I senza fissa dimora sono in grado di vivere una “vita normale”?

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Un ulteriore elemento di pregiudizio, diffuso purtroppo anche fra molti operatori, è che le persone senza dimora, senza un adeguato percorso rieducativo, non siano in grado di condurre nuovamente da subito una “vita normale” , mantenendo una casa, un lavoro e delle relazioni in autonomia. I dati dicono chiaramente che questa difficoltà, se generalizzata come percezione riferita a tutta la popolazione senza dimora, è una menzogna gravissima. E’ vero che esistono persone senza dimora che, per riguadagnare dignità ed il maggior grado di autonomia possibile, necessitano di un accompagnamento graduale, relazionale e fortemente assistito, ma non sono la maggioranza della popolazione di cui oggi stiamo parlando. Potendo disporre ed esigere diritti fondamentali come casa, lavoro e accesso ai servizi di base, molte persone senza dimora, specie tra gli stranieri, non sarebbero tali ed avrebbero in sé tutte le risorse necessarie per riprendere un cammino di autonomia sostenibile, in cui il poter disporre di punti di riferimento sociali e relazionali è tanto importante per loro quanto lo è per ciascuno di noi. In una società priva di questi riferimenti e basata sulla competizione sfrenata e sul successo individuale non può abitare agevolmente nessuno, se non i pochi che occupano temporaneamente la posizione del vincitore. Una società siffatta non è buona per nessuno, non solo per i senza dimora. Il fatto che alcuni necessitino di un accompagnamento più intenso non vuol dire che si possa rinunciare a offrire a tutti una opportunità materiali per farcela con le proprie capacità.

Particolarmente allarmanti a questo proposito sono i dati sugli anziani senza dimora che sono davvero troppi. Più l’età avanza più è dura pensare che le persone possano farcela da sole a ricostituirsi una dignitosa autonomia, e meno i servizi hanno strumenti per intervenire efficacemente. Tra le tendenze rivelate dai dati, nei 2000 over 65 italiani senza dimora censiti sta sicuramente uno dei più preoccupanti campanelli di allarme sui quali intervenire, perché, con la crisi attuale, che è crisi di risorse, di fiducia e di legami, questo è un fronte sul quale, se non si interviene presto e intensamente, non potremo che rilevare gravi peggioramenti.

Anche sul fronte del lavoro i dati ci permettono di registrare elementi che contraddicono il frequente stereotipo del senza dimora “pigro” e “svogliato”. Sembra piuttosto di poter leggere nelle tendenze presentate che a mancare siano più le opportunità di lavoro che non la voglia o la capacità di lavorare. Vale un discorso analogo a quello fatto in precedenza: il lavoro è un diritto oggi negato a troppi, e tra i senza dimora le conseguenze di questa negazione si fatto sentire in modo particolarmente acuto, anche se non diverso da come si fanno sentire sui molti, troppi altri inoccupati o disoccupati del nostro Paese. In questo senso pare di poter rilevare nella popolazione senza dimora una resilienza affatto particolare. E’ sorprendente apprendere dai dati che meno del 10% degli homeless chiedono l’elemosina e che il 65% di loro riesce oggi, in Italia, a sopravvivere senza risorse. Se da un lato questo è indice della condizione di assoluta deprivazione e mancanza di dignità in cui esse si trovano costrette a vivere, dovendo dipendere da terzi per la soddisfazione dei bisogni primari, dall’altro tale dato ci mostra come vi sia decine di migliaia di persone oggi in Italia che sopravvivono con nulla. In tempi di crisi economica e scandali morali come gli attuali, dove un politico o un manager che vivono con 8.000 euro al mese possono permettersi di dichiarare che non saprebbero come fare a sopravvivere guadagnando meno, si sarebbe tentati di considerare questi senza dimora dei “maestri”, degli “esperti della crisi”, alla scuola dei quali dovremmo forse apprendere tutti qualcosa in più circa ciò che è essenziale alla sopravvivenza e ciò che equo avere per condurre una vita dignitosa. Anche questo è forse uno stereotipo da ribaltare.

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