
Le donne non devono provare piacere nel sesso, cosi’ in base a un complicato concetto di purezza, nella migliore delle ipotesi viene loro asportato il clitoride, e nella peggiore, vengono tagliate anche le piccole labbra della vagina, e le grandi labbra sono cucite insieme, lasciando solo un pertugio per le urine e il sangue mestruale.
Dopo il matrimonio, il devoto marito aprirà lo “scrigno” custodito dalla novella sposa per goderne appieno. Una pratica talmente diffusa nel mondo arabo-islamico che l’Unicef ha dovuto rivedere le sue stime. Settanta milioni di donne in più avrebbero subìto la mutilazione genitale e l’infibulazione, portando la cifra complessiva di donne ferite per sempre a duecento milioni. Numerose società dell’Africa subsahariana e di parte del medio oriente ritengono la pratica necessaria per garantire alle donne l’onorabilità, la bellezza e la possibilità di trovare un marito.
Un’emergenza globale, che riguarda anche le comunità dei migranti in Europa, nelle nostre comunità ghettizzate, dove i nostri assistenti sociali spesso neppure mettono piede. E’ anche all’ombra delle nostre moschee che si fanno, infatti, queste orrende infibulazioni.
Eppure, la nostra epidemica esitazione di fronte alle culture e alle usanze per paura che l’“invadenza occidentale” le cancelli è diventata pura viltà, o cinico relativismo, di fronte a pratiche come la mutilazione genitale.
Qualche principio è più principio degli altri e dovrebbe valere per tutti
gli uomini e le donne di qualunque fede. Il diverso non è sempre bello. E qui l’occidente “è” la civiltà.
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