
I Romani avevano, sì, i loro dèi (quelli greci, con i nomi variati: Zeus=Giove, Hera=Giunone, Athena=Minerva, e così via), ma erano molto superstiziosi e temevano di offendere le nuove divinità che incontravano man mano nell’espandersi. Per questo avevano il Pantheon (dal greco: “tutti gli dèi”), tempio in cui tutte le divinità dell’Impero erano venerate. Per sicurezza ci tenevano anche un altare al “dio ignoto”.
Tiberio, saputo che in Palestina era sorta una nuova religione, propose addirittura al Senato di innalzare nel Pantheon una statua a quel Cresto che alcuni dicevano risorto. Non se ne fece nulla per l’opposizione degli Ebrei (per i quali Gesù non era affatto il Messia ma solo un rabbi eretico; del resto gli Ebrei non potevano adorare immagini) e dei cristiani, che non acconsentivano di vedere il loro Dio in mezzo ai falsi idoli.
I Romani nelle loro province si limitavano a imporre le tasse e a riservarsi la pena capitale (per questo il Sinedrio fa condannare Gesù da Pilato); per il resto erano rispettosissimi dei costumi locali. Ma, come si è detto, erano superstiziosi e tutta la loro vita veniva scandita da una serie di riti, cerimonie e scongiuri per ingraziarsi una folla enorme di divinità, da quelle “della soglia” a quelle del focolare, della guerra, della pace, del grano, della pioggia, eccetera. Lo Stato distingueva però tra religioni “lecite” e “illecite”.
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Queste ultime erano quelle i cui riti contrastavano notevolmente con l’ordine pubblico, i costumi e la giustizia romana. Le persecuzioni nei confronti del Cristianesimo, per esempio, furono dovute a una serie di incidenti che convinsero alcuni imperatori a classificare la religione cristiana come “illicita”. Stessa sorte, tuttavia, ebbe il manicheismo persiano, per il quale Diocleziano stabilì la pena del rogo.
Innanzitutto è bene chiarire che il Cristianesimo non si presentò affatto come “religione dei poveri”. Il messaggio cristiano fu subito interclassista: pensiamo ai Magi; a Lazzaro, che il Vangelo ci dice ricco e “amico dei romani”; a Zaccheo, “capo dei pubblicani” (i pubblicani erano gli esattori delle imposte, che riscuotevano in appalto per gli occupanti romani); a Giuseppe d’Arimatea (il seppellitore di Gesù), “membro distinto del Sinedrio”. Non solo.
Lo stesso Gesù vestiva con una tunica talmente pregiata (“tessuta in un pezzo solo”) che i soldati sotto la croce preferirono giocarsela a dadi pur di non dividerla. Il discorso cristiano sulla povertà era in realtà di ordine interiore: condannava solo l’avidità e l’attaccamento al denaro, cose che possiamo benissimo leggere anche negli occhi di un mendicante. Già ai tempi di san Paolo vediamo il Cristianesimo penetrare negli strati alti della società romana e perfino dentro la stessa casa imperiale. Ancora oggi la Chiesa venera come Santi senatori, consoli, alti funzionari romani (san Sebastiano, per esempio, era un alto ufficiale dei pretoriani, la sceltissima guardia del corpo dell’Imperatore; santa Flavia Domitilla era parente stretta di Vespasiano).
Le persecuzioni anticristiane furono in realtà sporadiche, localizzate e non da tutti i funzionari periferici applicate. Anzi, nel clima corrotto della decadenza, in molti luoghi i cristiani riscuotevano grande simpatia perché ricordavano le antiche virtù stoiche che avevano fatto grande Roma. L’ultima persecuzione, quella di Diocleziano, fu particolarmente feroce e cruenta solo perché questo imperatore aveva creato un’efficiente e capillare burocrazia e si proponeva di accentrare nelle sue mani tutte le funzioni dello Stato. La prima persecuzione fu quella di Nerone, ma si limitò alla sola città di Roma.
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Pare vi sia stato spinto dalle donne di cui era succube (come Poppea), le quali praticavano la religione giudaica e vedevano il culto del falegname risorto come un’eresia blasfema. Le successive furono provocate da eresie interne al Cristianesimo, come quella montanista. I montanisti (così detti dal loro capo, Montano) rifiutavano il servizio militare e il giuramento di fedeltà allo Stato, perseguendo fanaticamente il martirio con l’abbattere idoli pagani e incendiare templi. Invece il Cristianesimo ortodosso era perfettamente leale con l’Impero, tant’è che le legioni pullulavano di cristiani. Ma gli imperatori non erano avvezzi a sottili distinguo in quella che per loro era solo una delle tante religioni dell’Impero e, di fronte all'”obiezione di coscienza” dei soldati montanisti, se la prendevano con tutti i cristiani. Allora molti autori cominciarono a indirizzare agli imperatori delle “Apologie”, cioè degli scritti in cui spiegavano tutto e cercavano di far intendere che Roma nulla aveva da temere dai cristiani. Il più famoso di questi apologeti fu Tertulliano. Ma quasi mai riuscirono nel loro intento.
In realtà la posizione del Vangelo nei confronti del servizio militare e della lealtà allo Stato era chiara. Giovanni Battista, di fronte a una domanda precisa, aveva detto a dei soldati non di cambiare mestiere, ma di contentarsi della paga e di non angariare nessuno.
Cristo elogia pubblicamente il centurione di Cafarnao per la sua fede. Il primo pagano convertito al cristianesimo è Cornelio, il capo della Coorte Italica di stanza a Cesarea. Gesù dribbla il tranello dei farisei quando dice loro di dare “a Cesare quel che è di Cesare” e rassicura Pilato affermando che il suo “regno non è di questo mondo”. Insomma Cristo non si presentò come eversore, tant’è che lo stesso Pilato, capitolo, voleva salvarlo. In molti processi a soldati montanisti si vede il magistrato che obietta come i loro commilitoni cristiani non abbiano nulla in contrario a giurare davanti alla statua dell’Imperatore.
Ma alcuni imperatori fecero di ogni erba un fascio e, per tagliare la testa al toro, ordinarono a tutti i cittadini -soldati compresi- di sacrificare agli dèi dello Stato. Questo i cristiani non potevano farlo; da qui la persecuzione. Intere legioni vennero sterminate perché composte da cristiani.
Ma come mai si aveva una presenza di cristiani così forte nelle armate imperiali? Si tenga presente che la stessa parola “pagano” è di origine militare. Paganus era l’abitante del pagus, cioè del borgo, e il termine veniva usato dai soldati così come quelli odierni chiamano “borghesi” o “civili” i non militari.
La parola passò a indicare i non cristiani sia per la fortissima presenza cristiana nelle legioni sia per la dottrina “militante” del Cristianesimo. San Paolo nelle sue Lettere usava continuamente termini militareschi (“lo scudo della fede”, “l’elmo della salvezza”, “la spada della parola di Dio”, eccetera) e paragonava alla vita militare il combattimento spirituale cristiano contro il peccato e il male. Infatti le ritualità, il portare un’uniforme, la gerarchia, l’obbedienza, il coraggio, la frugalità, il lavoro di squadra, lo sprezzo della vita e la difesa dei deboli sono comuni, se ci si fa caso, sia ai monaci cristiani che ai soldati.
Rino Camilleri (Fregati dalla scuola)