I senza fissa dimora sono “barboni”? Che passato hanno?

sguardo del povero
foto Adl – Santi Enrico

Ecco uno stereotipo che i dati smentiscono: il senza dimora non è “il barbone”. Anche se è certo che l’esposizione prolungata alla vita di strada comporta una progressiva e inesorabile compromissione delle condizioni psichiche e fisiche, e quindi anche forme pesanti di adattamento negativo nella tenuta di sé stessi e del proprio aspetto, i dati dicono chiaramente che la popolazione senza dimora è relativamente giovane, in grado di socializzare adeguatamente, equilibrata tra italiani e stranieri, con una durata media in stato di grave emarginazione non lunghissima e con capacità lavorative ancora significative. Ciò significa che la maggior parte degli homeless che vivono in Italia sono probabilmente “invisibili”, nel senso che vivono durante il giorno, quando non si trovano in un servizio dedicato, in “normali” contesti urbani, mischiati con le “normali” popolazioni locali, senza che all’occhio salti alcuna significativa differenza tra loro e queste ultime.

Certamente esistono profili più simili a quelli del “barbone” di comune memoria, e spesso si tratta, come abbiamo visto dai dati, di persone italiane, da lungo tempo in strada, con stato di salute molto precario e scarsa educazione; si tratta però di una piccola quota dell’universo considerato, e modellare su di loro la rappresentazione dell’intero fenomeno è certamente sbagliato, fuorviante e persino colpevole, perché troppo comodo per costruire un alibi inesistente a chi volesse poter dire “io sono diverso da loro”: nessuno di noi è diverso da un homeless e tutto corriamo gli stessi rischi; siamo solo stati più fortunati e forse capaci nel mettere a frutto i capitali che avevamo a disposizione, ma ciò oggi non basta più a sottrarci in modo permanente dalla sfera del rischio di impoverimento ed emarginazione.

Un altro elemento che va sottolineato è una triste conferma di quanto la mancanza di un’educazione adeguata, di una socializzazione familiare equilibrata e di una infanzia vissuta in modo sereno e accogliente incidano sui percorsi di vita delle persone e sul loro futuro. Non si può dire che tutti gli homeless abbiano avuto una infanzia difficile o abbiano livelli di istruzione molto bassi, ma certamente la mancanza di titoli di studio adeguati e la presenza nella propria biografia di rotture familiari precoci, violenze, istituzionalizzazioni minorili è un fattore che espone alla grave emarginazione più di altri. Prevenire l’homelessness è dunque difficile ma non impossibile ed è una attività che comincia sin da piccoli, interrompendo il perverso circuito della povertà minorile, che vede a rischio oggi il 25% dei minori italiani, e che fa purtroppo prevedere un futuro di homelessness per molti bambini di oggi.

Paolo Pezzana – Presidente fio.PSD

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