In ricordo di Don Giuseppe Vietto (intervista di Ernesto Olivero)

Dal libro Domande difficili” (Ed. Città Nuova 1983)
Ernesto Olivero intervista Don Giuseppe Vietto salito al cielo il 24 dicembre 2020

Qual è il segreto che ti permette di sorridere anche tra le difficoltà?
Il segreto della mia serenità è semplice: so di essere amato dal Signore, che mi fa gustare quotidianamente le sue meraviglie. Mi pare di sentirmi dire, come al fratello maggiore del prodigo: «Tutte le cose mie sono tue».

Come si può essere tristi conoscendo per fede la Grazia di Dio?
Come mai il sorriso, in mezzo ai consacrati, è raro?

Bisognerebbe chiederlo agli interessati. Personalmente, in primo luogo, credo che un certo stile di vita sia frutto di un’educazione improntata, ad esempio, ad una eccessiva severità, oppure a mancanza di affetto o ad altre cose.
Ma vorrei approfondire di più dicendo che a volte alcune anime consacrate non hanno capito o non ancora sperimentato che a fare il bene, si sta bene e si è nella gioia.
Non è forse vero che uno dei tanti attributi di Dio è la gioia? Infatti, Dio Padre crea, il Figlio redime, lo Spirito Santo santifica. Dio è un’offerta incessante di bene: quanto amore ha per noi! Appare qui la sua gioia. Dice infatti nella Bibbia: «La mia gioia è lo stare con gli uomini».
Se l’essenza del cristianesimo è l’essere l’immagine meno imperfetta possibile della SS. Trinità, allora vuol dire che anch’io devo donare e nel dono c’è la gioia. Se un prete è triste, è perché non dona.
Darei un consiglio a chi ha l’aspetto triste: l’apostolato del sorriso fa parte della pedagogia del Vangelo e facilita l’incontro con le anime.


Ad un prete costa il celibato? Ed è giusto?
Costa lasciare un bene: ce lo prova anche il Vangelo nell’episodio del giovane ricco, che se ne andò triste perché aveva molti beni e non li voleva lasciare.
Costa lasciare un dono: ora, la donna è un dono di Dio. La Bibbia dice infatti: «Non è bene che l’uomo sia solo». Lasciare questa creatura richiede un sacrificio, tanto più a vent’anni quando l’amore verso una persona amata ti riempie il cuore. Ma questo è un sacrificio che poco alla volta prepara l’anima a ricevere Gesù fino a dire con san Paolo: «È Cristo che vive in me». Quando Gesù è la vita dell’anima sacerdotale, non occorre altro. Direi che questo sacrificio mi ha dato la più grande ricchezza. È la «perla» preziosa del Vangelo. Mi chiedi poi se il celibato è giusto: quanto ho detto è già sufficiente per la risposta. Tralascio anche i vantaggi grandissimi che ne derivano per l’apostolato sacerdotale.

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Perché hai scelto Gesù?
Ho avuto anch’io un incidente stradale come san Paolo sulla via di Damasco; ho «bocciato» un giorno con Gesù e Lui ebbe ragione. Tra le tante missioni mi fece scegliere il sacerdozio. Ora ne sono contento, perché in compagnia del Cristo mi sono sempre trovato bene e capisco che nessun altro al mondo mi obbligherebbe a fare ciò che ora posso fare con Lui. Cristo o è tutto o è niente.
Vorrei gridare a tanti giovani la sua proposta: «Vieni e seguimi».

Cos’è per te la preghiera?
Riporto la definizione di Charles de Foucauld: «Pregare è pensare a Dio, amandolo». Si ama Dio con la propria vita (si intende vita «cristiana» perché si può anche essere prete senza essere cristiano) e si pensa a Lui parlandogli di tutto in particolari momenti della giornata.

Tu sei parroco in una delle parrocchie di periferia di Torino. Come sei accettato dalla tua gente?
La mia gente è buona e per questo mi accetta, mi comprende, mi aiuta. Però pretende da me e con ragione. Il popolo vuole il prete 24 ore su 24. Guai se non fosse così: devo rispondere delle imperfezioni del mio popolo se mi sono stancato nel cercare la mia perfezione.
Constato poi per esperienza che se sei veramente prete, non hai bisogno di parole per testimoniare e farti accettare: la gente crede alla tua vita.
A cura di Ernesto Olivero

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