
Le vicende di Charlie Gard e Alfie Evans non
sarebbero arrivate in un tribunale se si fosse seguito il metodo
indicato dal Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) nella sua mozione –
approvata con una sola astensione – su «Accanimento clinico o
ostinazione irragionevole dei trattamenti sui bambini piccoli con
limitate aspettative di vita», approvata lo scorso 30 gennaio e resa
nota venerdì 7 febbraio. Il testo affronta un argomento estremamente
delicato – i trattamenti adeguati a un bambino piccolo che si sta
avviando a morire – e lo fa a partire dalla preoccupazione di una
possibile ostinazione irragionevole nelle cure, cioè la possibilità che
anziché dare beneficio e sollievo al bimbo gli si procuri danno e
sofferenza ulteriore. Un tema su cui il Cnb italiano ha voluto
soffermarsi dopo Charlie Gard e Alfie Evans, ma non solo: forti sono
state le sollecitazioni di pediatri e neonatologi che vivono
quotidianamente la drammaticità di certe decisioni, per il fattore umano
innanzitutto, ma anche per le conseguenze giuridiche, visto il numero
crescente di contenziosi in cui vengono coinvolti.
Lo strumento
utilizzato dal Cnb è la mozione, cioè un documento sintetico con lo
scopo di dare indirizzi sull’argomento, e non un parere articolato per
distinguere le scelte possibili. Il tema è ben noto agli addetti ai
lavori, e fin dall’inizio è parso chiaro che il criterio da adottare è
quello del massimo interesse del bambino, da stabilirsi caso per caso.
Il problema nel merito della definizione del massimo interesse si può
analizzare entrando nel contesto valoriale e culturale delle grandi
tematiche del fine vita o delle situazioni di gravi fragilità; argomenti
che il Cnb ha già toccato in diversi documenti come «I grandi
prematuri. Note bioetiche» (febbraio 2008), e «Cura del caso singolo e
trattamenti non validati (“uso compassionevole”)» (febbraio 2015). Gli
aspetti coinvolti sono tali e tanti da richiedere ciascuno uno studio
dedicato. Il Comitato ha scelto di lavorare sul metodo: la mozione è una
road map per escludere cure sproporzionate e dannose, sostenendo e
rafforzando la relazione di fiducia fra medici e familiari del piccolo,
lasciando il ricorso al giudice come extrema ratio, da evitare in ogni
modo. In 12 punti si raccomanda di attenersi a dati scientifici certi,
oggettivi, misurabili per quanto possibile – anche il dolore e la
sofferenza – senza tenere conto di aspetti economici, e attuare sempre
decisioni condivise fra medici e familiari.
A questo scopo il Cnb
chiede l’istituzione per legge di comitati etici per la clinica, da
consultare per aiutare la valutazione dei casi, ma chiede anche la
possibilità di coinvolgere persone di fiducia dei genitori, se questi le
richiedono, per dare più tempo e spazio di riflessione, per meglio
individuare limiti e possibilità di trattamenti, e capire se e come
iniziarli, mantenerli o sospenderli. I genitori e i medici devono poter
domandare altri pareri, oltre quello dell’équipe curante, e quando si
prospettano percorsi diversi di cura va garantita sempre la possibilità
di scelta ai genitori, ferma restando l’autorevolezza scientifica di
tutti gli esperti interpellati. Se questo fosse stato il criterio
seguito per Charlie e Alfie, i loro genitori avrebbero potuto scegliere i
medici curanti senza ricorrere ai giudici, trasferendo i piccoli in
strutture diverse da quelle in cui erano stati ricoverati, strutture
egualmente valide dal punto di vista medico e scientifico.
Massima
trasparenza e accessibilità viene richiesta per le cartelle cliniche dei
piccoli, perché la valutazione sia la più documentata possibile. Dal
giudice si va solo in ultimo, se tutti questi tentativi sono falliti, e
comunque i genitori debbono poter essere messi nelle condizioni di stare
il più possibile accanto ai loro figli, sia dal punto di vista
lavorativo che delle cure domiciliari. Niente sperimentazioni
irragionevoli, sempre garanzia di cure palliative, mai abbandono dei
piccoli nell’accompagnamento al morire.
Si potrà dire che sono “solo” indicazioni di buon senso. Ma anche “solo” il buon senso oggi è un bene prezioso.
Assuntina Morresi – Avvenire