
Giorgio Paolucci ha presentato al Meeting di Rimini il libro scritto insieme a Camille Eid “I cristiani venuti dall’Islam” (Piemme, 220 pagine 12,90 Euro) nell’ambito dell’incontro “Islam e Occidente, la sfida della libertà religiosa”. Il volume raccoglie le testimonianze di musulmani residenti in Italia, che anche a rischio della propria incolumità dopo aver incontrato il fascino del cristianesimo si sono convertiti e hanno ricevuto il battesimo.
Per approfondire un tema di così scottante attualità, ZENIT ha intervistato Giorgio Paolucci, giornalista e scrittore, nonché caporedattore del quotidiano dell’episcopato italiano “Avvenire”. “Il libro – ha spiegato Paolucci – è il tentativo di portare alla luce un iceberg. Mentre gli occidentali che si convertono all’islam sono piuttosto noti, vanno in televisione, sono ospiti dei programmi più visti, sono presidenti delle associazioni islamiche più famose e non hanno problemi di visibilità, noi siamo andati a cercare le persone che, per la natura stessa della loro esperienza, hanno problemi a far conoscere cosa gli è capitato, anche se sono molto contenti di quanto gli è accaduto”. “Si tratta dei musulmani convertiti al cristianesimo – ha continuato il giornalista –, persone che, per questa loro libera scelta, vanno incontro a discriminazioni e minacce, in alcuni Paesi islamici perdono i diritti civili e rischiano la pena di morte, vengono respinti dagli stessi familiari e amici perché accusati di apostasia”.
Una inchiesta delicata e pericolosa… Paolucci: Il primo problema è stato trovare i convertiti dall’islam al cristianesimo. Tutti hanno sentito parlare di Abdul Rahman, il 41enne afgano che rischiava la pena di morte nel marzo di quest’anno perché accusato di apostasia e che ora vive in Italia, salvato da una mobilitazione internazionale. Quando si è verificato il suo caso, per 15 giorni tutti i giornali in Italia, in Europa e nel mondo hanno parlato del problema dell’apostasia e della condanna a morte che l’islam prevede per chi si converte ad altra religione. Il nostro compito era quello di andare a conoscere le storie ed i volti di queste persone, facendo capire che la questione non riguarda paesi lontani come l’Afghanistan, ma anche l’Europa e l’Italia.
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Perché ci riguarda? Paolucci: Uno dei frutti dell’immigrazione è che l’Islam è tra noi. Essendo tra noi lo è in tutta la sua complessità, compreso il grande nodo della libertà religiosa, nodo che i paesi islamici e le relative comunità sparse per il mondo non hanno ancora sciolto. Volevamo fare un libro che approfondisse le implicazioni teologiche, giuridiche e dell’apostasia e delle relative condanne, ma che lo facesse attraverso dei percorsi umani, cercando di capire come può accadere che persone amino così tanto Gesù da rischiare persecuzioni e pena di morte. Nel 1995 è uscito anche in Italia il libro di Jean Pierre Gaudeul “Vengono dall’Islam, chiamati da Cristo” (Emi, Bologna 1995) il cui obiettivo era quello di analizzare le storie da un punto di vista teologico. A noi invece interessavano le storie per intero. Ci abbiamo messo due anni a trovarle, perché è molto difficile convincere le persone a parlare, organizzare i racconti in modo che rimanga l’essenza, cambiando i connotati per ragioni di sicurezza…. Alla fine abbiamo trovato trenta storie, alcune raccontate personalmente, altre raccolte per telefono o per internet, altre ancora recuperate da alcuni rari articoli della stampa italiana.
Nell’introduzione al libro il gesuita egiziano Samir Khalil Samir, docente di storia della cultura araba e islamologia all’Università Sait-Joseph di Beirut, affronta il problema dell’apostasia. Potrebbe illustrarci i risultati della sua analisi? Paolucci: Secondo Khalil Samir dallo studio del Corano non risulta che ci sia una pena di morte per gli apostati. Ci sono 14 sure in cui si parla delle punizioni dell’apostata, ma solo in una di queste si fa riferimento al tipo di punizione, e cioè “l’apostata sarà punito con una punizione in questo mondo e nell’altro mondo”. Nel passaggio che dice “in questo mondo” non viene specificato come, mentre il Corano in genere è molto specifico sulle pene, perché se rubi deve essere amputata la mano, se sei adultero vieni punito con cento frustate ecc. Samir sottolinea quindi che il fatto che gli apostati vengano condannati a morte secondo il codice penale di Arabia Saudita, Iran, Sudan, Yemen Mauritania e Afghanistan, non deriva da una prescrizione coranica. Se questo è vero gli integralisti islamici che dicono bisogna uccidere gli apostati, non parlano a nome del Corano. Questo fatto è importante non solo per i musulmani che si convertono al cristianesimo, ma per il fatto che l’apostasia è diventata negli ultimi trenta anni lo strumento principale per eliminare gli avversari politici. Molto spesso i Fratelli musulmani e altri gruppi accusano i loro avversari politici di apostasia e quindi non è più un problema religioso ma una tecnica di eliminazione dell’opposizione. L’analisi condotta da Samir su questo argomento è rivoluzionaria e si spera che sollevi un dibattito interno all’Islam.
Quanti sono in Italia i convertiti dall’islam al cristianesimo? Paolucci: Dati precisi non ce ne sono. Per quanto riguarda la nostra inchiesta possiamo testimoniare di alcune centinaia di convertiti, provenienti da paesi del nord Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia. Diversi sono stati battezzati in Italia, altri battezzati nel loro paese e poi sono venuti ad abitare in Italia. Altri battezzati in un paese terzo poi arrivati in Italia. Dalle storie che abbiamo raccolto risulta che ci sono domande che sono nel cuore di ogni persona: il senso della vita, la felicità, l’amore, l’amicizia, cosa c’è dopo la morte. Alcune delle persone che abbiamo conosciuto non trovavano una risposta soddisfacente nel Corano e nell’educazione islamica che avevano ricevuto, nel contempo hanno incontrato delle testimonianze affascinanti di cristiani, loro amici, colleghi di lavoro, vicini di casa, insegnanti, che sono state l’inizio di una risposta diversa da quella coranica musulmana. Le diverse esperienze hanno fatto scattare l’idea che forse era il Cristianesimo, Gesù, e non il Corano, la cosa che stavano cercando per realizzare il loro percorso umano.