In Austria aumentano le conversioni a Gesù dall’islamismo

Foto di Dorothée QUENNESSON da Pixabay

Ancora una volta Gesù Cristo. La notizia che ieri ha riportato Agensir è molto interessante. Nel 2017, in Austria, 750 persone adulte hanno chiesto il Battesimo. Il 75% di queste proviene dalla religione islamica. Ulrike Dostal, capo dell’Ufficio Coordinamento per il catecumenato e l’asilo della Conferenza espiscopale austriaca, sostiene che vi sono conversioni sia tra chi è arrivato da poco, sia tra chi dimora da anni nella nazione. La fede cristiana conferma la sua perenne vitalità e il suo potere di attrazione.

Per quanto riguarda questi dati appena giunti, non si tratta di una novità. Da qualche tempo, diversi giornali e siti – anche di orientamento differente – hanno prestato attenzione al fenomeno. Da La Nuova Bussola a La Stampa, da Dagospia all’Espresso, da Tempi ad Aleteia, tutti negli ultimi anni hanno affrontato questo passaggio da una fede ad un’altra. Perché le conversioni – in particolar modo dall’Islam al Cristianesimo – sono diventate più numerose. Del resto, non stiamo parlando di conversioni che riguardano solo l’Austria, ma di un fenomeno che tocca anche altre regioni europee. Come ha mostrato l’Interdisciplinary Journal of Research on Religion, nell’articolo intitolato Believers in Christ from a Muslim Background: A Global Census è un trend in crescita, dal 1960 ad oggi, e riguarda sia le conversioni alle denominazioni protestanti (evangelici, pentecostali) che quelle relative al cattolicesimo e all’ortodossia. L’austriaco Dostal pensa invece che nei prossimi anni potrebbero esserci meno conversioni. Vedremo. Intanto cerchiamo di capire il come e il perché di questo aumento (in Austria le conversioni sono state 433 nel 2016: vicine al raddoppio, dunque, l’anno successivo).

Riguardo al “come”, si tratterebbe di conversioni sincere: «La maggior parte di loro ha iniziato a interessarsi al cristianesimo nel suo periplo verso l’Europa, dopo il passaggio per la Grecia o i Paesi dell’Est, entrando in contatto con organizzazioni e volontari di ispirazione cristiana o trovandosi improvvisamente in un continente con un innegabile sfondo culturale cristiano. Altri hanno avuto i primi contatti con la fede in Gesù nel loro Paese, attraverso Internet» (Aleteia 2 Maggio 2016). Quando si parla di argomenti simili, abbastanza sensibili, è chiamato in causa il rischio di convertirsi per ottenere dei benefici e una maggiore integrazione. Ma chi accoglie i nuovi convertiti testimonia che si tratta di percorsi lunghi e di scelte motivate. Se ci fermiamo a riflettere un attimo, in realtà certe dichiarazioni hanno un fondo di verità. Nei vari stati europei da tempo esistono comunità di persone provenienti dai paesi dove la maggioranza è musulmana: in molti casi si tratta di comunità ben integrate (come mostra l’elezione del sindaco di Londra) – che conservano, oltre ad elementi della loro cultura, anche la propria fedeltà all’Islam. Di recente, poi, nonostante una certa paura o quantomeno disagio che dall’11 Settembre in poi molti occidentali provano nei confronti di persone di religione musulmana, temendo attentati, in realtà ci sono state molte voci che si sono levate (dalle istituzioni ai media) per scongiurare il pericolo di un facile fraintendimento: fedele islamico=terrorista. Perciò, si può ragionevolmente sostenere che l’Occidente sia ancora un luogo tutto sommato favorevole ai fedeli islamici che vogliono conservare la propria fede. A volte persino a scapito della religione del paese ospite, come accade a Natale e a Pasqua dove il politicamente corretto vorrebbe disfarsi dei simboli religiosi cristiani con la scusa di non offendere le altre religioni, l’Islam prima di tutto. Vista da questa prospettiva, i motivi utilitaristi del passaggio da una fede all’altra non devono essere sovrastimati. Come mostrano, in fondo, i musulmani che, da poco tempo o da molti anni in Europa, sono rimasti nella religione di provenienza.

Andando invece al perché, non si può non osservare che i diversi giornali che si sono occupati del fenomeno parlano del fascino suscitato dal messaggio cristiano. Ieri come oggi, la parola di Cristo è liberante. Come diceva San Paolo: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28). Curiosamente, proprio in questi stessi giorni, ancora una volta Papa Francesco ha mostrato che la libertà – quella autentica – nel cristianesimo è a tutto tondo: in Cile, infatti, ha invitato i vescovi a non considerare i laici come pappagalli perché «I laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati». L’autonomia del laicato si fonda sempre su quella dignità del battezzato che nel cristianesimo è fondamentale. Non stupisce allora che, giunti in luoghi dove è possibile esercitare la libertà religiosa e quindi aderire senza temere per la propria vita, molti cuori siano scaldati dal calore sempre nuovo e innovatore che deriva dal messaggio cristiano. Perdono, misericordia, giustizia, pace, amore per il prossimo e per il nemico sono dei punti fermi che continuano ancora oggi ad attirare chi fino a quel momento era stato lontano o perché non credeva a niente o perché credeva in altro. Non è certo in discussione qui il rapporto interreligioso tra Cristianesimo e Islam, che deve continuare per la ricerca comune della pace. Si vuole semplicemente sottolineare che dove regna la libertà religiosa – e ci auguriamo che presto sia una realtà in ogni parte del mondo – le persone la esercitano anche scegliendo di passare da una fede ad un’altra, sospinti dal messaggio che trovano più consono a loro.

Interessante è notare che questo accada – in ambito cattolico – proprio in tempi in cui il proselitismo viene scoraggiato, non solo in terra di missione. Più volte il Papa si è detto contrario a questa forma di evangelizzazione. Ecco alcune sue dichiarazioni sul tema: «Quando un missionario annuncia Gesù non fa proselitismo come un tifoso che cerca più aderenti alla sua squadra» (4 Dicembre 2016); «Per la Chiesa essere missionaria non significa fare proselitismo, ma equivale ad esprimere la sua stessa natura: essere illuminata da Dio» (6 Gennaio 2016). Certo, queste parole non valgono per le altre confessioni cristiane. Ma è probabile che oggi – più di ieri – in questo passaggio dall’Islam al Cristianesimo sia in gioco più la testimonianza personale e la forza stessa che deriva dal messaggio, che non la volontà dei singoli di convertire qualcuno. Non dimentichiamo, ad esempio, l’autentico bagliore luminoso che arriva dall’eroiche testimonianze dei cristiani nei paesi perseguitati. Lì, per la prima volta, molti musulmani sono venuti in contatto con il coraggio di chi si fa uccidere per non rinnegare Gesù Cristo e con la forza di chi perdona i carnefici che hanno assassinato brutalmente un familiare. In fondo, è probabile che il primo incontro con Cristo inizi proprio quando le persone vivono nella loro patria, anche attraverso queste testimonianze. Se pensiamo infatti alla reazione sbigottita e commossa del giornalista egiziano che rimase senza parole davanti ai cristiani copti che perdonavano gli attentatori, possiamo intuire che già in queste occasioni il messaggio cristiano parla al cuore di chi è disponibile all’ascolto.

L’ultima considerazione che può suscitare questa notizia ha a che fare, invece, con il nostro Occidente secolarizzato che, in tutti i modi, tenta ogni giorno di mandare in soffitta le sue radici cristiane. Dalle leggi mortifere alle persecuzioni educate, dagli attacchi al matrimonio cristiano alle idiosincrasie del politicamente corretto, è tutto un fermento contro chi professa la fede cristiana (cattolica in particolare). Ancora una volta non siamo noi uomini a decidere se Dio è morto. Questa notizia sulle conversioni ci porta una ventata di cauto e ragionevole ottimismo: il Cristianesimo è vivo e vegeto. Ha ancora tanto da dire agli uomini di oggi.di Claudia Cirami

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