Identità e genere: intervista al dott. Roberto Marchesini

Foto di Tumisu da Pixabay

Al Dott. Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, autore del libro “Come scegliere il proprio orientamento sessuale (o vivere felici)”, collaboratore del periodico “Il Timone”, l’Agenzia Fides ha rivolto alcune domande.

Nel Suo libro, trattando i temi dell’identità di genere, Lei sembra richiamarsi ad un’antropologia definità del “senso comune”. Può spiegare cosa intende?
Gli uomini condividono, senza bisogno di una particolare riflessione critica, una serie di credenze a proposito della realtà, del mondo e dell’uomo, e una serie di principi; la riflessione critica su questi argomenti, che sia essa di tipo scientifico o filosofico, ha il compito di giustificarli razionalmente. Questo insieme di certezze e principi prende il nome di “senso comune”, perchè è il frutto nell’uomo dell’evidenza dell’esistenza della realtà e dei legami che evidenziano l’esistenza di un ordine. Al senso comune si contrappongono tutte le filosofie “del dubbio” che, a partire da quella cartesiana, sospendono ogni assenso a tutto ciò che non è frutto di una riflessione critica, la quale assume così un ruolo fondante.
Una antropologia del “senso comune” è dunque una riflessione filosofica sull’uomo che si pone come obiettivo quello di dare un fondamento razionale alle certezze che si presentano con evidenza su questo argomento. Si tratta di avere, in sostanza, un atteggiamento di umiltà nei confronti della realtà, e della realtà umana in particolare; un atteggiamento contemplativo di fronte a come l’uomo “è”.
Certo, sarebbe più facile partire da una idea studiata “a tavolino”, bella, allettante su come l’uomo “dovrebbe essere”, ma la scienza ha il compito di spiegare come è e come funziona la realtà, non di dire come dovrebbe essere e funzionare, secondo i nostri desideri o progetti. In effetti, il tentativo di spiegare ciò che è intuitivo è forse la cosa più difficile; mi viene in mente Sant’Agostino, che nelle sue Confessioni scriveva: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più” (Libro XI). Ma l’atteggiamento del “senso comune” è, a mio parere, un ottimo fondamento antropologico per lo studio dell’uomo.
Rudolf Allers (1883-1963), ad esempio, ha fatto di questo concetto la base della sua psicologia: “Non serviam! è l’atteggiamento che sta alla radice della sofferenza del nevrotico. Ma lo sforzo per raggiungere qualcosa non solo al di là della propria possibilità personale, ma oltre le possibilità di ogni essere umano, implica una auto-contraddizione, perché ogni ambizione è condizionata dalle limitazioni della natura umana. Solo un individuo al quale la “onnipotenza” – “esse sicut dii” – è essenzialmente negata può aspirare a una cosa del genere. Il disgusto nei confronti della propria
natura umana e finita è un rifiuto di quella natura sulla quale ogni ambizione si deve fondare; e la nevrosi è la forma che questo atteggiamento paradossale assume. Da quando questo atteggiamento del non serviam è radicato nell’intimità più profonda della natura umana, la nevrosi stessa non è che una esagerazione delle caratteristiche della personalità umana comune a tutti noi” (The new psychologies).

Una parte della scienza e gli organismi internazionali, sembrano non tener conto dell’ordine naturale del mondo. Che cosa pensa in proposito?
In effetti, dai feed-back che ricevo soprattutto dall’ambiente scolastico, sembra che per le giovani generazioni l’orientamento sessuale sia considerato in modo sempre più mutevole e indeterminato, ma questo non significa affatto che la natura umana si possa trasformare da eterosessuale a bisessuale, come alcuni, ad esempio, sostengono. Ciò che definisce la naturalità di qualcosa non è la sua frequenza statistica, ma l’aderenza al proprio progetto. In termini aristotelici, infatti, la natura è il principio insito nelle cose, che guida il loro passaggio da potenza ad atto. Oltre a ciò, sulla base della mia esperienza clinica sono convinto che la natura abbia una sua forza, e che non si esprima solo quando ci sono ostacoli che ne impediscano il compimento; sono quindi ottimista sul fatto che la confusione sull’orientameno sessuale possa anche aumentare, ma mai divenire predominante.

C’è chi ritiene che la teoria del gender trasformi in modo definitivo la cultura occidentale. E’ d’accordo?
Decisamente. Innanzitutto si tratta, come dicevo prima, di un atteggiamento di ribellione nei confronti della realtà che – concordo con Allers – non può che aumentare la sofferenza e l’angoscia nell’uomo. Secondariamente, è una visione che muta radicalmente la natura dei legami relazionali (che, è bene ricordarlo, sono fondamentali nel processo di formazione dell’identità): la relazione, anche sessuale, non è più il compimento di un progetto, della natura umana a livello più profondo (come ha mostrato l’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla sessualità umana), ma diventa questione di scelta, anche ideologica, sdradicata dal livello biologico, persino variabile nel tempo. I cambiamenti culturali, soprattutto in ambiti così delicati, non vanno trascurati. Lo statistico Roberto Volpi ha dimostrato (“La fine della famiglia”, 2007) che il cambiamento culturale portato con la legge sul divorzio ha avuto come effetto una diminuzione drastica della natalità; una ricerca del 1988 (Guis e Cavanna, “Maternità negata”) ha dimostrato che il 32% delle donne non avrebbe abortito in assenza della legga 194; e non è senza fondamento l’idea che il passaggio, avvenuto negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, ad una visione del fondato sulla soddisfazione personale dei propri bisogni affettivi e sessuali abbia avuto come conseguenza una maggior fragilità del legame matrimoniale. Infine, come è nel destino di ogni ideologia, anche la teoria del gender si sta trasformando in una dittatura, che limita la libertà di pensiero e di espressione e discrimina chi non si adegua a questa visione dell’uomo.

La Dottrina Sociale della Chiesa riconosce come, alla base di ogni esperienza umana, ci sia quella di nascere sessuati. Può spiegare dal punto di vista scientifico quest’affermazione?
Sarebbe facile ricordare che, fin dal momento del concepimento, ogni persona è maschio se possiede la coppia cromosomica XY, femmina se possiede la coppia XX; non solo ogni persona è maschio o femmina dall’origine, ma nella sua totalità corporea, dato che ogni cellula del suo corpo possiede la coppia cromosomica che ha determinato il sesso. Tuttavia, l’identità sessuata non si esaurisce nella realtà corporea, ma comprende anche tutte quelle caratteristiche personali che afferiscono all’area relazionale, psicologica, emotiva, sociale e che gli ideologi del gender vorrebbero separate dal sesso biologico. Purtroppo abbiamo avuto la dimostrazione di come anche l’identità di genere sia frutto di un progetto armonicamente connesso al sesso biologico, e di come le teorie che definiscono l’identità di genere come un mero prodotto culturale siano assolutamente prive di fondamento. Mi riferisco alla triste storia di David Reimer, raccontata dal giornalista John Colapinto nel libro “As nature made him” (2001). David Reimer, in origine Bruce, fu evirato per errore durante una banale operazione di circoncisione a nemmeno due anni d’età. I genitori, disperati, si rivolsero al dottore John Money, celebre per la terapia di bambini con problemi di ermafroditismo, allievo di Kinsey e tra i primi a teorizzare che l’identità di genere non avrebbe nulla a che fare con il sesso biologico. Il dottor Money si trovò così servito su un piatto d’argento l’esperimento perfetto, ossia la possibilità di trasformare un bambino nato maschio in una bambina, attraverso una educazione mirata e interventi chirurgici ed ormonali per modificare il sesso biologico. Non solo: Bruce aveva un fratello gemello identico, Brian, che poteva così rappresentare il cosiddetto “campione di controllo”. Bruce venne così chiamato Brenda, subì una parziale operazione chirurgica e venne cresciuto come una bambina. Cominciò così per l’intera famiglia un terribile calvario fatto di depressione, bulimia, alcolismo, problemi scolastici e sociali che terminò soltanto quando il Bruce/Brenda – che nulla sapeva dell’incidente e della sua vera identità – si ribellò al dottor Money, decise di farsi ricostruire un rudimentale pene e sposò Mary, una giovane donna con tre figli avuti da tre uomini diversi. La storia non ha un lieto fine, perchè
David – questo il nuovo nome di Bruce/Brenda – devastato dal tragico esperimento del dottor Money, si è suicidato il 5 maggio del 2004, due anni dopo il fratello Brian. (D.Q.) (Agenzia Fides 20/12/2007; righe 99, parole 1.131)

articolo FIDES con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Rapporti prematrimoniali e convivenze favoriscono la precarieta’

Differenze tra cattolici e Testimoni di Geova