
Suicidio assistito, o meglio, morte medicalmente assistita.
Anche la terminologia cerca di far sembrare le cose normali, quando non lo sono.
Il tutto è organizzato, promosso, studiato e pianificato.
Abbiamo davvero bisogno di te!
IBAN (BancoPosta intestato ad Amici di Lazzaro)
IT98P 07601 01000 0000 27608 157
PAYPAL Clicca qui (PayPal)
SATISPAY Clicca qui (Satispay)
“Nell’ultimo report ufficiale olandese, sull’applicazione della legge sulla morte procurata nel 2017, dove sono riportati diversi ‘casi’ fra i 6.585 segnalati di eutanasia effettuate in quell’anno (nel report si specifica che ‘eutanasia’ include anche il suicidio assistito). Interessante notare che – dati ufficiali alla mano – la cifra corrisponde al 4,4% dei casi di morte nel 2017: una proporzione che, proiettata sui 647mila decessi in Italia nello stesso anno, dà un dato potenziale di 28.468 morti per eutanasia e suicidio assistito l’anno. “
Nei Paesi Bassi, la legge prevede che i medici che praticano l’eutanasia facciano rapporto al comune, che a sua volta fa rapporto a uno speciale comitato regionale, che controlla regolarmente che tutto sia stato fatto. L’obiettivo non è quello di impedire le richieste di eutanasia, ma di applicare la legge il più possibile, in modo che venga amministrata, cioè a posteriori. Cioè, dopo aver accertato che la richiesta del paziente è volontaria e cosciente, che il dolore del paziente è intollerabile e che è improbabile che migliori, dopo averlo informato delle sue condizioni e della sua prognosi e dopo aver concordato con lui che non ci sono alternative ragionevoli, deve consultare un secondo medico indipendente e rilasciare un parere scritto dopo una visita medica (obbligatoria ma non vincolante). Infine, la Commissione sottolinea che l’eutanasia viene praticata in conformità con i protocolli medici legali.
Nel 2017 in 12 casi il protocollo non è stato correttamente eseguito. Ma negli altri casi si, eppure riportiamo di seguito due vicende in cui la legge è stata rispettata:
Il caso n. 2017-59. «La paziente, una donna di 80 anni – si legge nella relazione – ha avuto un attacco cardiaco cinque mesi prima della morte (procurata, ndr). La sua condizione era incurabile ed è diventata terminale. Poteva essere trattata solo con palliative (cure con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita del paziente). La sofferenza della paziente era causata da una severa mancanza di respiro al minimo sforzo e dalla sua immobilità e stanchezza. Aveva anche intenso prurito e mal di schiena. Non c’era niente che fosse capace di fare e la sua vita era ormai confinata al sofà. Lei soffriva per la paura di cadere e per la futilità della sua situazione. Sentiva la propria sofferenza come insopportabile. Il medico era convinto che questa sofferenza fosse per lei insopportabile e non avesse alcuna prospettiva di miglioramento, secondo l’opinione medica prevalente, e ha concluso che la sua richiesta era volontaria e consapevole. Ha anche consultato un medico indipendente (Scen), che ha concluso a sua volta che i criteri richiesti erano rispettati. Il dottore ha effettuato l’eutanasia con le dovute procedure mediche. Il comitato ha verificato che il medico avesse agito in accordo ai criteri di cura dovuti».
Un anziano malato che ha paura della solitudine. Milioni di italiani nella stessa situazione.
Il caso n. 2017-08. «La paziente – sono ancora parole testuali della relazione – è una donna fra i 18 e i 30 anni, con una lunga storia di malattia mentale, con sintomi persistenti di morale basso (depressione), complicati da un disturbo cronico nell’alimentazione e un disturbo della personalità di tipo ossessivo-compulsivo. Il disturbo alimentare ha portato vari sintomi fisici, come emaciazione, debilitazione, stanchezza e osteoporosi. Soffriva anche di un problema genetico dei tessuti connettivi che hanno influenzato particolarmente le articolazioni e la pelle. La paziente è rimasta intrappolata nei suoi rituali alimentari e la depressione intrattabile. Si sentiva come se fosse morta cinque anni prima; da allora ha percepito se stessa come un guscio vuoto, che diceva ‘riempito’ dai suoi disturbi alimentari. Era priva di interessi e difficilmente aveva l’energia per un’attività qualsiasi. Gran parte del suo tempo era assorbita dai rituali del mangiare e vomitare. Anche il suo deterioramento fisico ha avuto un ruolo: era sottopeso, si sentiva stanca e aveva le vertigini. Nonostante i suoi talenti creativi e l’interesse per la cura degli animali, difficilmente ha avuto l’opportunità di coltivare questi hobbies per via dei rituali alimentari e dei loro effetti devastanti sulla sua salute. Alla fine le sue condizioni fisiche si sono deteriorate rapidamente. La paziente diceva di soffrire soprattutto per la sua depressione».
SOSTIENI QUESTO SITO. DONA ORA con PayPal, Bancomat o Carta di credito
Disturbi alimentari e depressione. l’eutanasia come via di uscita.
E lo stato che smette di curare e incoraggiare alla guarigione-
Noi possiamo pensare e porci delle domande:
Il mio amico, il mio parente, in quelle condizioni , senza aiuti cosa farebbe? E fino a che punto troveremmo la forza di aiutarli, di curarli, di sostenerli, di confortarli, di curare le loro malattie e di vivere con loro, se l’eutanasia fosse disponibile? aiuterebbe?
No. alimenterebbe la disperazione e la rassegnazione. E magari anche il nostro egoismo.
Lo stato risparmierebbe ma perderemmo umanità.