
Nella tradizione della chiesa primitiva, il rituale di guarigione consisteva nell’unzione con olio e acqua da bere. A questi elementi era attribuito, nel nome di Gesù Cristo, il potere di guarire, «così che ogni febbre, ogni demone e ogni malattia possa sparire con questa bevanda e questa unzione» (Ernpereur 1986).
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Nella tradizione cristiana, quindi, la guarigione è fatta non in nome degli antenati, ma nel nome e con il potere di Gesù Cristo, trasmesso dagli apostoli: «C’è tra voi un ammalato? Chiamate gli anziani della comunità ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore» (Gc 5,13-15).
Inoltre, nella tradizione cristiana la guarigione implica la fede da parte del malato e il perdono dei peccati. E la fede che dà al paziente la capacità di conoscere e partecipare al potere redentivo di Cristo, che porta la riconciliazione, non solo con la comunità e gli antenati, ma anche con Dio e con la chiesa.
Posti questi principi si impongono alcune domande: i cristiani che lasciano le loro chiese per attendere alle sessioni di guarigione nelle chiese indigene o per consultare le izangoma (guaritori tradizionali) lo fanno perché dubitano del potere di guarigione di Cristo, oppure perché non trovano nelle chiese storiche quel supporto sociale, psicologico, comunitario che hanno saputo creare le chiese indipendenti?
Soprattutto, per superare il disagio dei cristiani delle chiese storiche, non basta rispondere alla questione se questa o quella isangorna può ricevere la comunione. Il vero problema riguarda gli aspetti di compatibilità o incompatibilità tra il sistema di credenze africano e il cristianesimo. E una questione di quanta strada abbia fatto il processo di evangelizzazione e se sia stato sviluppato o meno un atteggiamento critico nei confronti della cultura tradizionale alla luce del messaggio cristiano.
In tale processo critico, il potere di guarigione degli antenati e le izangoma possono essere viste in una luce differente: la guarigione viene mediante la fede in Cristo, invocato nel contesto del rituale di guarigione tradizionale; gli antenati possono anche essere invocati, non però come sorgenti ultime di potere in sé stessi, ma piuttosto come mediatori, poiché ora è Cristo la sorgente basilare del potere di guarigione.
Il sistema di credenze o la cosmovisione in cui è predicato il vangelo devono essere presi seriamente in considerazione, fino a instaurare un dialogo aperto.
Non si può pretendere di cancellare (o anche ridurre) la credenza nel potente influsso degli antenati, semplicemente retrocedendoli a un rango inferiore nella gerarchia delle forze. Stregoneria e divinazione non spariranno dichiarandoli semplicemente una finzione dell’immaginazione delle società tradizionali. La presenza degli spiriti maligni resisterà contro ogni tentativo di bandirla sommariamente dal cosmo africani.
E’ in questione la maniera tradizionale africana di affrontare i poteri soprannaturali e la realtà del male. Queste forze costituiscono il tessuto delle relazioni umane, sono una parte integrale dell’esperienza religiosa africana e perciò la base di una spiritualità africana. Per cui bisogna fare attenzione quando si è troppo preoccupati del potere degli antenati, del male della stregoneria e della dittatura dei demoni: cercando di eliminare il mitico e il superstizioso si rischia di gettare via il bambino con l’acqua sporca.
Non è possibile giustapporre semplicemente una nuova serie di dogmi accanto a «verità antiche», ritenendole ormai ridondanti o inadeguate all’incontro con la fede cristiana. Il nuovo deve coinvolgere il vecchio con tutta la sua limitatezza, altrimenti l’anima africana sarà lacerata e strappata dal suo centro vitale e non riuscirà ad accettare un altro centro su cui strutturarsi.
La novità evangelica deve essere articolata in tal maniera che l’esperienza umana non venga privata del proprio modo culturale di esprimersi e, al tempo stesso, deve permettere la trasfigurazione e purificazione della vecchia verità, operate dal potere vivificante del vangelo.
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