
Mons. Comastri al
termine di una processione in piazza, scendendo dal sagrato per andare incontro
agli ammalati, rimase colpito nel vedere una culla.
Subito si accorse che lì dentro vi era
una giovane donna affetta da
osteogenesi imperfetta, di nome Maria Respigo, scomparsa in seguito all’età
di 39 anni e che è stata ospite presso l’Istituto don Gnocchi a Pavia.
La storia della sua vita è stata una storia di abbandoni: abbandonata dal padre
appena si accorse della sua deformità, rifiutata dai fratelli e dalle sorelle,
ha perso la madre a soli tre anni. Eppure, ha raccontato in quella occasione al
presule, “a un certo punto ho capito che non sono stata abbandonata da Dio e che
anch’io ho una vocazione”.
Sotto il cuscino conservava trentatrè fogli con sopra scritto: “Maria Respigo,
felice di vivere”.
Il presule ha quindi citato a memoria alcuni passaggi di quel diario in cui
la Respigo scriveva: “Io esisto per gridare a tutti coloro che hanno la salute
che non possono tenerla stretta in mano, perché la salute è un dono e se non lo
ridoneranno ad altri esso marcirà nelle loro mani”.
“Io esisto per gridare a tutti quelli che si annoiano che le ore trascorse nella
noia mancano a qualcuno e se non le regaleranno a qualcuno, quelle ore non li
renderanno felici ma marciranno nelle loro mani”, ha continuato.
“Io esisto per gridare a tutti coloro che la notte vanno da una discoteca
all’altra, che quelle notti mancano a qualcuno ed esse non li renderanno felici
finché non le regaleranno a coloro a cui appartengono”, ha aggiunto.
“Padre, ma non è bella la mia vocazione?”, gli chiese poi la donna. Quando morì
venne deposta in una culletta del presepio.
“Felice di vivere, perché aveva una vocazione”, ha concluso l’Arcivescovo.