
È uno dei titoli giornalistici più belli mai fatti quello inventato dal Foglio qualche giorno fa, “Il matrimonio è un don Chisciotte che ama per sempre”. È compiuto e vero, per chi non sia preda dell’ideale secondo cui “il matrimonio è un Moccia che ama finché dura”. È un don Chisciotte il matrimonio (il matrimonio cristiano di certo), il cavaliere della Mancia che lotta per l’ideale, che ricerca il senso, apparentemente perdente, gabbato, grottesco, ma sempre amante, ridestato, sempre tenace ed eroico, pieno di coraggio e speranza.
E, soprattutto, in lui tra i doni di Dio «più risplende quello della misericordia che quello della giustizia», come emerge dalla lettura de Il fantastico hidalgo don Chisciotte della Mancia, edito dalla Bur. E nel matrimonio non è così? Non è questione di giustizia tra noi – sembra di sentire la Violaine di Paul Claudel e la Lucia di Alessandro Manzoni – ma è questione di misericordia e di perdono, o nulla ricomincia e si rinnova.
È l’inno alla libertà di don Chisciotte: «La libertà, Sancio, è uno dei più preziosi doni che i cieli abbiano mai dato agli uomini», e il matrimonio anche, ché il matrimonio come prigione è stato inventato da volpi che non avendo trovato la strada per arrivare all’uva l’hanno dichiarata acerba. Inno all’avventura, inno al ricominciare, rinnovandosi, inno alla libertà dietro la quale si nasconde «la vocazione di un “di più”» dice Maria Zambrano nel libro della Bur a proposito del cavaliere errante.
Per questo il matrimonio è un don Chisciotte che ama per sempre.
«È quel “di più” che ci fa uscire fuori e andare incontro all’alba».
Annalena Valenti – Tempi