Il tentativo di legittimare gradualmente la pedofilia. Non va bene.

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Il New York Times ha pubblicato un orrendo articolo di Margo Kaplan, docente alla Rutgers School of Law di Camden. Il titolo e’ subdolo: “Pedofilia: un disturbo e non un crimine”.

Analizziamolo insieme: Margo Kaplan, cerca di rendere accettabile questa condotta aberrante affermando che il fenomeno riguarda solo poche persone: si tratta dell’1% della popolazione maschile è attratto sessualmente dai bambini prepuberi. Questa cifra, sebbene sembri irrisoria, rappresenta un numero significativo di individui che potrebbero rappresentare una minaccia per i bambini. Inoltre, l’autrice cerca di giustificare la pedofilia sostenendo che essa è considerata un disturbo solo se causa “disagio o difficoltà interpersonali” (dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), lasciando intendere che se il pedofilo è felice di essere tale e se il bambino non è consapevole di essere vittima di abusi o a motivo proprio della sua immaturità, è falsamente consenziente allora la pedofilia non sarebbe patologica. Queste affermazioni sono scorrette e pericolose, poiché la pedofilia è una malattia mentale che causa danni irreparabili ai bambini e che deve essere condannata senza alcuna esitazione. Non c’è alcuna giustificazione per la pedofilia e chiunque la pratichi deve essere perseguito e punito con la massima severità della legge.

Qual è la motivazione dietro alla sottile distinzione fatta dall’autrice dell’articolo tra lo stato di pedofilia e l’atto di abuso sessuale su bambini? L’autrice afferma «la pedofilia è uno stato e non un atto. […] Circa la metà di tutti i pedofili non sono sessualmente attratti da loro vittime».

In filigrana la Kaplan ci sta dicendo che fin tanto che il pedofilo non tocca un bambino, la pedofilia potrebbe essere anche accettata. Infatti, se metà dei pedofili non sono nemmeno attratti sessualmente dai bambini (e allora non sono pedofili) e dunque perché temerli? Perché ghettizzarli?
Infatti, più avanti l’articolo così chiosa: «Un pedofilo deve essere ritenuto responsabile per il suo comportamento, non per l’attrazione sottostante». non specifica che la condizione di pedofilia è intrinsecamente disordinata dal punto di vista morale e clinico, e questo potrebbe far ritenere al lettore che la pedofilia sia accettabile finché non ci sono abusi sessuali. Inoltre, l’autrice afferma che un pedofilo deve essere ritenuto responsabile solo per il suo comportamento e non per l’attrazione sessuale sottostante, ma non specifica che anche la stessa condizione di pedofilia non è sana dal punto di vista clinico e morale. Questo apre la porta alla giustificazione di comportamenti aberranti.
Questa argomentazione appena illustrata offre la sponda ad una successiva: «Un secondo malinteso è che la pedofilia è una scelta. Recenti ricerche  […] suggeriscono che il disturbo può avere origini neurologiche». L’autrice sostiene così che la pedofilia non è una scelta, ma una condizione che ha origini neurologiche, e questo potrebbe far ritenere al lettore che i pedofili non sono responsabili dei loro atti. Tuttavia, questo nega la libertà e la responsabilità morale e penale dei pedofili e apre la porta alla giustificazione di comportamenti aberranti.

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Il grimaldello della lotta alle discriminazioni
L’autrice dell’articolo utilizza un’altra argomentazione per giustificare la pedofilia, che è simile a quella utilizzata dalle lobby LGBT per la tutela dell’omosessualità. Questa argomentazione si basa sulla presunta discriminazione ingiusta che i pedofili subirebbero. La Kaplan racconta di individui che provano l’impulso di molestare un bambino, ma che riescono a controllarsi.

Questi «devono nascondere il loro disturbo a tutti, altrimenti rischiano di perdere opportunità di lavoro e di formazione […]. Molti si sentono isolati, alcuni pensano al suicidio. Lo psicologo Jesse Bering, autore di Perv.: la devianza sessuale in tutti noi, scrive che le persone affette da pedofilia “non vivono la loro vita nell’armadio; stanno eternamente accovacciati in una panic room”».

L’autrice dell’articolo continua affermando che un pedofilo non dovrebbe mai lavorare come insegnante alle elementari. Tuttavia, cita anche due leggi statunitensi che vietano la discriminazione contro individui con disabilità mentali nei settori dell’occupazione, dell’istruzione e delle cure mediche. Tuttavia, il Congresso ha escluso esplicitamente la pedofilia dalla protezione di queste leggi. L’autrice suggerisce che sia il momento di rivedere tali esclusioni. Ovvero ottenere una prima legittimazione. Stiamo dunque attenti a qualsiasi tentativo culturale o legislativo che legittimi anche solo un po’ la pedofilia.

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