
Era una persona qualunque Franz Jagerstatter, un contadino austriaco con moglie e tre figlie, gran lavoratore e cattolico fervente – benché da giovane un po’ scapestrato -, che durante i terribili anni in cui Adolf Hitler soggiogò quasi tutta l’Europa, conducendola sull’orlo del baratro, ebbe il coraggio di opporsi al nazismo, mentre i più tacevano o, peggio, erano conniventi.
Non però alcuni grandi spiriti, come l’ebrea carmelitana Edith Stein, che nell’aprile 1933 scrive a Pio XI testimoniando la sofferenza cattolica di fronte alla tragedia del popolo ebraico scatenata dalla follia del nazismo, o il pastore-luterano Dietrich Bonhoeffer, che il precedente 10 febbraio, durante una trasmissione radiofonica – per questo bruscamente interrotta -, metteva in guardia dal pericolo che minaccia la polis se e quando il Führer (il capo), esigendo obbedienza assoluta (idolatria), diventa perciò stesso un Verführer (seduttore)(1). Ma, rispetto a questi prestigiosi oppositori, la vicenda di Jägerstätter impressiona oltremodo a motivo della sua cultura elementare e dell’assenza di coinvolgimento nei movimenti di opposizione. Soltanto in base alla preghiera e a una quotidiana riflessione biblica egli riuscì a discernere le proprie responsabilità e a seguire fino alle estreme conseguenze quanto la fede e il retto sentire gli suggerivano, per contrastare una visione del mondo atea e violenta come quella nazista.
Scriveva nel 1942: «Credo sia impossibile dire che è un reato o un peccato rifiutare, come cattolici, di prestare oggi il servizio militare. Anche se ciò comporta la morte, non è forse più cristiano offrire se stessi in sacrificio, piuttosto che, per salvarsi la vita, dover prima uccidere altri, che hanno comunque diritto a vivere?»(2). Risolutamente voce fuori dal coro, Jägerstätter non seguì i tanti «omuncoli» che abbassarono il capo e seguirono il regime(3). Egli seguì invece la via della fede e del sacrificio, perché, nella Bibbia che tanto amava, san Pietro dice: «E se anche doveste soffrire per la giustizia beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,14-15).
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E se ne parliamo ancor oggi è perché questo esempio – come quello degli altri oppositori – non soltanto testimonia che perfino negli anni più bui del secolo XX non mancarono le stelle, che anticiparono il sorgere di un mondo nuovo, ma anche perché tutti, sempre e comunque, possiamo trovare il modo di far vincere la coscienza autentica generata dall’etica della responsabilità «cristianamente ispirata» e perciò «altra» rispetto alle correnti dominanti: un’etica della responsabilità «superiore e ultima», controcorrente rispetto a quella «naturale e penultima» dell’obbedienza cieca, imposta dal regime e veicolata dai falsi maestri del tempo(4). Una vita normale Figlio illegittimo di genitori che non potevano sposarsi perché troppo poveri, Franz nacque il 20 maggio 1907 a St. Radegund, paesino dell’Alta Austria. Dopo la morte del padre naturale durante la prima guerra mondiale, la madre, Rosalia Huber, si risposò col padrone di una fattoria, Heinrich Jägerstätter, che adottò il piccolo Franz dandogli il suo cognome.
Dopo i primi anni trascorsi con la nonna, donna amorevole e molto religiosa, si trasferì nella nuova casa, dove si appassionò alla lettura: nella biblioteca del padre adottivo, infatti, trovò molti libri storici e religiosi. Nel 1927, ormai ventenne, lascia il villaggio natio per andare a lavorare nelle miniere della Stiria. Qui attraversa una profonda crisi religiosa e abbandona la fede, dissipandosi nel gioco, gli amici, le moto – fu il primo ad acquistarne una a St. Radegund – e le ragazze. Il 1° agosto 1933 ebbe una figlia naturale(5) da una domestica che viveva nei pressi della sua fattoria e, subito dopo, si allontanò dal paese in una sorta di esilio volontario, che diede inizio alla sua conversione.
Lasciati alle spalle «gli errori di gioventù»(6), Franz voltò definitivamente pagina nel 1936 quando, dopo aver sposato Franziska Schwaninger, figlia di contadini e giovane profondamente religiosa, si recò con lei a Roma in viaggio di nozze e, durante un’udienza plenaria, ricevette la benedizione di Pio XI, il Papa che poco dopo avrebbe scritto l’enciclica Mit brennender Sorge contro il nazismo(7).
Il matrimonio e l’influenza positiva della moglie lo cambiarono profondamente, e la nascita delle tre figlie gli procurò molta felicità. Anche il suo fervore religioso aumentò, finché il parroco, padre Fürthauer – che l’aveva osservato recarsi tutti i giorni alla messa e comunicarsi -, lo assunse come sacrista nella chiesa madre del paese. Franz divenne un sacrestano esemplare: teneva molto bene l’ambiente e i paramenti sacri, pregava continuamente e aveva perfino rinunciato a frequentare l’osteria per non ricadere negli errori del passato, ma soprattutto per non trovarsi coinvolto nelle discussioni politiche riguardanti il nazismo(8). Ben prima che l’Austria venisse invasa dai tedeschi (11 marzo 1938) egli si era apertamente dichiarato contro Hitler e i suoi metodi, tanto che quando giunse il momento di votare per l’Anschluss (l’annessione dell’Austria nel Reich) furono soltanto le insistenze della moglie, timorosa di ritorsioni nei loro confronti, a fargli varcare la soglia del seggio elettorale per inserire nell’urna la scheda bianca.
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Quattro anni più tardi, ripensando a quei giorni, scriveva: «Molti sono del parere che all’Austria e alla Baviera non succederà niente, anche se la guerra per la Germania dovesse andare male. Chiediamoci piuttosto quali colpe abbiamo noi austriaci e bavaresi se ora ci ritroviamo con un governo nazionalsocialista anziché cristiano. Da noi il nazionalsocialismo è caduto dal cielo? […] Credo che nella primavera del 1938 le cose non siano andate diversamente dal Venerdì Santo di 1900 anni fa, quando fu data al popolo giudeo la scelta fra il salvatore innocente e il delinquente Barabba»(9). Intanto procedeva nel suo dissenso, proibendo al figlioccio di aderire alla «gioventù hitleriana», rimandando indietro gli assegni familiari per i figli, ai quali aveva diritto, rifiutando le sovvenzioni extra date quell’anno ai contadini per indennizzarli della grandine che aveva distrutto i raccolti.
Anche così Franz s’incamminava verso quel dissenso pieno che gli sarebbe costata la vita. La scelta risale al 1940-41, durante il periodo di addestramento militare obbligatorio nella Wehrmacht: un’esperienza che fece svanire ogni residua incertezza, mostrandogli chiaramente l’incompatibilità del nazismo con la sua fede. Indossata la divisa soltanto per un breve periodo, fu rimandato a casa per «insostituibilità» – a quei tempi un «richiamato» era considerato insostituibile se rappresentava l’unico sostentamento per la famiglia – e riprese a lavorare nella fattoria che aveva ereditato dal padre, sicuro che non avrebbe risposto a un’eventuale nuova chiamata.
Intoppi sulla via dell’obiezione
Nei suoi quaderni troviamo queste riflessioni: «Abbiamo l’obbligo di pregare Dio di inviarci o mantenerci un intelletto sano, che ci permetta di capire a chi e quando dobbiamo obbedire. Occorre sempre e soprattutto saper distinguere tra Stato e partito. Rincresce molto di questi tempi che anche tra noi cattolici ci siano così tante persone che obbediscono a cose alle quali dovrebbero ribellarsi e si ribellano ad altre a cui dovrebbero obbedire»(10). Riteneva che quello fosse l’unico modo per seguire il dettato evangelico: onorare il senso di responsabilità nelle proprie azioni, dimostrare a un regime iniquo – che aveva plagiato l’intelligenza dei tedeschi – come fosse ancora possibile scegliere di essere uomini e cristiani. Di tutto questo, compreso il proposito di non rispondere alla chiamata alle armi, ne parlò col nuovo parroco, padre Karobath, il quale tentò con vari argomenti di fargli comprendere l’inutilità di un eventuale sacrificio. Tutto fu vano: Franz, che avvertiva in quei motivi «una prudenza soltanto umana, troppo umana», rimase fermo nel suo proposito. Per avere un parere diverso andò fino a Enns, dove trascorse la giornata con un altro sacerdote, padre Taimer, al quale espose i dubbi che gli affollavano la mente. Era moralmente lecito partecipare alla guerra nazista, pur ritenendola ingiusta? Oppure era inevitabile la scelta tra essere cattolici o nazisti? Anche questo prete gli consigliò di sottomettersi, eppure – come leggiamo nei diari – egli non si lasciò convincere(11). Memore che Dio comanda di prestare obbedienza ai superiori, anche quando non sono cristiani – ma soltanto fino a quando non ci ordinano qualcosa di sbagliato, poiché è nostro dovere obbedire più a Dio che agli uomini -, scriveva: «Finché abbiamo il libero arbitrio, non credo che Dio ci considererebbe in peccato se finalmente decidessimo di cambiare quel funesto “sì”, di cui forse molti sono già pentiti, in un “no”»(12). Neanche le suppliche dei familiari e degli amici gli fecero cambiare idea, benché lo straziassero le accuse di non pensare alla madre, alla moglie e alle figlie, di essere superbo, di volersi suicidare attraverso quel gesto inutile, di peccare contro il quarto comandamento. Sempre di nuovo Jägerstätter spiegava a se stesso e alle persone care i motivi di quella scelta: riteneva peccato grave combattere per un regime senza Dio, che avrebbe sottomesso altri popoli, e pensava che la responsabilità di ogni azione sarebbe ricaduta tanto su quelli che la commettono, quanto su chi tace o finge di non vedere. E concludeva lucidamente: chi ritiene certe azioni sbagliate ma le fa lo stesso, soltanto per evitare pericoli o ritorsioni, ha una colpa maggiore di chi agisce per dovere e in fondo è convinto che quanto fa non sia del tutto sbagliato(13). La cartolina-precetto gli fu recapitata il 23 febbraio 1943. La madre ricorse subito a parenti e conoscenti affinché le dessero una mano; perfino il capo della polizia, uomo bonario e paterno, tentò di convincerlo, promettendogli d’intervenire presso le autorità militari per indurle a trasferirlo nei servizi ausiliari, se avesse risposto all’ordine di mobilitazione; ma niente valse a farlo recedere. In una lettera a padre Karobath è chiara la sua posizione: «Devo comunicarvi che ben presto perderete un altro dei vostri parrocchiani. Oggi ho ricevuto la cartolina-precetto, il 25 devo trovarmi a Enns. Ma poiché nulla potrebbe garantire la mia anima contro i pericoli che le farebbe correre quella gente [i nazisti], io non posso desistere dalla mia decisione, che voi già conoscete. Il Cristo ha rimproverato a Pietro di averlo rinnegato per paura e per rispetto umano. Indossando quell’uniforme, quante volte dovrei anch’io rinnegare il Cristo! Rifiutando di indossarla, ci si espone al rischio di non rivedere più le persone che ci sono care. Tutti mi ripetono che col mio atteggiamento metto a repentaglio la mia vita, ma a me sembra che chi combatte corra lo stesso rischio!»(14). La libera volontà di un prigioniero Alla cena del 24 febbraio c’erano la moglie, ormai rassegnata a quella decisione, la madre e le figlie, del tutto ignare che quello era un addio. All’alba del 25 partì da St. Radegund, cercando di non farsi notare: soltanto una vicina ricorda di averlo visto dalla finestra allontanarsi con passo lento, arrestarsi un istante e voltarsi quasi per salutare il paese che, ancora addormentato, lasciava mestamente alle spalle(15). Giunto a Enns scrive alla famiglia queste toccanti parole: «Desidero mandarvi ancora un saluto di cuore, finché sono libero. Siate una famiglia dove ci si ama e ci si perdona vicendevolmente. Poi può accadere qualsiasi cosa. Perdonate a tutti volentieri, e anche a me, se a causa mia dovrete ancora soffrire»(16). Il 1° marzo si presentò al centro di reclutamento, dichiarando di opporsi al servizio militare. Fu subito arrestato e trasferito nel carcere militare di Linz, prima tappa della via crucis che aveva deliberatamente scelto. I due mesi che passò in questa prigione furono segnati da profonde sofferenze legate, da un lato, al ricordo della felicità provata nel matrimonio e, dall’altro, alla possibilità che gli veniva offerta di ricredersi. Nelle lettere inviate alla moglie colpiscono queste parole: «Se ti chiederanno se eri d’accordo sul fatto che io non volessi più combattere, dì con tutta onestà che cosa avresti preferito, perché penso che tu non possa né alleggerire né aggravare la mia posizione». E continuava: «Se non avessi un tale terrore della menzogna e degli imbrogli non sarei qui e non voglio neanche in futuro salvarmi la vita con una menzogna». Ma allo stesso tempo confessava le difficoltà incontrate nel rimanere fermo sulla decisione presa. L’11 marzo però le scriveva: «Ti comunico anche che mi dichiaro disponibile al servizio sanitario, perché lì si può fare del bene e praticare la carità cristiana in senso concreto; per cui anche la mia coscienza non si oppone»(17). Ovviamente il tribunale militare accettava soltanto una resa incondizionata. Lasciato in prigione a riflettere, Franz trascorreva le giornate nella preghiera, seguendo il ciclo liturgico, e raccomandando a Franziska di non essere triste, perché la situazione in cui si trovava era soltanto opera di un disegno divino, e questo, insieme al fatto di essere tranquillo in coscienza, gli dava la forza di vivere in pace perfino dietro le sbarre. La posta partiva regolarmente e in quelle buste erano racchiuse le sue giornate fatte di pensieri e preghiere, di preoccupazioni per le figlie e il loro futuro, di consigli per la fattoria, di richieste in favore dei compagni di cella. Come quando chiese alla moglie qualche stella alpina per la fidanzata di un francese processato poche settimane prima, oppure, rammaricato per l’ansia che la opprimeva, umoristicamente le dice: «Oh se potessimo scambiarci di posto per una settimana: un po’ di riposo ti farebbe solo bene»(18). Nell’anniversario di matrimonio le confessa: «Se guardo indietro e considero tutta la fortuna e le grazie che abbiamo avuto durante questi 7 anni sembrano talvolta perfino dei miracoli!»(19). Grande fu il suo coraggio, ferma la sua volontà nonostante il dolore per gli affetti che aveva lasciato, enorme la fiducia in Dio che pregava continuamente. Sembra di vederlo, col rosario in mano, allungare lo sguardo dalla finestra mentre si interroga e ribadisce: «La natura non si lascia toccare per niente da tutta la miseria che ha colpito l’umanità. Anche se non vedo molto da qui, mi sembra tuttavia che quest’anno tutto sia più verde e fiorisca più che negli anni passati. Appena albeggia, davanti alla nostra finestra si sentono cantare i merli: anche gli uccelli, sebbene siano solo animali senza raziocinio, pare che abbiano più pace e gioia di noi, uomini dotati di ragione»(20). Il 4 maggio 1943 viene improvvisamente trasferito a Berlino, per l’ultimo giudizio. Nelle frettolose righe inviate alla moglie, confermandole la decisione presa – anche se le cose dovessero precipitare -, ha un solo rammarico: quello di averle impedito di andare a Linz a trovarlo, visto che ora la distanza è ben maggiore. Anche il regime carcerario ora è più duro: meno lettere – soltanto una ogni quattro settimane -, niente viveri per posta; ma il ritmo nella preghiera rimane lo stesso, insieme alle riflessioni sulla Bibbia, che appunta sulla poca carta disponibile in prigione. Intanto il suo avvocato, F. L. Feldmann, tentava una difesa estrema, cercando di farlo recedere dal suo proposito, che lo avrebbe separato per sempre dalle persone a lui più care. Franz però era deciso a seguire il Vangelo alla lettera, e citava un passo decisivo: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,37-39). Aveva riflettuto molto su queste parole, e la scelta di metterle in pratica non era stata facile: eppure non poteva mentire a se stesso, né cedere all’idea di attribuire tutta la responsabilità dell’orrore al Führer, come se il mero obbedire agli ordini giustificasse azioni terribili. Il 6 luglio 1943 ci fu il processo e la condanna a morte(21). Non volle comunicarlo subito alla moglie e alle figlie, dalle quali aveva appena ricevuto una foto con la scritta: «Torna presto papà». Fu l’avvocato a informare Franziska, che si recò subito a Berlino prima che fosse troppo tardi, e in una lettera scriveva: «Egli non ha potuto prometterci di accettare di fare il soldato. Ha sofferto molto, ma ha affermato che, nonostante tutto, nel complesso era felice. Non ha voluto assolutamente ritornare sulle proprie decisioni. Ora gli restano ancora alcuni giorni per riflettere. Dio solo sa quanto tempo gli resta ancora da vivere»(22). Negli ultimi giorni Franz parlò a lungo con padre Kreutzberg, cappellano del carcere, e quel colloquio lo incoraggiò molto, avendo saputo che un altro austriaco, padre Reinisch, era stato giustiziato per lo stesso motivo: rifiuto di prestare giuramento come soldato. Inoltre, scrisse molto, desiderando fissare sulla carta quanto provava: il timore della morte, la fiducia nell’infinita misericordia di Dio, l’amore per la famiglia, la richiesta di perdono a quelli che aveva fatto soffrire con quella sua decisione. Nella lettera-testamento leggiamo: «Scriverò soltanto qualche parola, così come essa mi esce dal cuore. Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà. Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo. Né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile»(23). Fu ghigliottinato il 9 agosto 1943, eppure dopo tanti anni le pagine sbiadite della sua corrispondenza emergono da quel tragico passato «dolorose ma fiere», come lui voleva: per ricordarci che anche quando le coscienze erano imbavagliate dalla paura e l’umanità brancolava nelle tenebre, stravolta dall’assurda ideologia di un folle e il silenzio connivente di tanti «omuncoli», non mancarono uomini come Franz Jägerstätter e altri(24) che seppero trovare, pur nelle tenebre, la via più difficile ma luminosa della fede, della coscienza e della responsabilità. 1 Cfr A. ALES BELLO – PH. CHENAUX (edd.), Edith Stein e il nazismo, Roma, Città Nuova, 2005, dove Edith afferma che «l’idolatria della razza e del potere dello Stato sono un’aperta eresia», che la Chiesa deve condannare e scrive che «la responsabilità di quanto sta accadendo ricade anche su quanti tacciono». Per l’approfondimento di questi temi e i riferimenti a Bonhoeffer, cfr P. CODA, «La lettera di Edith Stein a Pio XI», in Nuova Umanità 28 (2006) n. 2, 273-284, dove si cita anche quanto emerso nel convegno sulle Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano, Città del Vaticano, Lev, 2000. 2 F. JÄGERSTÄTTER, Scrivo con le mani legate. Lettere dal carcere e altri scritti dell’obiettore-contadino che si oppose ad Adolf Hitler, a cura di G. GIRARDI, Piacenza, Berti, 2005, XV. Il volume raccoglie quanto Jägerstätter scrisse dal 1940 al ’43: riflessioni e lettere che danno un quadro completo sia dell’eccezionale pensiero di questo contadino-obiettore, sia delle motivazioni che lo condussero a scegliere la morte piuttosto che obbedire al nazismo. 3 Già Bonhoeffer, altro martire del nazismo, fin dal 1943 aveva riconosciuto che il regime si era affermato non solo per la violenza dei suoi metodi e la connivenza di tanti intellettuali, ma anche per l’acquiescenza dei troppi pavidi: «omuncoli» che vanno a rimorchio della manipolazione ideologica. Per lui tale «stupidità» era riconducibile al sacrificare «l’etica della situazione» – insieme complessa e rischiosa (libertà e discernimento) – a un’etica non storicizzata né criticamente vagliata, ma imposta come se fosse un dovere supremo (idolatria). Cfr D. BONHOEFFER, Etica, Milano, Bompiani, 1969, 196 s e 224 s, mentre in ID., Resistenza e resa, ivi, 1969, 284, leggiamo: «La debolezza dell’uomo (stupidità, mancanza di autonomia, viltà, corruttibilità) non è forse un pericolo maggiore della malvagità? Cristo fa l’uomo non soltanto “buono”, ma anche “forte”». 4 Su tale etica della responsabilità cristianamente ispirata, vissuta eroicamente ma senza tante analisi dal contadino F. Jägerstätter, scriveva in quel periodo acute riflessioni filosofico-teologiche Bonhoeffer, specialmente in Etica e Resistenza e resa. Per uno sguardo d’insieme cfr E. BETHGE, Dietrich Bonhoeffer, Brescia, Queriniana, 1975 ed E. AFFINATI, Un teologo contro Hitler, Milano, Mondadori, 2002. 5 Franz manterrà sempre buoni rapporti con la figlia naturale, Hildegard, tanto che nel periodo di prigionia chiederà alla moglie di mandarle dei soldi, poiché aveva sempre provveduto economicamente a lei. 6 Cfr G. ZAHN, Il testimone solitario. Vita e morte di Franz Jägerstätter, Torino, Gribaudi, 1968, 39-43. Si tratta della prima biografia di Franz, con testimonianze di amici e conoscenti su questo periodo confuso della sua vita. La più recente biografia, invece, è E. PUTZ, Franz Jägerstätter. Un contadino contro Hitler, Piacenza, Berti, 2004. 7 Cfr lo sferzante testo pontificio contro l’ideologia nazista in Civ. Catt. 1937 II 193-216 e l’incisivo commento di A. Messineo alle pp. 217-230. 8 Sull’argomento cfr D. MONDRONE, I santi ci sono ancora, vol. IV, Roma, Pro Sanctitate, 1979, 276-296. Il padre Mondrone, scrittore della Civiltà Cattolica, fu tra i primi a divulgare in Italia la vicenda di Jägerstätter. 9 E continuava: «Il giovedì santo per noi austriaci è stato lo sventurato 10 aprile [data dell’annessione]. In quell’occasione la Chiesa austriaca si è lasciata fare prigioniera e da allora giace in catene: finché non si risponderà con un forte “no” a questo “sì”, che pure fu dato da molti cattolici per esitazione e paura, non ci sarà per noi nessun venerdì santo» (F. JÄGERSTÄTTER, Scrivo con le mani legate…, cit., 149-151). 10 E ancora: «Siamo stati afferrati da una forte corrente, in cui nuotiamo tutti noi cattolici tedeschi e a cui dobbiamo opporci; finché ci rimaniamo è irrilevante se nella corrente ci siamo buttati da soli o ci siamo fatti trascinare da altri. Per ritornare felicemente a riva non ci rimane che nuotare controcorrente» (ivi, 118 e 140). 11 Franz si rivolse perfino al vescovo di Linz, mons. Fliesser, ma neanche da lui ottenne un parere favorevole alla sua opposizione. Amara la constazione, alla Bonhoeffer, in G. ZAHN, Il testimone solitario…, cit., 70. Per la verità, il predecessore di Fliesser, mons. J. M. Gfoller, emerito dal 1941, era stato acerrimo oppositore del nazismo. Cfr A. PALINI, «Franz Jägerstätter. Un contadino austriaco contro Hitler», in Humanitas 58 (2003) 879-892. 12 F. JÄGERSTÄTTER, Scrivo con le mani legate…, cit., 156 s. Allusione al referendum della primavera 1938: ma la propaganda nazista aveva stravolto teste e cuori, sicché gli austriaci «si comportarono diversamente dal proprio pensiero per obbedienza; ma l’obbedienza non deve arrivare al punto di commettere azioni malvagie in suo nome». 13 Affermava infatti: «Oggi si sente spesso dire che non si può fare nulla: se qualcuno dicesse qualcosa finirebbe in carcere o verrebbe ucciso. È vero, non si possono cambiare di molto gli eventi del mondo: si sarebbe dovuto iniziare già cento e più anni fa. Ma credo non sia mai troppo tardi per salvare se stessi, e anche guadagnare qualche anima a Cristo finché abbiamo vita» (ivi, 161). 14 E concludeva: «Poiché i nazisti tollerano tanti errori, è meglio adattarsi subito a sacrificare la propria vita, piuttosto che esporsi al peccato prima di morire» (G. ZAHN, Il testimone solitario…, cit., 71 s). 15 L’ultima persona che incontrò fu il suo migliore amico, compagno delle scappatelle di gioventù, il quale, vedendolo passare davanti alla propria fattoria, gli disse: «Dio ti accompagni Franz», e lui, forse sorpreso, non poté che rispondere: «Non mi vedrai mai più» (ivi, 19). 16 F. JÄGERSTÄTTER, Scrivo con le mani legate…, cit., 3. 17 Si trattò di un momento di tentennamento e lo dimostrano le parole aggiunte immediatamente dopo: «Verrò comunque punito per questo» (ivi, 7 s). 18 G. ZAHN, Il testimone solitario…, cit., 80. 19 F. JÄGERSTÄTTER, Scrivo con le mani legate…, cit., 15. 20 E si domanda: «Perché ci affliggiamo così tanto anche se dobbiamo rinunciare ad alcune cose e sacrificare ciò che il nostro cuore desidera, quando nell’eternità verremo ripagati mille volte di più?» (ivi, 22). 21 L’avvocato Feldmann ottenne dal tribunale – caso unico nel suo genere – che gli ufficiali-giudici parlassero col suo assistito. Sperava che riuscissero dove lui aveva fallito, prospettandogli l’idea di un servizio militare ausiliario. L’imputato però, forte della sua obiezione di coscienza, rifiutò anche questa volta. 22 G. ZAHN, Il testimone solitario…, cit., 113. Parole che rivelano quanto Franziska condividesse la volontà del marito, pur mantenendo un barlume di speranza. Sicché E. PUTZ, Franz Jägerstätter…, cit., ritiene che anche la moglie sia un’eroina. 23 F. JÄGERSTÄTTER, Scrivo con le mani legate…, cit., 48. 24 Oltre a quelli citati all’inizio e nella seconda parte della nota 11, ricordiamo gli universitari della Rosa Bianca (cfr P. GHEZZI, La Rosa Bianca: un gruppo di resistenza al nazismo, Cinisello Balsamo [Mi], San Paolo, 2003), il beato R. Mayer, gesuita di Monaco, e il beato C. A. von Galen, vescovo di Münster dal 1933 al ’46 (cfr S. FALASCA, Un vescovo contro Hitler, ivi, 2006), e i tanti altri che la Conferenza Episcopale Tedesca ha registrato nel volume H. MOLL (ed.), Testimoni di Cristo. Il martirologio tedesco del sec. XX (tr. it. a breve presso la San Paolo), che ben rappresentano «l’altra Germania». FRANZ JÄGERSTÄTTER: IL CONTADINO CHE RIFIUTÒ HITLER IN NOME DI DIO PIERSANDRO VANZAN S.I. La Civiltà Cattolica
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