Nel dare inizio alla nostra collaborazione al quotidiano L’ordine (1) ci pare necessario richiamare l’attenzione dei lettori su un fatto che da tempo condiziona in Italia il campo delle cosiddette comunicazioni di massa. Alludiamo alla vera e propria censura sulle idee e sulle notizie, che viene praticata in modo sistematico dalla cultura dominante pro marxista, che detiene direttamente, o si è infiltrata in modo determinante (mediante quelle che in gergo vengono chiamate le ’mafie rosse’) in quasi tutti i mass media.
A questa situazione – oggi avvertita in modo solo confuso dalla maggioranza dei cittadini – la cultura promarxista non è giunta per caso, ma seguendo un itinerario accuratamente programmato dall ’ideologo Gramsci. La cui tattica – per quanto ci interessa qui – si differenzia da quella di Lenin e degli altri realizzatori del marxismo su piano storico, sopratutto in questo: che accantona il programma della violenza fisica, cioè l’asservimento totale, mediante la forza, dell’uomo al partito, per sostituirvi l’asservimento del suo solo intelletto. Non mira dunque la tattica gramsciana, almeno in un primo tempo, alla conquista dell’apparato statale, di quello produttivo ecc., bensì al condizionamento dei relativamente pochi centri di elaborazione delle idee (case editrici, maggiori università, riviste di cultura) e di diffusione delle idee stesse e delle notizie (radio, giornali, stampa in genere, oggi televisione). Tale tattica suscita nella gente resistenze molto minori di quella leninista, e attrae e inquadra grazie alla progressiva confusione delle menti – anche forze non propriamente marxiste, ma in qualche modo al marxismo affini per ispirazione o tendenza (laiciste e progressiste in genere). Cosicché potrebbe con più facilità far indossare al nostro popolo la camicia di Nesso del comunismo.
In che modo funziona la censura rossa? Anzitutto come filtro che impedisce di far arrivare alla gente le idee e le notizie che non garbano ai marxisti nonché ai laicisti. Poi impedendo che l’attenzione generale si fermi debitamente sugli accadimenti mondiali a loro sgraditi, dei quali sia comunque pervenuta al la collettività qualche notizia; a tal fine l’attenzione di tutti viene deviata di continuo su obiettivi distorcenti. Certo non si manca d’impostare, ogni tanto, anche qualche polemica avversa al marxismo, ma sempre accuratamente addomesticata; sì finisce così con l’instaurare su piano nazionale un discorso a senso unico, i cui argomenti vengono ripetuti all ’infinito.
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Vogliamo fare un esempio pratico? Alcuni anni or sono in due piccoli paesi stranieri ugualmente lontani da noi, il Cile e la Cambogia, si sono imposte due diverse dittature: fascista in Cile e comunista in Cambogia. Da allora quasi tutti i grandi giornali, nonché la televisione italiana (inclusa la rete 1, che dovrebbe essere ’cattolica’ ) hanno scritto migliaia di articoli e spese centinaia e centinaia di ore di trasmissione, per metterci in guardia contro la dittatura cilena e i suoi crimini. Non diciamo che giornali e TV non debbano combattere il fascismo; però quanto spazio essi hanno nello stesso tempo dedicato, sull’altro versante, ai misfatti della dittatura comunista cambogiana? Quasi nessuno spazio. Ebbene, quante sono state finora le vittime reali delle due dittature? In Cile, per dichiarazione fatta dal capo del partito Comunista Corvolan alla nostra televisione, 6.800 in tutto (cioè 3.300 morti riconosciuti, 2.500 scomparsi, e 1.000 altri circa di sorte non conosciuta). Mentre in Cambogia nello stesso tempo (anzi in un tempo alquanto minore: tra l’aprile 75, data della vittoria militare dei ’Kmer rossi’, e il settembre 77 – quattro mesi fa, ultima data per cui esistono i computi) le vittime sono state più di due milioni. Ripetiamo, perché il lettore non pensi a un refuso: dopo aver preso il potere in Cambogia, i comunisti hanno ucciso più di due milioni di persone inermi su sette milioni d’abitanti, e gli stermini sono tuttora in corso. Ma chi le sa queste cose in Italia? Chi ne è al corrente? Pochissimi, e anche costoro in modo confuso. Sopratutto non le sanno i giovani, per i quali una simile terrificante realtà verrebbe davvero a costituire un importante motivo di riflessione.
Cosa succede in Italia agli autori che lottano per contrastare il giogo di questa dittatura di nuovo genere sulle menti? Noi vediamo che le loro parole, nei pochissimi casi in cui sono prese in considerazione, vengono sistematicamente stravolte, sopratutto però essi sono con rigore emarginati mediante l’isolamento e il silenzio. Possono anche venire licenziati dal giornale in cui lavorano, come è successo al direttore della rivista Epoca Caputo, che aveva osato pubblicare qualche fotografia dei massacri cambogiani.
Per quanto concerne l’emarginazione, particolarmente emblematico è il caso dello scrittore Solgenitsin: obiettivamente uno dei maggiori, se non il maggiore, scrittore europeo contemporaneo. Egli è stato trattato con tolleranza dalla cultura laico-marxista egemone in Italia, fino a quando questa lo riteneva contrario al solo Stalin, e non al marxismo in sé stesso. Le sue opere vennero allora pubblicate da Mondadori, cioè dal principale editore italiano (totalmente irretito dal programma Gramsci), ed essendo in sé molto valide, ebbero larga diffusione. Quando però si scoprì che Solgenitsin dimostra in modo inequivocabile che non solo lo stalinismo, ma ogni comunismo porta al gulag, e sostiene – appunto per lottare contro la mistificazione del tempo moderno -che oggi il principale dovere di ogni uomo è di adoperarsi a “vivere fuori della menzogna”, l’atteggiamento della cultura egemone verso di lui si è capovolto. Così mentre il primo volume del suo Arcipelago gulag ha avuto in Italia una grande tiratura (di 500.000 copie), il secondo è uscito quasi alla chetichella, e il terzo volume – pur acquistato a suo tempo insieme con gli altri due dalla Mondadori – oggi, dopo anni, mentre è ormai diffuso da un pezzo nel resto del mondo, in Italia seguita a non venire pubblicato. Ragion per cui la successiva opera di Solgenitsin (Dialogo con il futuro) ha finito con l’essere da lui affidata alla minuscola Casa di Matriona, una cooperativa editrice di gente coraggiosa e cristiana, molto bersagliata dalla cultura egemone.
Potremmo citare parecchi altri casi di emarginazione o di stravolgimento delle opere di esuli russi testimoni della tragica realtà comunista. […] Si pensi inoltre alla manipolazione – sotto gli occhi di tutti dell’intervista rilasciata alla televisione italiana (rete 1, purtroppo) da Sinjavskij. O alla manipolazione, da parte dell’editore Rizzoli, dell’opera di J. F. Revel (liberale francese di destra), La tentazione totalitaria. Manipolazione che Revel è stato costretto a segnalare ai lettori italiani con un ’apposita intervista a un giornale. Si pensi anche all’editore Feltrinelii, che pubblicava un tempo le opere del filosofo francese Glucksmann: non appena costui si è schierato con Solgenitsin “fuori della menzogna”, ha cessato di pubblicare le sue opere. E così via.
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Se poi passiamo a esaminare quel che succede in Italia agli scrittori cristiani (beninteso a quelli veri, non asserviti alla cultura egemone) il quadro ci appare ancora più desolante: essi sono infatti ormai talmente ostracizzati ed emarginatì, che il pubblico ha addirittura l’impressione che oggi di scrittori cristiani non ne esistano più. Mentre ovviamente essi sono presenti in questa come in ogni altra epoca, e sebbene tenuti al margine, e difficoltati a esprimersi (mai una grande casa editrice accetterebbe le loro opere, o un premio letterario le segnalerebbe, o un critico oserebbe parlarne su un grande giornale), essi non sono affatto inferiori agli scrittori laicisti che attualmente vanno per la maggiore; cosa che ci ripromettiamo di dimostrare in un futuro articolo.
All’interno di una tale realtà, un quotidiano come L’ordine, pur costretto poco alla volta a ridurre la tiratura, ha potuto conservarsi libero da compromessi grazie sopratutto alla limpida visione delle cose e all’eccezionale statura morale del suo compianto direttore don Brusadelli. Però anche grazie all’ambiente umano di Como, tuttora sano, in cui il giornale opera: questo ambiente costituisce oggi la sua vera risorsa. Per un simile organo di stampa periferico, il pericolo non stava e non sta in attacchi da parte dei massimi calibri della cultura laico-marxista, ma piuttosto in attacchi e disturbi locali da parte degli inconsci ’aspiranti schiavi volontari’ di cui parla Solgenitsin: di gente cioè che – magari anche cristiana e in buona fede – attacca solo per suggestione, in quanto vuole sentirsi ’in linea coi tempi’, senza rendersi conto di essere in realtà semplicemente in linea con le direttive degli egemoni.
(1) Quotidiano cattolico di Como. Dopo l’improvvisa morte del suo direttore e factotum don Giuseppe Brusadelli, ho scritto dal 26 gennaio all’11 agosto 1978 gli articoli di fondo di tale giornale (due alla settimana). Alcuni – come questo – sono contenuti nella presente silloge.
L’ordine – 26-01-1978di Eugenio Corti
[Da “Il Fumo nel Tempio”, ed. Ares, Milano 1997]