
La notizia recentemente pubblicata su Nature e Nature cell biology che due gruppi di ricercatori americani e inglesi sono riusciti a far sviluppare in vitro embrioni umani fino al 13° giorno dalla fecondazione è negativa, sia perché il risultato raggiunto suppone la precedente distruzione di esseri umani nella fase iniziale della loro vita, sia per la dichiarata intenzione degli sperimentatori di voler continuare in futuro la ricerca distruttiva anche oltre il 14° giorno, se sarà possibile mantenere in vita gli embrioni anche oltre questo termine erroneamente considerato fino a ora come stabilito in raccomandazioni internazionali. Eppure la notizia contiene due aspetti positivi. Il primo è la conferma della individualità umana del concepito negata da quanti per giustificare l’aborto negano l’autonomia dell’embrione che sarebbe una parte del corpo materno e che comunque non potrebbe vivere da solo.
Le due ricerche, invece, provano il contrario: l’embrione è una entità distinta dalla madre. È un essere umano che si sviluppa in virtù di una forza organizzatrice interna a lui stesso, così come avviene nel neonato. Non è come un pezzo di marmo che diviene una statua per l’azione esterna di uno scultore che lo modella. Dalla notizia si ricava una seconda conferma: il termine di 14 giorni che si pretende fissato in sede internazionale come quello che separa il cosiddetto “pre-embrione” dall’embrione e che indicherebbe l’inizio della vita umana e della gravidanza non corrisponde affatto alla verità biologica dell’embrione ma ha soltanto un significato utilitaristico.
Il concetto di pre-embrione è stato respinto dalla Convenzione europea di bioetica (Oviedo 1997); due sentenze della Corte europea di giustizia (Greenpeace contro Brustle del 18 ottobre 2011 e Stem Cell Corporation contro Comptroller General of Patents designs and trademarks del 18 dicembre 2014) hanno stabilito che nel diritto europeo la definizione di embrione senza ulteriori distinzioni riguarda il concepito fin dalla fecondazione; un’altra recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Parrillo contro Italia del 27 agosto 2015) ha stabilito che gli embrioni in provetta «non sono cose» e altre due sentenze della Corte Costituzionale italiana (n. 229 del 2015 e n. 84 del 2016) per confermare il divieto di sperimentazione distruttiva su embrioni in provetta residuati da procreazione assistita hanno affermato che essi non sono «mero materiale biologico», hanno una loro “soggettività”.
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E allora, come salta fuori il limite dei 14 giorni, accolto nelle leggi di alcune nazioni (Spagna, Inghilterra), ma respinto da altre (Germania, Italia, Austria)? È stato inventato nel 1984 dalla Commissione britannica Warnock, dal nome della sua presidente, per giustificare la ricerca distruttiva su embrioni umani generati in provetta. Al numero 11.19 si legge: «Una volta che il processo è incominciato non c’è una particolare parte dello sviluppo che sia più importante di un altro; tutte sono parte di un processo continuo.
Biologicamente, nello sviluppo dell’embrione non si può identificare un singolo stadio, al di là del quale l’embrione in vitro non dovrebbe essere tenuto vivo. Abbiamo tuttavia concordato nel ritenere questo un settore nel quale devono essere assunte precise decisioni per calmare l’ansietà diffusa nell’opinione pubblica». Così è stato fissato il termine dei 14 giorni. “Calmare”, cioè tranquillizzare, cioè ingannare l’opinione pubblica.
Carlo Casini – Avvenire