
Si intitola “Un giusto ritrovato” il libro che racconta la vita e la
vicenda di Karel Weirich, giornalista antifascista ceco che compilo’ diverse liste con centinaia di nomi di cittadini cecoslovacchi ebrei internati in Italia riuscendo a salvare molti di loro.
Il libro (Treviso, Istresco, 2007, pagine 150, euro 12), ricorda
“L’Osservatore Romano”, e’ stato scritto da Alberto Tronchin e ricostruisce l’opera umanitaria di Weirich attraverso l’archivio personale che egli stesso riuscì a mettere in salvo all’interno dei gradini delle scale di casa prima dell’arresto da parte dei nazisti, recuperandolo una volta tornato dalla prigionia in un campo di concentramento della Baviera.
Weirich, morto nel 1981 a settantacinque anni, cerco’ di aiutare le centinaia di ebrei che figuravano nella sua lista – un’analogia con la lista di Oskar Schindler, che salvo’ a sua volta un migliaio di ebrei e il cui cognome coincide curiosamente con quello della madre di Weirich – inviando denaro, abiti, medicine e persino documenti falsi.
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Figlio di un artista ceco, Karel Weirich nacque a Roma il 2 luglio 1906.
Nel 1925, dopo aver conseguito un diploma di computerista e stenografo, venne assunto come segretario presso la Direzione nazionale della Pontificia Opera di San Paolo Apostolo.
Nel 1932 fu trasferito alla Direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, e nello stesso anno iniziò a scrivere articoli sulla
Cecoslovacchia per “L’Osservatore Romano”.
Nel 1935 una delle maggiori agenzie di stampa cecoslovacche, la Ctk, gli propose la corrispondenza fissa da Roma. Weirich accetto’, decidendo comunque di continuare a lavorare come impiegato vaticano.
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Dopo l’invasione nazista del suo Paese non accettò di giurare fedelta’ a Hitler, venendo licenziato dall’agenzia nel novembre del 1941.
“Fino ad allora – ricorda il quotidiano vaticano – ricevette da colleghi
antinazisti di Praga notizie su quanto stava accadendo nel Protettorato di Boemia-Moravia, traducendole in italiano per Pio XII e inviandole altresì, almeno fino alla capitolazione della Francia, al corrispondente della Ctk da Parigi e ai suoi connazionali rifugiatisi in Italia”.
Dopo l’ordine di arresto di tutti gli ebrei, nel giugno 1940, Weirich decise insieme ad alcuni connazionali di fondare un’associazione dedita all’assistenza dei profughi cecoslovacchi.
Nacque così l’Opera di San Venceslao, dal nome del re e santo patrono ceco, che aiutò sia quanti si trovavano internati nei campi di concentramento che quelli che vivevano nella clandestinità, molti dei quali nascosti in conventi e monasteri “aperti” per volontà del Papa.
Nel periodo dell’occupazione tedesca, Weirich fu anche il principale
riferimento della resistenza cecoslovacca in Italia e il tramite tra il
Comitato nazionale di liberazione (Cnl) e i suoi connazionali scesi in armi accanto ai partigiani.
Per questo venne arrestato il 1° aprile 1944 dalla Gestapo e condannato a morte da un tribunale militare tedesco.
Grazie all’intervento della Santa Sede, la pena capitale venne commutata in diciotto mesi di lavori forzati da scontare nel campo di concentramento di Kolbermoor, dopo un periodo nella prigione di Stadelheim, a Monaco.
Rimase nel campo fino al 2 maggio 1945, giorno della liberazione da parte delle truppe statunitensi.
In base alla documentazione, furono significativi i rapporti di Weirich con la Segreteria di Stato, in particolare con l’allora Sostituto monsignor Giovanni Battista Montini – il futuro Papa Paolo VI -, dal quale ottenne sostegno e aiuto per l’Opera di San Venceslao attraverso la Pontificia Opera Soccorsi rappresentata da monsignor Antonio Riberi.
Una volta libero, Weirich tornò a Praga.
Venne assunto di nuovo dalla Ctk e tornò anche al suo lavoro di corrispondente da Roma.
Nel febbraio del 1948, dopo la presa del potere da parte dei comunisti in Cecoslovacchia, la direzione dell’agenzia lo invitò a tornare a Praga, dove venne a conoscenza di quanto era accaduto a molti suoi colleghi, finiti in carcere con l’accusa di essere spie.
Di fronte a questo, rifiutò di rimanere in patria e decise di rimanere in Italia, venendo licenziato.
Come molti altri eroi che salvarono la vita a centinaia di persone, anche Weirich non diede mai molta importanza a quanto aveva compiuto, limitandosi a dire, quando veniva interpellato al riguardo, che aveva agito così perché andava fatto.
Quando vollero dargli una medaglia disse:
“Sì, l’accetto, ma devono darla anche a tutti quei frati e a tutte quelle monache che hanno nascosto le persone”.
“Ora che l’archivio personale ha rivelato la vera portata dell’opera di
soccorso svolta da Weirich – conclude “L’Osservatore Romano” -, si può davvero parlare di un ‘giusto’ ritrovato e consegnato alla storia”.