Io il bambino ebreo rapito da Pio IX

Un bambino ebreo strappato alla famiglia nella Bologna papalina. E’ questa la storia del piccolo Edgardo Mortara, battezzato furtivamente da una domestica cristiana in punto di morte, e poi, nel 1858, quando la storia giunge alle orecchie delle autorità pontificie, affidato a un collegio dove riceverà educazione cristiana, come prevede la legge religiosa e civile vigente nei territori della Chiesa.

C’erano tutti gli ingredienti perchè il “caso Mortara” diventasse presto un’arma nelle mani di alcune comunità israelitiche e degli anticlericali, oltre che dell’astuto Cavour, che se ne servì per creare un clima internazionale ostile al successore di Pietro. La polemica si trascina fino a noi, tanto che, nel 2000, viene sfoderata per avversare la beatificazione di Pio IX. Più recentemente alcuni storici hanno scritto sul tema, giocando a “tirare le freccette” sull’immagine di Giovanni Mastai Ferretti.

Oggi è Vittorio Messori a riportare il dibattito coi piedi per terra, proponendo per i tipi di Mondadori la pubblicazione di un memoriale inedito scritto di suo pugno da Mortara, nel frattempo entrato a far parte dell’Ordine dei Canonici Regolari Laternanensi col nome di Pio Maria. E, a dispetto della cortina fumogena che sempre avvolge certi episodi storici, il testo raccolto in Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX getta una luce nuova sugli avvenimenti.

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La famiglia Mortara, violando una norma precisa e ben nota, aveva assunto una donna cristiana. Ciò era vietato proprio per evitare scontri “diplomatici” tra la comunità cattolica e quella ebraica. Il caso, o la Provvidenza, volle però che le cose andassero così; e volle anche che il bambino fosse, illecitamente ma validamente, battezzato in Cristo. Una volta accertato che questi fatti si erano svolti realmente, lo spazio di movimento per il pontefice era davvero ristretto: a chi gli chiedeva, per ragioni di opportunità politica, di lasciare il bambino ai genitori, egli rispondeva, allargando le braccia, “Non Possumus”. E di ciò si rese ben conto, da subito, il piccolo, che parlerà sempre con grande affetto e venerazione di Pio IX. Nel testo che Messori propone, steso da Mortara all’età di 37 anni, si legge che “le speciali benedizioni e il paterno affetto del sommo pontefice non abbandonavano un solo momento Edgardo”. Chiamato a testimoniare al processo di beatificazione di Papa Mastai, egli affermò che “ogni volta che sono tornato nell’Eterna Città, profondamente commosso mi sono prostrato sulla tomba del mio Augusto Padre e Protettore, verso il quale la mia gratitudine non ha limiti e che sempre riterrò come un savio e santo Pontefice”.

Il gesto di sottrarre un bambino alla famiglia è certo riprovevole ma, come l’autore di Ipotesi su Gesù ribadisce, questa era la legge e tutti ne erano ben consapevoli. Ciò nonostante, mai avevano pensato di abbandonare Bologna, sebbene non vi fosse alcuna restrizione all’emigrazione. Non solo: il responsabile della comunità ebraica romana dell’epoca, Sabatino Scazzocchio, prese a cuore le sorti del bambino. In una lettera privata a Momolo, padre del giovane Mortara, si lamentò dell’ “indiscreto ciarlismo di tanti giornali ha avvelenato la quistione. Mentre, se avessero lasciato fare a noi la cura delle nostre cose, la linea di condotta legale sempre seguita come nostra divisa forse ci avrebbe fatto raggiungere il tanto desiderato scopo, vista l’indole benigna e caritatevole di chi siede in alto”. La vittima e il suo più prestigioso difensore parlano del presunto carnefice in termini alquanto singolari.

Il libro è aperto da una lunga introduzione di Messori che non si limita a ricostruire le deformazioni storiografiche che si sono stratificate nel corso d’un secolo e mezzo. Parte anche all’attacco. Denunciando, in primo luogo, l’ipocrisia di chi si straccia le vesti per le sorti di un bambino ebreo un secolo e mezzo fa, e poi sostiene o ha sostenuto l’impiego di metodi analoghi, purché rivolti contro la Chiesa e il cristianesimo. “Si levavano urla assordanti contro una Chiesa che rivendicava un bambino – denuncia Messori – Intanto si assentiva alla massima terribile, secondo la quale i figli appartenevano non ai genitori ma, innanzitutto, allo Stato: prima con la scuola, che li formava a un orientamento irreligioso e, poi, con la leva militare, che spesso, ad arbitrio della classe politica del momento, li conduceva a morte”.

Vale la pena ripeterlo: come afferma Messori, il caso Mortara fu un dramma “che finì col donare grande gioia al protagonista ma che causò anche grande dolore”. Ma fu un dramma isolato, tanto da deflagrare sulle prime pagine dei giornali di allora e di oggi. Quanti drammi si sono consumati e si consumano senza che i “politicamente corretti” si scandalizzino, anzi col loro sostegno? Viene in mente l’antico motto per cui un cane che morde un uomo non fa notizia, ma un uomo che morde un cane sì.

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Accade così che il caso Mortara continui a gettare un’ombra sulla Cupola di San Pietro. Il libro curato da Messori ha il merito di mostrare che il miglior difensore dell’ultimo Papa Re è il bambino ebreo che vedrà sempre in lui un Padre spirituale e troverà nella Chiesa una nuova famiglia. di Carlo Stagnaro

Apparso in Il Domenicale, 26 giugno 2005

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