Il prete al matrimonio. Considerazioni semiserie

Considerazioni disordinate di un celebrante a metà della stagione dei matrimoni 2018 (in vacanza). Celebrare un matrimonio è un’esperienza magnifica, da antropologo culturale.
Alcuni frammenti.

Gli sposi.
Visi felici e tirati. Più da cocainomani che da credenti, ma si comprende bene.
Dopo un cammino normalmente sincero di conoscenza reciproca, ci si può permettere un po’ di ironia iniziale per stemperare la tensione e aiutare a spostarsi in preghiera. Quando paura e gioia coincidono, è la vocazione giusta.

L’assemblea.
Uno spettacolo. Vestiti sempre più variopinti e scarpe scomode. Ipotizzo crescente influenza di reti dedicate al Wedding Event. Normalmente nessuno, uscendo di casa, pensa: “Vado a pregare per i due sposi”. E si vede.
Spesso però all’invito a cogliere l’occasione per rinnovare la propria vocazione si percepisce qualche varco prezioso.

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Musica.
La vera battaglia. Se non c’è un coro di persone abituate alla liturgia ordinaria nelle parrocchie tutto è più difficile. Non sempre questo è possibile, lo capisco, ma con musicisti e cantanti la temperatura rituale si abbatte di almeno 10 gradi: tutto è più freddo e distante.
Alcuni fanno comunque un buon servizio, sapendo leggere i passaggi del rito e aiutandoli (accogliere, rallentare, dare spessore spirituale, preparare l’ascolto e la risposta, lodare Dio, aiutare la meditazione, esprimere vera esultanza spirituale). Altri sono pachidermi che al massimo si possono solo arginare nelle loro esagerazioni nei momenti meno sensibili (inizio, offertorio, dopo la benedizione).
La musica è perfetta quando respira con il rito e scompare in esso (la stessa cosa si deve dire del prete celebrante, dell’omelia, delle preghiere, dei lettori).

I brani dei canti.
Un mio dilemma intimo: ma quelli che vogliono che si canti l’halleluja di Leonard Cohen preferiscono immaginarsi come Davide che tradisce la moglie o come Dalila che vende l’uomo sedotto ai suoi nemici? Il buon autore ebreo/buddista canadese, credo, riderebbe. A me invece viene in mente Shrek nostalgico che canta la sua orchessa e piango interiormente.
Il top è quando lo propongono addirittura al posto dell’Alleluia, ma su questo basta farsi dare con anticipo la lista. Al primo matrimonio celebrato non lo feci: suonarono Guerre stellari di John Williams come marcia iniziale e mi venne la tentazione di sostituire il segno di croce con “la forza sia con voi”.

Riuscito l’inserimento da parte di alcuni cori di un’invocazione allo Spirito prima del rito del matrimonio. Aiuta (me e spero altri).
Molto meno i canti scelti di solito dopo il rito. Spesso al posto di rasserenare l’emozione e la gioia in preghiera, la annegano in retorica e allungano inutilmente il momento.

I testimoni.
Sto invecchiando. Oltre a perdere i capelli, assisto all’aumento del numero dei testimoni al matrimonio. Ne bastano due, si può firmare in quattro. Ora siamo a sei e mi è capitato di arrivare a otto. L’affetto non sa più scegliere o sopportare di non essere scelto?
Normalmente sono attenti agli amici sposi. Spesso non sanno che fare. I migliori svolgono con grande cura il loro dovere di disturbare l’unico momento di preghiera tranquilla che gli sposi hanno in una giornata piena di mille cose, dopo la comunione. Io mi immagino che nel giorno delle proprie nozze ci sia moltissimo da offrire, chiedere, per cui ringraziare dopo aver fatto la comunione. Invece, mentre il prete è di spalle e offre la comunione all’assemblea, i testimoni ingaggiano il dialogo sul nulla. Perché?!?!

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Fotografi.
Moltissimi sono attenti. Li sento quasi compagni di squadra quando non conosco l’assemblea, alleati nei tempi e nei modi.
Altri sono da applauso. Uno a luglio mi ha chiesto di spostarmi mentre interrogavo gli sposi nella prima parte del consenso. Un altro faceva le foto agli sposi da sopra la mia nuca (non si fa, dai, è pur sempre una nudità personale).

Chiudo con i genitori degli sposi.
Meravigliosi. Normalmente la frase più positiva che si raccoglie da loro è: “Speruma!”. Mi pare sempre più chiaro che alle convivenze di prova prima del matrimonio il primo sostegno arrivi dalle famiglie d’origine, forse non sempre fiduciose nella forza e costanza dei figli. Molte volte c’è gratitudine, emozione per quello che è in un certo senso un nuovo parto (“lascerà suo padre e sua madre”), orgoglio.
Quando i figli li abbracciano e dicono loro “grazie di tutto”, mi sembra si realizzi l’ “abbiate benedizione dai vostri figli” con cui si concludono le nozze. Commovente.
Alcuni però vanno veramente fuori. Una mamma ansiosa una volta passò la messa a sistemare gli abiti della figlia sposa, del marito martire, degli altri figli. Il genero si salvò. Chissà ora..
Il top: una mamma per nulla abituata alla messa era sistemata proprio sotto l’ambone. Io inizio a leggere il vangelo e lei mi chiama “scusi, scusi”, alzo gli occhi continuando a leggere “fu invitato alle nozze.. ” e lei “c’è un bagno qui?”. Indico con il dito la sacrestia “anche Gesù con i suoi discepoli”.
E mi immagino alle nozze di Cana la mamma della sposa che era in bagno mentre Gesù faceva il miracolo del vino.
Marco Gallo

(tratto da Facebook)

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