La maestà della vita nel lazzaretto

Lorenzo Costa, Public domain, via Wikimedia Commons

La maestà della vita nel lazzaretto
Fra malati terminali già in putrefazione, uomini deformi e odori nauseanti, un missionario
italiano lancia ogni giorno la sua moratoria pro life. Una lettera dal Paraguay

di Tempi

Pubblichiamo brani di una lettera inviata in Italia poco prima di Natale da padre Aldo Trento, sacerdote bellunese in Paraguay dal 1989, parroco della chiesa di San Rafael ad Asunción e dal 2004 responsabile della clinica per malati terminali intitolata a san Riccardo Pampuri.

Asunción
Che tenerezza ho provato ieri sera, quando è arrivato un uomo ammalato di cancro, con parte del collo e della spalla putrefatti e pieni di vermi. Un odore nauseabondo. Dandogli la comunione, ho visto un verme camminare sul cuscino, ma ho pensato subito al corpo di Cristo e non ho provato voltastomaco, ma tanta tenerezza. L’abbiamo messo in una stanza bella, da solo. Le infermiere con tenerezza l’hanno pulito. Però ci vorranno giorni di terapia perché quei vermi annidati nella profondità della sua carne, quella carne “divina”, spariscano. Casualmente avevamo lasciato aperta la porta che dà sul giardino, e le mosche tropicali come inferocite per l’odore puzzolente hanno invaso la stanza. Quel Gesù sofferente si è spaventato e mi ha detto: «Aiutami a liberarmi da questa sporcizia, perché poi nidificano nelle mie piaghe».
Poveretto! Per mesi ha vissuto nella sporcizia in queste condizioni. Adesso è felice, anche se l’odore che emana è insopportabile anche per lui. Mi sono chinato su di lui, l’ho confessato e baciato. È tornato bello, bello perché è Gesù che nasce. In questi giorni la clinica è piena di casi come questo e l’odore è insopportabile. Che fare? Sì, i deodoranti ci sono. ma non bastano. Il profumo è Gesù Eucarestia che, esposto 24 ore, ci guarda e ci accompagna tenendoci per mano.
L’altra sera, erano le 23, mentre facevo l’ultimo giro in clinica, incontro Sisto – in questo momento il suo cadavere è nella cella mortuaria che mi sta aspettando per la Messa -, già moribondo. Vomita un liquido nero. Provo il voltastomaco. L’istinto mi direbbe di andare oltre, ma subito il pensiero: è Gesù. Mi siedo al suo fianco, lo pulisco e poi accarezzandolo termino di recitare il breviario che avevo incominciato nella cella mortuaria mentre facevo compagnia a Roberto, un altro povero, appena morto. Da un morto a un moribondo. È la Presenza del Mistero che mi accompagna. Quando viene l’infermiera per cambiare Sisto le dico: «Animo, è Gesù, trattalo bene». Vedere con quale tenerezza lo puliva mi ha comosso. Fisicamente, a volte, sembra che non ce la facciamo, ma Lui è lì che ci guarda nel Santissimo, nel vecchio putrefatto che vomita perfino materia fecale. Cose mai viste nella mia vita e che da tre anni mi accompagnano. Ed è bello, è una grande grazia, un dono unico perché è sempre Gesù che mi si manifesta con la Sua tenerezza, quella tenerezza con cui don Luigi Giussani e padre Alberto mi hanno sempre guardato.
Elena, 61 anni, un’emoragia continua. Il sangue non è contenuto da niente, esce dal pannolone, irriga il letto, sporca il pavimento. Ha un cancro terribile nel ventre, è tutta una metastasi. Ha il Rosario in mano: «Padre, dimmi di Gesù, preghiamo assieme». Si afferra al Rosario: «Adesso sto bene. Buona notte, padre».
Lucio, 40 anni, ammalato di Aids. Una diarrea interminabile che fuoriesce dal pannolone, sporca il letto e anche il pavimento. La bella infermiera Betty in un’ora lo ha cambiato già dodici volte, da cima a fondo. Però la diarrea non passa. Tutta la notte Betty, 27 anni, come un angelo ad assisterlo con la tenerezza di Gesù.
Stella, Aids, prostituta e alcolizzata, madre di 5 figli. È arrivata alla clinica per l’ennesima volta l’altro giorno, distrutta in tutti i sensi. Sta malissimo. Mi guarda, sa bene che ha fatto quello che non doveva e che mi aveva promesso che non sarebbe successo di nuovo. Più volte mi ero anche arrabiato con lei, perché nonostante un sanguinamento quotidiano, continuava a vivere come sempre. L’ho guaradata lí, distrutta, e non ho potuto che accoglierla di nuovo perché era Gesù in quelle condizioni disumane. E come d’improvviso, dalla reattività di quel momento, è sbocciata nel mio cuore una tenerezza. Che fare? Darle un bacio e metterla sul letto. Ogni giorno è così, ogni settimana dalla clinica al cimitero e dal cimitero alla clinica.

Il “mostro” è finalmente mio figlio
Il 12 di dicembre la Madonna di Guadalupe mi ha fatto un dono straordinario. Mi chiama il giudice dei minori e in due ore mi consegna come figlio adottivo Milziade, il bambino che vedete nella foto (a pagina 29, ndr), tutto deformato. Non ha niente di “normale” eccetto che è una grande Ostia bianca. È figlio di Dio quindi è tutto, è normalissimo anche se la sua testa misura 50 centimetri di circonferenza, ha la gobba, una mano paralizzata, non parla, mangia per sonda, i piedi divaricati, il corpo uno stuzzicadente. Oggi, come ieri, lo chiamerebbero un piccolo mostro. Per me, per noi, è Gesù. Mi consegnano il certificato di nascita in cui è finalmente scritto: Trento Antonio, figlio di Trento Antonio e di madre NN, nato in San Rafael, Barrio Tembetary, Asunción, il 25 dicembre 1997. Firmato, l’ufficiale di Registro civile. Ho voluto che il giudice lo facesse nascere il 25 dicembre. Compirà 10 anni, faremo una grande festa. Mai avrei creduto che mi dessero in adozione un figlio, e in più che figlio!

«Sto bene, Dio mi vuole con sé»
A chi mi domandava: “Ma tu puoi, come prete?”, rispondevo: “Se lo può Dio, credo che è il minimo che un prete possa fare come ministro di Dio”. Se Dio si occupa di ognuno di noi, se Dio si è fatto carne, anche noi dobbiamo per lo meno cercare di essere degni del Suo infinito Amore. Sono davvero felice per questo dono, anche perché di fronte a qualunque cosa possa succedermi, so che rimarrà nella clinica per gli anni di vita che gli rimangono. Per me questo è un Natale eccezionale. Una volta in più vedo la bellezza della mia vocazione, dell’elezione di Dio su di me, della Sua infinita Pietà, che chiamandomi a sé mi dà la gioia di sperimentare in piccolo la promessa fatta ad Abramo. Il richiamo del Papa alla speranza è il cuore di quello che ci è dato di vivere, ed è il cuore della clinica che è la mia famiglia.
Padre Aldo Trento

Ps. Questa mattina, 20 dicembre, ho incontrato Elena, di cui ho già parlato sopra, prossima a morire. Con un filo di voce mi ha detto quanto segue. «Padre, l’aspettavo per accomiatarmi da lei, perché già sta arrivando l’ora della mia partenza. Sto bene, perché il Signore mi sta portando in paradiso. Sono felice, padre, perché sto per morire. Sto troppo bene. Non ho dolore (ed è tutta una metastasi), non ho paura. Adesso il Signore mi sta chiamando in paradiso. Padre, sono felice di morire, perché finalmente incontro Gesù. Mi sto accomiatando da tutti e desidero che tutti siano felici. Finalmente sta arrivando il riposo eterno: Gesù. Coi miei familiari sono già nella pace eterna. Sto riposando al punto che neanche il dolore mi pesa più. Da quando sono qui con voi, mi sento in paradiso. Sono felice, padre, sono felice dentro il mio cuore. Benedicimi, perché sono nella pace del Signore. Non voglio che nessuno si senta male perché vado in paradiso. Desidero il paradiso con Gesù. Per questo ho una grande allegria, perché già assaporo la bellezza del paradiso. Dica ai miei figli che io vado in paradiso e non si preoccupino. E tu, figlio mio (rivolgendosi al figlio maschio), dovrai fare da padre e madre per le tue sorelle. Ho chiesto a Gesù se mi vuole donare la grazia di arrivare a Natale, però decida Lui, anche perché sento che Gesù mi vuole con Lui. Alla Madonna chiedo che mi accompagni, perché lei è la mia avvocata. Ogni giorno e ogni notte prego il Rosario. Chiedo perdono a tutti e perdono tutti».
«Che farò io senza di te, Elena?», le ho domandato. E lei mi ha risposto: «Padre, io starò sempre con te, perché sono nella gloria del Signore. Il dolore non mi spaventa, anzi è una grazia, perché vivo con Gesù. Quando il dolore è fortissimo recito il Rosario e il peso ritorna leggero. Passerò il Natale in paradiso e pregherò per tutti voi, perché continuiate a fare il bene. La notte la passo alternando un po’ di sonno con il Rosario, che è la mia preghiera, la mia consolazione, la mia forza. Il Rosario è tutto per me. Voglio al mio fianco solo persone che pregano con me il Rosario».

La grazia del male oscuro
«Elena – le ho chiesto –  cosa desideri dire alla gente?». «Che preghino il Rosario per gustare la vita e raggiungere il paradiso. Desidero che quelli che soffrono recitino il Rosario, perché è l’unica maniera per vincere il dolore. Io vivo contemplando i misteri del Rosario. Il Rosario è la felicità, è la vita eterna. Preghino con il Rosario la Vergine della pace. Il Rosario ci porta in paradiso, il Rosario è il paradiso. Nel paradiso mi stanno aspettando tutti i santi. Non ho fretta né per il cibo né per le bevande, ho fretta solo di pregare il Rosario. Non mi importa il mangiare, ma non posso stare senza il Rosario».
«Elena – ho domandato – è più potente la morfina o il Rosario?». «Il Rosario, padre. Quando recito il Rosario la morfina non mi interessa più e tutti si meravigliano, restano sorpresi da questa risposta mia». Poi l’ho salutata per visitare gli altri ammalati, e lei ha ricambiato dicendomi: «Padre, il Rosario è la salvezza, ti conduce al paradiso»
Cari amici, è solo uno dei tanti dialoghi con Elena. ma ogni giorno è una grazia parlare con lei, cosciente com’è che il cancro è una grazia perché è stato il miracolo che le ha fatto scoprire la bellezza di Gesú.

Don Aldo Trento

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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