La suora che assiste gli ultimi: Serviamo Gesù in ogni angolo di strada

Alcuni mesi fa è venuto a visitarmi un gruppo di religiose brasiliane. Volevano conoscere l’opera di San Raffaele. Ne sono subito rimasto molto colpito, perché erano molto giovani (tutte avevano meno di trent’anni) e indossavano un saio che non aveva niente da invidiare a quello di san Francesco, confezionato con una tela di lana grezza, dal collo fino ai piedi e molto pesante. Ogni consacrata ne ha due, uno da indossare per vestirsi e l’altro da utilizzare come cambio, quando il primo è sporco. Non importa il caldo tropicale, loro lo usano tutto l’anno. Un giorno ho chiesto a una di loro come poteva sopportare il caldo e lei mi ha risposto: «Padre, all’Inferno c’è molto più caldo di quello che possiamo soffrire noi, quindi vale la pena, per amore di Gesù, sopportare e offrire questo sacrificio».
Il nome di questa nuova fraternità francescana che ha dieci anni di vita e riunisce più di 200 consacrati in 40 case del Brasile è “Il Cammino”.
http://www.ocaminho.org

È nato a San Paolo del Brasile ed è marcata dalla spiritualità francescana e dalla sua totale dedizione ai poveri. La co-fondatrice di questa fraternità radicale vive attualmente in Paraguay, ad Asunción, dove da soli tre mesi hanno aperto una casa. Il suo nome è Sorella serva delle piaghe nascoste di Cristo. Quando le ho chiesto di dirmi il suo nome civile lei ha insistito nel rispondermi: «Il mio nome è Sorella serva delle piaghe nascoste di Cristo». Una donna innamorata di Cristo e di conseguenza innamorata dei poveri. Ha conosciuto cosa significhi vivere e dormire per strada, condividendo la sua passione per Cristo con i drogati e le prostitute e i barboni. Ho capito allora che dovevo proporre ai lettori questa intervista, in cui la sorella racconta il carisma che anima la sua fraternità, affinché si capisca come in tutto il mondo sia possibile incontrare, vedere, toccare i tratti della contemporaneità di Cristo. Cristo vive, Cristo è resuscitato ed è commovente che sia circondato di santi. Cioè uomini, persone che vivono una passione radicale per Cristo.
La prima cosa che desiderano, afferma la sorella, è «vedere Gesù presente in tutti i poveri, in tutte le situazioni».

Come è nata la vostra Fraternità Il Cammino?
Prima di tutto, Fraternità Il Cammino, è il nome con cui siamo conosciute, ma il nome religioso dell’ordine è Fraternità dei Poveri di Gesù Cristo. Nasce dal lavoro che facevo a San Paolo con i giovani drogati. Con loro organizzavo incontri di tre giorni, nei quali presentavo Gesù e la sua vita. Gli dicevo che avrebbero potuto cambiare la loro vita se avessero voluto e se ne avessero avuto la possibilità. Durante alcuni di questi incontri i giovani decidevano di voler cambiare, poi tornavano a casa, nelle favelas, dove trovavano la stessa situazione e ricadevano di nuovo nella droga e mi richiamavano.
Lei era già religiosa in quel momento?
No, facevo telemarketing a San Paolo.

Come sono nati questo lavoro con i giovani e la sua preoccupazione per loro?
Era un’iniziativa personale, che facevo ogni settimana. Accompagnavo coloro che avevano problemi di droga attraverso il telefono. La verità è che si trovavano in una situazione difficile e mi chiamavano, io chiedevo aiuto a un’altra persona e li accompagnavamo. Così abbiamo conosciuto padre Gilson Sobreiro, durante uno di questi incontri in cui lo avevamo invitato per celebrare la Messa. Da quel momento lui si è appassionato al lavoro con i giovani, ha visto gli sforzi che facevano per uscire dalla droga, da cui non riuscivano a stare lontani a causa dell’ambiente in cui vivevano. Ha cominciato a nascere in noi il desiderio di avere una casa.

Volevate un luogo per prendervi cura dei ragazzi?
Sì. Era un sogno che avevamo. Serviva per poter dare ai giovani un luogo in cui rimanere. Abbiamo aperto la casa il 23 ottobre 2001, sta per compiere 10 anni. Ha cominciato così ad accadere qualcosa di totalmente impensato fino a quel momento. I giovani cominciarono a venire e non volevano più tornare a casa. Volevano guarire. Accoglievamo giovani con problemi di droga, poi col tempo cominciarono a venire anche ragazze, per cui nacque la necessità di aprire una casa per loro. L’opera stava crescendo e abbiamo dovuto prendere in affitto una fattoria dove inviare i giovani con problemi più gravi.

Che lavoro fate con questi ragazzi?
Tutti i giorni uscivamo per strada a cercarli, così abbiamo iniziato una Pastorale delle Strade. Li portavamo a casa, ma loro ritornavano sulla strada dove venivano arrestati. A quel punto abbiamo iniziato ad andarli a trovare in carcere così è nata la Pastorale Carceraria per stare con loro nella situazione in cui si trovavano. Anche le ragazze che venivano avevano dei problemi con le droghe e la prostituzione, per questo abbiamo cominciato con loro la Pastorale delle Donne. Con tutte le pastorali che avevamo, è nata la necessità di aprire più case, per andare incontro al povero proprio dove si trovava.

Come siete arrivate in Paraguay?
Avevamo una casa a Foz de Iguazú in cui venivano molti ragazzi per chiedere da mangiare. Così abbiamo cominciato ad attraversare il ponte e siamo andati a fare la pastorale agli indios, per sensibilizzarli. Lì il vescovo ci ha conosciuti e ci ha chiesto di aprire una casa femminile. Da quel momento abbiamo vissuto ad Asunción. Per noi la voce del vescovo è la voce di Dio e per questo siamo qui. Siamo state accolte molto bene, è l’unico luogo in cui è presente una fondazione che ci aiuta in tutto e non interferisce con il nostro carisma.

Qual è il carisma della Fraternità?
“Gesù è tutto – con i suoi diversi aspetti – e tutto è di Gesù”, perché le persone possano vedere Gesù in tutti i poveri, in tutte le situazioni, nel carcere, nella prostituzione, nelle droghe, nelle strade. Noi abbiamo bisogno di essere totalmente di Dio e di avere una nostra mistica.

In che momento avete assunto la spiritualità francescana?
Quando abbiamo pensato di avere una casa. Volevamo una casa che vivesse della Provvidenza, perché i nostri poveri sono stati bambini con una vita terribile e per questo sono caduti nelle droghe, nella delinquenza. Colui che sempre parlava dei “nostri lebbrosi”, in questo caso “nostri poveri”, era Francesco. Il carisma francescano e quello di Chiara, che è la parte femminile dell’accoglienza e della simpatia, sono nati prima della casa e ci guidano nell’idea di casa aperta. Chiara, infatti, ha vissuto una povertà e una vita fraterna molto intense.

Cosa vi caratterizza come Fraternità?
Le nostre due caratteristiche sono una vita fraterna e la povertà totale. Non abbiamo niente nella nostra casa, solo alcuni mobili basici. Non dormiamo nei letti, abbiamo solo dei materassini. A San Paolo in alcuni casi dormiamo per strada quattro volte alla settimana e la nostra casa è aperta tutti i giorni per il povero. Non ci preoccupiamo, perché loro non hanno niente da rubare. Questa è casa loro.

Qual è la situazione dei tantissimi poveri in Paraguay?
Terribile, soprattutto quella degli indigeni. È una situazione difficile perché loro non sono semplici abitanti delle strade, hanno delle caratteristiche speciali. Per loro, per esempio, lo spazio è fondamentale, non hanno orari, si adattano a vivere per strada, non hanno obblighi né doveri. Vengono a casa nostra, mangiano e se ne vanno, non si fermano per molto tempo perché non vogliono vincoli e noi lo capiamo. È una situazione di estrema povertà, una vita separata dalla stessa società, senza cibo, senza ciò di cui l’essere umano ha bisogno. Loro non hanno un’identità, non sono né indios né paraguaiani.

Visitate anche i carcerati?
Andiamo a Tacumbú. È la cosa peggiore che abbia mai visto. Ho già visitato molte carceri, perché abbiamo 40 case in Brasile. Dopo essere andata a Tacumbú, non ho dormito per tre giorni.

Che lavoro realizzate con i carcerati?
Facciamo diversi lavori, perché andiamo anche nelle carceri dei minori. Facciamo visite, portiamo musica, facciamo teatro. Facciamo ritiri, parliamo, lavoriamo sul loro temperamento, insegnandogli come rimanere fuori dai guai. Lavoriamo su questi tre aspetti: persona, situazione e luogo. Spieghiamo che devono tener conto di questi aspetti per evitare di ritornare in carcere continuamente.

Come riuscite a fare questo lavoro?
Noi vogliamo stare con il povero, lì dove lui è. Il lavoro di convertirli è lavoro di Dio. Noi dobbiamo stare dove sono loro e accompagnarli. Per esempio, lavoriamo anche nelle case chiuse dove andiamo a incontrare le ragazze. E tra un cliente e l’altro conversano con noi.

E come reagiscono i clienti?
È molto interessante. Una volta, mentre stavo parlando con una delle ragazze, è arrivato un cliente che mi ha guardata sorpreso. Allora ho detto alla giovane di andare ad assisterlo, perché è il suo lavoro. Quello che facciamo è stare con loro. Le ascoltiamo solamente e per loro è qualcosa di inedito, perché non le ascolta nessuno. Una volta che hanno confidenza, si aprono a noi e ci raccontano la loro vita, i loro drammi. La maggior parte di loro ha una doppia vita. Molte sono sposate, ma le loro famiglie non sospettano di quello che fanno, credono che lavorino come domestiche o facciano altro. Chi ha una doppia vita ha un’immensa necessità di parlare e condividere ciò che vive. Alcune riescono a cambiare vita e vengono a vivere con noi.

Quante suore vivono qui in casa?
Siamo sette sorelle. Tutte brasiliane, ma abbiamo una paraguayana di Ciudad del Este che sta verificando la sua vocazione. Dell’ordine maschile sono cinque ragazzi che vivono nella parrocchia di San Paolo. Qui lavoriamo con i drogati.

Ricevete aiuti dalle Istituzioni?
L’unica casa che riceve aiuti è questa del Paraguay, che è sostenuta dalla Fondazione Santa Librada, che paga il nostro affitto. Tutto il resto, è opera della Provvidenza.

Aldo Trento – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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