I Poveri di Iahvé

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Gesù con queste parole ci invita a sottomettere tutta la nostra vita alla volontà Dio:

1)Chi non rinunzia ai suoi averi non può essere mio discepolo

2) Beati queli che si sono fatti eunuchi da sé per il Regno dei cieli

3 ) Chi non odia il padre, la madre e anche la sua vita non può essere mio discepolo

4) Se una parte del corpo ti è di scandalo, tagliala.

Insegna Giovanni Paolo II: “Della povertà evangelica i Padri sinodali hanno dato una descrizione quanto mai concisa e profonda, presentandola come – sottomissione di tutti i beni al bene supremo di Dio e del suo Regno- “( Pastores Dabo vobis n. 30 ).

La povertà del cuore consiste nel sottomettere tutta la propria vita alla volontà Dio: in questo senso i tipi di povertà sono molteplici in quanto riguardano tutti gli aspetti della vita.

Si può, infatti, parlare di povertà sessuale quando si mette il sesso al servizio di Dio e della sua legge, di povertà culturale quando si mette la propria cultura al servizio della fede ecc.

“Cristo Gesù, da ricco che era, si fece povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà. (…) Cristo ha scelto una situazione di povertà e di spogliamento per dimostrare quale sia la vera ricchezza da ricercare: quella della comunione di vita con Dio ” ( Libertà e liberazione 66 ).

Scrive Antonio Fuentes, docente di esegesi biblica :” I poveri di Iahvé
(…) erano denominati in Israele con l’appellativo ebraico di ANAWIM. (…)

Il loro nome, ANAWIM, ci parla di sottomissione e donazione a un potere superiore; (…) Al di sopra di tutto, pongono la loro fiducia in Iahvé, al quale raccomandano la loro causa ( cfr Ger 11,20; 20, 12 ).

I ‘ poveri di Iahvè ‘ sanno che la comunione con Lui ( cfr Sal 73, 26-
28 ) è il bene più prezioso nel quale l’uomo trova la vera libertà ( cfr Sal 16; 62; 84 ). Per essi il male più tragico è la perdita di tale comunione.(…) Gli ANAWIM, o poveri di Iahvè, non sono solamente gli indigenti e gli invalidi, che in quanto tali reclamano da Dio una ricompensa; sono soprattutto e principalmente coloro che cercano Dio e adempiono i suoi precetti ( cfr Sof 2,3 ). (…) Nel libro di Giobbe troviamo un modello compiuto del ‘ povero di Iahvè ‘. Tutto il racconto è un canto alla fiducia in Dio, una splendida lezione di umiltà. (…) Giobbe si purifica interiormente e impara per diretta esperienza che cosa significa vivere veramente distaccato da tutte le proprie ricchezze; e, pienamente identificato con la volontà divina, si abbandona fedelmente nelle mani della Provvidenza.

(…) Nell’imminente attesa del Messia, il Vangelo pone in risalto, per la loro umiltà e fiducia in Dio, l’anziano Simeone ( cfr Lc 2, 25 ), la profetessa Anna ( cfr Lc 2,36-37 ) e l’austera figura di Giovanni il Battista ( cfr Mt 3,1 ss ). Sono tutti fedeli rappresentanti degli ANAWIM dell’antico Testamento.(…)

Al di sopra di essi, tuttavia, si erge nei Vangeli la figura unica e singolare di Maria, la giovane di Nazaret: è il modello compiuto di povertà, vale a dire di umiltà, distacco e fiducia in Dio (…). Quando l’Angelo le spiega che diverrà madre senza cessare di essere vergine, cioè quando le annuncia il mistero dell’Incarnazione, si dona interamente alla volontà divina, non indugia nella risposta né pone alcuna condizione alla propria donazione. (…)

Il canto del MAGNIFICAT, ponte di unione fra l’Antico e il Nuovo Testamento, è il luogo dove forse meglio si può apprezzare la statura e la grandezza d’animo di Maria: in questo breve inno si rispecchia alla perfezione l’anima degli ANAWIM.

(…) Egli – ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili- ( Lc 1,51-52 ) ” ( Antonio Fuentes, La cruna e il cammello, il significato cristiano della ricchezza, ed. Ares ’94, pag.21-28).

La povertà del cuore significa che” Ai suoi discepoli Gesù chiede di preferirlo a tutto e a tutti” ( Catechismo della Chiesa cattolica 2544 ).

Non è possibile amare il prossimo se non amiamo noi stessi e non è possibile amare noi stessi se non amiamo Dio al di sopra di noi stessi: ” Se uno viene a me e non odia il padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle, e anche la sua vita, non può essere mio discepolo”
( Lc 14,26 ).

La parola odio va intesa nel senso di – amare di meno – e ciò lo si deduce confrontando questo insegnamento con quello analogo di Matteo:-” (…) chi ama suo padre o sua madre più di quanto ama me, non è degno di me (…) ecc. “- ( Mt 10,37 ).

Per questo Giovanni Paolo II insegna che” Non è carità nutrire i poveri o visitare i malati portando loro risorse umane e tacendo loro la Parola che salva”  ( Giovanni Paolo II, discorso Sono lieto, cf. Annunciare il valore religioso della vita umana, cristianità 1991, pag 11 ).

Bisogna ricordare che esiste una gerarchia dei beni: il bene dell’anima è superiore al bene del corpo e quindi le opere di misericordia corporale devono sempre essere messe al servizio delle opere di misericordia spirituale.

Dio non ci comanda di amare il fratello per amore del fratello – che sarebbe filantropia – ma ci comanda di amare il fratello per amore di Dio.

L’amore cristiano per il fratello è un ” amore che viene da Dio e va a Dio ” ( cfr Libertà cristiana e liberazione n.68 ).

Il semplice amore umano, invece, viene solo dall’uomo e va all’uomo ma è proprio l’assenza di Dio la causa di tutti i mali: dice il Concilio Vaticano II che ” la creatura senza il Creatore svanisce ” ( Gaudium et Spes n.36 ).

L’esclusione di Dio produce la morte dell’uomo e provoca la divisione tra i fratelli: la Bibbia mostra che viene alterata la relazione fra l’uomo e la donna, poi la relazione tra i fratelli – Caino uccide Abele -. L’esclusione di Dio dalla società, nell’episodio di Babele, provoca la distruzione della società stessa ( cfr Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia n. 15-16 ).

Chi non ama i fratelli non ama Dio ma è impossibile amare veramente i fratelli senza amare prima Dio, anzi, è impossibile amare se stessi senza amare Dio al di sopra di se stessi. Infatti il primo comandamento è :”Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il massimo e primo comandamento ”  ( Mt 22,37-38 ).

Il secondo comandamento è quello dell’amore del prossimo:” Amerai il prossimo tuo come te stesso ” ( Mt 22,39 ). Quindi Gesù insegna che, per amare gli altri, bisogna prima amare se stessi, ma per amare se stessi bisogna amare Dio al di sopra di se stessi: ” (…) Chi avrà perduto la sua vita per amore mio, la ritroverà” ( Mt 10,37-39 ).

Amare Dio significa fare la sua volontà e metterlo sempre al primo posto: perché solo Dio è bene infinito adatto al nostro cuore, solo Lui è la felicità completa.

Amare il prossimo significa desiderare per il prossimo il suo vero bene e cioè i comandamenti e fra i comandamenti il primo comandamento, cioè l’amore di Dio. Quindi, chi ama il prossimo deve desiderare che il prossimo giunga soprattutto e prima di tutto all’amore di Dio.

L’amore di carità – cioè amare Dio al di sopra di se stessi e il prossimo per amore di Dio – può e deve richiedere il sacrificio dell’amore umano perché non è possibile amare veramente il prossimo senza amare prima Dio e i suoi comandamenti: senza Dio finiremmo, anche senza volerlo, a causa delle passioni disordinate, per fare del male a noi stessi e al prossimo, confondendo i piaceri disordinati e momentanei con il bene e finendo facilmente per persuaderci che è falso ciò che non vorremmo fosse vero.

NOTA SULLA DOTTRINA SOCIALE:

PREFERIRE GESU’ A TUTTO E A TUTTI SIGNIFICA ANCHE PREFERIRE ALLE IDEOLOGIE POLITICHE I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA SUA CHIESA.
La Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli facendo del bene a tutti. Se coloro che governano i popoli non avessero disprezzato gli insegnamenti e i materni avvertimenti della Chiesa non vi sarebbero né capitalismo selvaggio, né socialismo, né comunismo. Gli uomini hanno voluto fabbricare edifici sociali basati su principi contrari a quelli indicati dalla Chiesa, edifici che, sulle prime, parevano potenti e grandiosi, ma che hanno portato conflitti e miseria. Ogni edificio che non viene costruito su Cristo è destinato a crollare miseramente ( cf Pio XI, Divini Redemptoris, n.38 ).

( Bruto Maria Bruti )

Bruto Maria Bruti
LA NOSTRA SESSUALITÀ
Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano

pp. 168 – € 15,50
ISBN 978-88-7198-593-0

Questo libro è un sollievo. Il professor Bruti ci parla di cose belle, grandi, importanti. Ci parla di amore, di un progetto personale che si compie nell’unione con l’altro, del desiderio di potersi abbandonare nel completo godimento di un eterno abbraccio. È un sollievo, dicevo, leggere di noi stessi, della nostra sessualità e della persona che amiamo in questi termini. Dopo anni in cui gli «esperti» hanno tentato di convincerci che la gioia è «nient’altro che» un «orgasmo», che la persona amata è «nient’altro che» un «oggetto sessuale», che il sesso è «nient’altro che» un «meccanismo relativamente semplice che provvede alla reazione erotica quando gli stimoli fisici e psichici sono sufficienti», finalmente qualcuno ci dice che in realtà dell’altro ci sarebbe: il nostro desiderio di sentirci amati in modo unico, esclusivo, incondizionato, per sempre (dalla Presentazione di Roberto Marchesini).

Il libro si puo’ trovare e chiedere (talvolta ordinandolo) in qualsiasi libreria.
Oppure su
IBS La nostra sessualità. Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano – Bruto M. Bruti – Libro – SugarCo – Argomenti | laFeltrinelli
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La nostra sessualità – Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano libro, Bruti Bruto M., SugarCo, giugno 2010, Sessualità e morale – LibreriadelSanto.it

Sentinelle in piedi – Veglia per la libertà di espressione

Puo’ uno stato dichiarare inutile e non dignitosa una vita?