I filosofi della cultura della morte (Parte I)

Foto di Elias Sch. da Pixabay

Karl Marx, Friedrich Nietzsche, Ayn Rand e Wilhelm Reich potrebbero anche essere stati mossi da buone intenzioni, volte a sanare il mondo dai suoi mali, ma hanno contribuito enormemente a generare quella malattia moderna che Giovanni Paolo II ha identificato come la “cultura della morte”.

In questi termini si esprime Donald DeMarco, autore di un libro di ricerca sulle vite disfunzionali e sulle teorie degli “Architetti della cultura della morte” (Ignatius), insieme a Benjamin Wiker.

DeMarco è professore aggiunto di filosofia presso l’Holy Apostles College and Seminary, nel Connecticut e professore emerito del St. Jerome’s University, nell’Ontario.

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In questa intervista – divisa in tre parti – rilasciata a ZENIT, egli ha illustrato come il pensiero altamente influente di alcune persone ha potuto alimentare la formazione dell’attuale cultura della morte.

Perché ha deciso di scrivere questo libro sulla vita degli “Architetti della cultura della morte”?

DeMarco: Il titolo è opera di Benjamin Wiker, co-autore del libro. Quando lessi per la prima volta questo titolo accattivante in un suo articolo apparso sul “National Catholic Register”, ebbi la netta sensazione di poter contribuire sostanzialmente a questo tema e di poter collaborare insieme a Ben per scrivere un libro dal titolo “Architetti della cultura della morte”.

Credo di condividere qualcosa con lui, che ci ha permesso di avere la stessa visione, ovvero un profondo convincimento che qualcosa di gravemente sbagliato era sorta nel mondo moderno, che le persone avevano bisogno di sapere come ciò era emerso e che esiste una risposta al nostro attuale dilemma.

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Io avevo passato molti anni ad insegnare filosofia morale e storia della filosofia moderna alla St. Jerome’s University di Waterloo, nell’Ontario. È stato quindi facile per me mettere insieme 15 di questi “architetti” e spiegare come il loro pensiero altamente influente abbia contribuito a formare l’attuale cultura della morte.

Ho scritto cinque libri sul tema della virtù. Le persone normalmente parlano dell’importanza dell’amore, ma senza virtù non c’è quel canale attraverso il quale l’amore può essere espresso in modo efficace e soddisfacente.

Probabilmente era inevitabile che i miei pensieri si sarebbero convertiti da qualcosa di positivo alla sua antitesi. La verità è difesa solo a metà se al contempo non vengono smascherate le bugie che la attaccano e la occultano.

Non ho avuto difficoltà, come ho accennato, a trovare 15 “architetti”, e nonostante ve ne siano più di quanti ne potessi presentare sono soddisfatto di quelli che ho scelto. Inoltre, essi cadono ordinatamente in determinate categorie: i cultori della volontà, gli esistenzialisti estetici, gli utopisti secolari, gli edonisti e gli spacciatori della morte. Ben ha curato gli altri otto pensatori riportati nel nostro libro.

Cosa c’è nella vita di queste persone che è così eloquente?

DeMarco: Da filosofo, ovviamente ho illustrato i miei architetti in modo tale da farne risaltare la loro parte più “eloquente”, ovvero che i loro pensiero è manifestamente insostenibile. La loro visione della vita e del mondo semplicemente non regge a qualsiasi ragionevole analisi. In nessun momento questi “architetti” dimostrano di avere una nozione equilibrata di cosa costituisca un essere umano.

Arthur Schopenhauer, Friedrich Nietzsche and Ayn Rand conferiscono una tale importanza all’aspetto della volontà, da lasciare poco campo alla ragione.
Gli storici si riferiscono a loro come “vitalistici irrazionali”.

Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Elisabeth Badinter assolutizzano la libertà al punto da non lasciare spazio alla responsabilità, e in particolare alla responsabilità comune.

L’utopismo di Karl Marx, Auguste Comte e Judith Jarvis Thomson è una fuga nella fantasia.

Sigmund Freud, Wilhelm Reich e Helen Gurley Brown fanno del piacere e non dell’amore l’elemento centrale della vita degli esseri umani.

Infine, Jack Kevorkian, Derek Humphry e Peter Singer perdono completamente di vista la dignità umana e la l’inviolabilità della vita.

Un’altra caratteristica emblematica di queste persone è che conducevano vite disordinate. Almeno tre di loro – Auguste Comte, Wilhelm Reich e Friedrich Nietzsche -, secondo diversi storici di filosofia, erano folli. Alcuni degli altri mostravano chiari segni di nevrosi. In molti casi – e questo è vero anche per gli “architetti” trattati dal mio collega – essi si lasciavano coinvolgere in attività veramente sconvolgenti.

Sant’Agostino disse una volta che la sola vera giustificazione della filosofia è che, ove seguita, può rendere la persona felice. Dovrebbe esservi armonia tra la filosofia di vita di una persona e le soddisfazioni che l’attuazione di questa filosofia procura. Le idee hanno le loro conseguenze. I pensieri realistici dovrebbero essere come un manuale per una felicità di vita. I pensieri non realistici non possono portare alla felicità. La filosofia è l’amore per la saggezza non un edulcorante della miseria.

A suo avviso cosa potrà sorprendere maggiormente i lettori, riguardo i pensatori trattati nel suo libro?

DeMarco: È una domanda tanto difficile quanto è difficile prevedere la reazione dei lettori.

Ma potrebbe essere che molti lettori si sorprendano dell’assoluta discrepanza che esiste tra le buone intenzioni degli “architetti” e il fatto che essi hanno contribuito enormemente alla formazione di una cultura della morte.

Wilhelm Reich pensava di essere un messia secolare che avrebbe curato il mondo dalle sue nevrosi sociali e individuali. Egli vedeva se stesso come il primo freudiano-marxista al mondo. Si è meritato più di chiunque altro l’appellativo di “padre della rivoluzione sessuale”.
Eppure egli morì in un penitenziario federale, per aver ingannato il pubblico americano vendendo scatole vuote, costruite in tal modo da poter catturare una preziosa forma di energia chiamata “orgone”. Uno dei critici di Reich ha detto che era difficile dare credito ad un uomo che affermava di essersi accorto “di non poter più vivere senza un bordello”.

Friedrich Nietzsche, qualche anno prima della sua morte avvenuta all’età di 56 anni, è stato trovato mentre colpiva un pianoforte con i gomiti, ed è stato poi messo in manicomio. Egli disse del suo capolavoro “Zarathustra”:
“Questo lavoro non ha eguali. Seppure tutto lo spirito e la bontà di ogni grande anima fossero messi insieme, non sarebbero sufficienti a creare neanche un singolo discorso di Zarathustra”.

Freud si immaginava come un nuovo Mosè. Karl Marx si credeva un nuovo Prometeo.

Ayn Rand si considerava la più grande filosofa di tutta la storia, dopo Aristotele. Sosteneva che “l’altruismo è la radice di ogni male”. Dispose che alla sua morte, un simbolo del dollaro a grandezza naturale dovesse ornare la sua bara. Morì poi praticamente senza amici al mondo.

Questi “architetti” avevano un ego smisurato, ma è difficile dire che avessero progetti concreti per sanare la società dai suoi mali.

Tutti loro dicevano in un modo o in un altro, di essere umanisti e liberatori. Eppure, ciò che predicavano era un falso umanesimo che considerava gli esseri umani completamente a senso unico.

Potrebbe quindi essere sorprendente per molte persone, osservare che pensatori pur autorevoli e influenti, abbiano trovato sfuggente la natura della persona umana. Stiamo ancora tentando, spesso con risultati disastrosi, di rispondere all’eterna domanda: “Cosa è l’uomo?”.

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