di schiavi nel 15° e 16° secolo – una radicalizzazione che con orrore prefigura le discussioni correnti nel nostro paese sull’uso della tortura come mezzo legittimo per combattere la minaccia jihadista.

Tuttavia per l’Islam i frutti della vittoria spesso andarono a male.
L’intermittente ma maggiore tolleranza che caratterizzò le relazioni dell’Islam con altri “popoli del libro” nel Medio Oriente, nella Spagna musulmana e nei Balcani fu la tolleranza dei vincitori sicuri del loro trionfo. Anche in mezzo al trionfo, tuttavia, questa tolleranza si mescolava al disprezzo. Le pressioni della jihad che suscitarono le crociate occidentali portarono i musulmani ad abusare del loro potere sui cristiani e sugli ebrei soggetti al Dar al-Islam dando luogo a campagne di conversioni forzate, progrom e altre brutalità. Nell’era moderna, poiché la velocità dell’avanzata islamica rallentava e il corso degli eventi si volgeva a favore dell’occidente, anche la tradizione di tolleranza del Dar al-Islam collassò. La magnanimità della vittoria si dimostrò un ‘esperienza troppo limitata affinché i musulmani consolidassero la tolleranza come parte integrante della loro cultura religiosa.

Tuttavia, così come la storia naturale rivela l’amore che Dio ha anche verso gli insetti, la storia umana rivela il Suo compiacimento nei paradossi e nella dialettica. Nell’ undicesimo secolo il terrore della jihad fece nascere lo zelo per le crociate, che contribuì a ritardare l’ulteriore avanzata islamica verso occidente. Di fronte alle jihad ancora più vittoriose del 15° e 16° secolo, la cristianità divenne più aggressiva ed estesa di quanto non fosse mai stata. La cristianità riuscì a raccogliere potere e risorse colonizzando l’emisfero occidentale, aggirando lo status del Dar al-Islam come mediatore del commercio con l’Asia e spezzando infine il potere egemonico islamico in Eurasia. Tuttavia, quando la cristianità sperimentò i suoi più grandi trionfi nella scoperta e colonizzazione del nuovo mondo, i cristiani trasformarono anche le loro lotte militari per la sicurezza religiosa in lotte intestine durante la Riforma, minando involontariamente la cristianità e lasciando dietro di sè un’Europa occidentale secolarizzata.

Paradossalmente, quindi, i successi della jihad islamica hanno in definitiva rafforzato e accresciuto un Dar al-Harb più resistente che mai all’avanzata dell’Islam poiché liberò i cristiani d’occidente dall’onere di continuare le loro guerre di religione. Sebbene la jihad non sia meno terribile oggi di quanto lo sia stata per secoli, a differenza del passato, il suo attuale terrore contiene un’inquietudine e futilità di fondo per i suoi devoti.
Queste risiedono sia nell’incapacità dei sedicenti ghazis dei nostri giorni di usare qualsiasi cosa che non sia il terrore per raggiungere i loro obbiettivi oltre che nella sovversione da parte di un occidente secolarizzato della stretta unità sociale, politica e religiosa delle società musulmane.

Speriamo che il nichilismo e l’isolamento della militanza jihadista sia presagio della rinuncia da parte dei fedeli musulmani della violenza sacralizzata. Una tale svolta libererebbe coloro che invocano il nome dell’Unico Dio dallo stigma di brutalità religiosa che si sono guadagnati.

T. David Curp è professore di storia presso la Ohio University dove insegna storia contemporanea dell’Europa orientale e dei Balcani. Attualmente sta terminando un libro sulla pulizia etnica in Polonia nel dopoguerra.

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