
Continuano da anni a girare articoli, post, meme, citazioni erronee su Ipazia, l’intellettuale pagana trucidata da un gruppo di cristiani verso il 415, ecco come andò la cosa (mi sono consultato, per vostra sicurezza, con Vittorio Messori). Racconta Eusebio di Cesarea che Ipazia non fu uccisa per ordine di s. Cirillo di Alessandria né per motivi religiosi bensì politici.
I linciatori erano alcuni eretici «parabolani», cristiani fanatici che avevano mutuato il nome dai gladiatori che affrontavano i leoni (prima che Teodosio abolisse tali spettacoli nel circo). Disprezzavano la vita e, volendo morire al più presto per Cristo (secondo loro), si consacravano con giuramento ad assistere gli appestati e i malati di malattie infettive.
Cirillo cercava di tenerli a bada ma a un certo punto scoppiò un dissidio politico tra lui e il prefetto di Alessandria, Oreste. Costui era sospettato di paganesimo e così i parabolani (cui si aggiunse qualche monaco fuori controllo) se la presero con Ipazia, che di Oreste era la favorita. Si aggiunga l’astio tutto egiziano per Bisanzio, di cui Oreste era rappresentante. Un astio che giocò il suo ruolo quando arrivarono gli arabi, i quali furono accolti in Egitto praticamente con gaudio per odio antibizantino (Costantinopoli aveva la mano pesante soprattutto con le tasse). Cirillo seppe del linciaggio a cose fatte.
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I cercatori professionisti di
scheletri nell’armadio cristiano ogni tanto tirano fuori l’episodio e,
ovviamente, lo adattano al politicamente corretto corrente. Fino
all’Illuminismo nessuno sapeva neanche chi fosse, questa Ipazia. Poi, il
positivista John Toland nel 1720 e il solito Voltaire nel 1736 aprono
le danze sulla progressista Ipazia vittima dell’oscurantismo clericale.
Nel 1776 l’inglese Edward Gibbon consolida il mito nella sua celebre
opera sulla caduta (per colpa del cristianesimo) dell’Impero romano. Nel
secolo seguente tocca ai romantici: Ipazia è bellissima ed è l’ultima
rappresentante del mondo antico (dipinto come un’arcadia tutta ninfe,
zefiri, pastorelle e satiri) trucidata dal fanatismo papista.
Naturalmente, nel Novecento, Ipazia, veterofemminista, diventa la preda
della misoginia cattolica.
L’unica
voce un po’ fuori coro è quella di Mario Luzi, che le dedica un dramma
nel 1978. Adesso, il film (e il cinema, forma di arte totale, si imprime
nelle menti con una forza che la parola scritta neanche si sogna): la
scienza contro la religione, la tolleranza contro il fideismo.
E
indovinate chi sono i buoni e chi i cattivi. Roba da Odifreddi. Dunque,
rassegniamoci al solito minestrone politicamente corretto. E non
contate su una cinematografia contraria perchè non esiste: Martinelli e
il suo Barbarossa sono stati presentati come «leghisti» su tutti i
media, così che il pubblico è rimasto a casa.
Coi nostri limitati mezzi, dunque, ecco la verità sul «caso Ipazia». Innanzitutto bellissima lo sarà stata, forse, da giovane, visto che nel 415 la filosofa aveva sui sessant’anni (in un’epoca in cui già a quaranta pochi avevano ancora denti in bocca). Il suo fu un omicidio politico e la religione non c’entrava affatto.
Ipazia,
figlia di un filosofo – Teone – molto addentro nell’ermetismo e
nell’orfismo, era una neoplatonica che teneva scuola ad Alessandria.
Una scuola tra le tante, in quella capitale della cultura antica. La
parola scuola, tuttavia, non tragga in inganno: si trattava di cenacoli
per selezionati adepti. Di lei non è rimasta alcuna opera. Quel che si
sa lo si deve ai suoi discepoli. Tra i quali c’erano parecchi cristiani.
Uno di questi, Sinesio di Cirene, divenne addirittura vescovo.
Secondo
il metodo platonico (derivato a sua volta da quello pitagorico) i
discepoli apprendevano «misteri» che non dovevano essere divulgati,
perchè non tutti erano in grado di comprendere. Ipazia non era
affatto «pagana» nel senso di adoratrice di Giove, Giunone e Mercurio;
anzi, come neoplatonica era più vicina al cristianesimo che al
paganesimo.
Infatti, lodava virtù come la verginità (non si sposò mai) e la modestia nel vestire.
Ma,
come i pitagorici e i platonici, sosteneva che i filosofi, essendo i
più sapienti, dovevano occuparsi di politica, anche solo come
consiglieri del principe. Infatti, ai suoi consigli ricorreva spesso il
cristiano Oreste, prefetto di Alessandria.
Oreste,
da buon funzionario bizantino, aveva la classica visione cesaropapista
dei rapporti con l’autorità religiosa, mentre il patriarca Cirillo cercava
di salvaguardare l’indipendenza della Chiesa rispetto al potere
politico. Nel 414 il contrasto tra i due divenne plateale; Cirillo cercò
un compromesso ma Oreste rimase fermo sulle sue posizioni.
Si
formarono, al solito, due partiti (cosa normalissima nell’antichità; s.
Ambrogio di Milano ne sapeva qualcosa). Tra i partigiani del patriarca,
però, c’erano i cosiddetti parabolani, cristiani in odore di eresia per
la loro ricerca fanatica del martirio: si consacravano con giuramento
alla cura degli appestati, sperando in tal modo di morire per Cristo. Li
chiamavano così in ricordo degli antichi gladiatori (aboliti da
Teodosio) che affrontavano i leoni nel circo. Cirillo cercava di tenerli
sotto il suo controllo ma la città era turbolenta: nel 361 un vescovo
imposto da Costantinopoli, Giorgio di Cappadocia, era stato linciato;
sette anni dopo la morte di Ipazia stessa sorte era toccata al nuovo
prefetto; nel 457 venne ucciso a furor di popolo un altro vescovo di
nomina imperiale, Proterio.
Fu
in questo ambiente e in questo clima che la colpa dell’intransigenza di
Oreste venne attribuita a Ipazia e ai suoi consigli. Si sparse la voce
che i «misteri» della sua scuola riguardavano pratiche magiche e
negromantiche. La donna venne assalita da un gruppo di esagitati mentre
gli schiavi la portavano a passeggio in lettiga, tirata giù e trucidata.
Oreste e Cirillo, messi di fronte al fatto compiuto (e impressionati
dalla piega che aveva preso la loro disputa), si riconciliarono. Il
prefetto lasciò Alessandria, forse per fare rapporto alla capitale;
comunque, forse sostituito, non tornò più.
Un’altra
cosa da chiarire: Cirillo non aveva niente contro il paganesimo, sia
perché ormai minoritario e praticamente ininfluente, sia perchè la sua
preoccupazione principale era costituita, semmai, dalle eresie
cristiane, che a quel tempo spuntavano al ritmo di quasi una al giorno.
Solo anni dopo, con l’avvento di Giuliano l’Apostata, prese la penna per
contrastare il tentativo – tutto politico – dell’imperatore di
ripristinare l’antica religione civile romana. Il neoplatonismo, col suo
desiderio di attingere il divino tramite la filosofia e la pratica
delle virtù, continuò ad avere Alessandria come suo centro fino
all’invasione islamica. Tra l’altro, quest’ultima fu enormemente
facilitata dall’astio accumulato dall’Africa romana contro Bisanzio, la
sua gravosa tassazione (in parte giustificata dalle guerre quasi
continue contro i persiani, i bulgari, gli avari e infine gli arabi) e
la sua politica della mano pesante contro le eresie (che in quelle zone
avevano sempre trovato terreno fertile).
Naturalmente, ai cantori del politicamente corretto (il quale, come abbiamo visto, varia di epoca in epoca) tutto questo non interessa.
Così,
il mondo pagano viene immaginato (e rappresentato) come un’epoca d’oro
di scienza e tolleranza, dove la gente viveva in armonia con la natura,
un mondo che, ahimé, è stato distrutto dalle religioni monoteistiche, in
particolare l’odiato cristianesimo. Quel mondo in realtà disperato in
cui pochi campavano alle spalle di milioni di schiavi, sconvolto
continuamente
da guerre scatenate dalla personale ambizione di uno, quel mondo che
accolse con sollievo la religione dell’amore del prossimo e della
dignità umana, non è mai esistito per gli intellettuali, gli artisti, i
registi e gli scrittori che, fiutato dove tira il vento, si allineano
supini al Potere del momento.
I milioni di martiri cristiani? Se la sono cercata e se la cercano.
I cristiani sono cattivi perchè hanno ucciso Ipazia, così come gli
statunitensi fanno schifo perchè hanno ammazzato Toro Seduto. In
effetti, Hitler e Stalin erano battezzati, non si può negarlo.
Anche
Robespierre. È strano che non siano stati ancora messi tra gli
scheletri nell’armadio della Chiesa cattolica. Eh, il Papa dovrebbe
chiedere scusa…
TIMONE N. 87 – ANNO XI – Novembre 2009 – pag. 20 – 21
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